San Libero – 395

Così le presento al lettore, senza presunzione e umilmente, con nostalgia. E’ ammesso, un giorno ogni trecentosessantacinque, dedicarlo alla bellezza e alla poesia; e anche questo è un insegnamento dei greci, che non temevano – da uomini degni del nome – di confessarsi parimenti servi di Ares e della poesia.
Non manca peraltro del tutto neanche qui, in un certo senso, lo spirito militante. Lo scopo di questa raccolta, come ogni anno, è anche di far dare sostegno a San Libero, materialmente; unici a sostenerci sono i lettori, e non è stato facile, in tutti questi anni, tenersi a questa regola, facile da enunciare ma arduissima da sostenere ogni giorno, un anno dopo l’altro.

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L’anno che termina, in cui sono venuti a maturazione i temi più drammatici del nostro Paese – compreso il passaggio ormai evidentissimo da una civiltà di radici comunali e civiche, solidaristiche e occidentali, ad una meramente amministrativa e paternalistica, potremmo quasi dire confuciana – è stato, nel nostro piccolo, un anno vittorioso.

Le vittorie son due, entrambe apparentemente impossibili ma entrambe, a ben vedere, maturate da molto lontano. A Catania, dopo anni e anni di lotte – sostenute da pochissimi, tenacemente – abbiamo finalmente ottenuto la civilizzazione del Palazzo. Di quello della giustizia, naturalmente (il Palazzo politico, se esiste ancora, è ormai irrecuperabile del tutto); ed è la più antica lotta dei Siciliani, la prima delle battaglie – e son passati trent’anni – del giornale di Fava. Pochissimi, e nessuno con meno di cinquant’anni, sono in grado di comprendere la commozione profonda che nei cittadini migliori ha destato questa che altrove sarebbe stata una normalità banalissima – avere anche qui un magistrato degno di fede – e che a Catania vuol dire invece rivoluzione.

La seconda vittoria, collegata alla prima, è che riportiamo in campo l’antico e bellissimo nome dei Siciliani. E nella maniera migliore: non come nostalgia di superstiti ma come franca e tranquilla assunzione di responsabilità da parte di una nuova generazione di giornalisti, pochi ma non pochissimi, giovani ma non del tutto inesperti, che con semplicità e senza chiacchiere hanno accettato di sollevare loro questa bandiera, e non solo in Sicilia ma qua e là nel Paese.
Questo, fra i cataclismi e le fughe, in quest’otto settembre q uotidiano che ci circonda, ci dà una serenità che nessun altro sfiora. Noi adesso sappiamo, con assoluta certezza, che questo Paese continuerà a vivere, che la storia d’Italia non finisce qui. Verranno tempi difficili, i re e i generali fuggiranno, ma i giovani resisteranno.

In questo cammino lunghissimo, costellato di dubbi e di errori, con l’orrore – a ogni fine giornata – di non essere stati all’altezza, è arrivata finalmente una risposta chiara: non importa se individualmente siamo all’altezza o no, hanno un peso relativo i nostri errori; ma siamo nel grande flusso della corrente, e la corrente è questa. Perciò accettiamo serenamente la nostra insufficienza, sapendo che disperazioni e superbie sono puerili, perché il fiume ci porta.

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Saremo molto più soli, l’anno prossimo. Manca Scidà, manca Morrione. E’ la vita, dice la ragione. Gli uomini vanno e vengono, nessuno di noi è immortale. Vivere a lungo è bene, ma davvero importante è vivere bene, rimanendo se stessi, continuando a fare. I tuoi questa fortuna l’hanno avuta, dice la ragione. Non hanno avuto paura, sono stati utili ai loro simili; e c’è chi li sta già continuando; la Città è più importante di noi, ed essi non l’hanno lasciata sola.
Questo dice la ragione, questo ed altro. Ma a me piacerebbe potergli telefonare ora, fargli gli auguri e tutto il resto.

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Nei prossimi giorni i collaboratori del giornale cominceranno a ricevere i primi appunti per il prossimo numero e ci rimetteremo in moto. Ci sono due assemblee per i Siciliani giorno cinque, a Roma alle 17.30 e a Catania alle 21. C’è un sacco di piccole e grosse cose da fare, dal rifinire le gabbie-base all’elaborare la strategia complessiva dell’anno in corso, e in ciascuna di queste cose ci sono più esseri umani che debbono pensare da soli, pensare insieme, scambiarsi idee, far programmi comuni, lavorare. Fare insomma le cose che, da quando siamo scesi dall’albero, facciamo noi esseri umani. Speriamo di farle bene, e in ogni caso di farle con dignità. Il resto non dipende da noi. Buon anno a tutti e – come diceva quel tale – restiamo umani.

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antonella consoli wrote:

< Di me la terra ricorderà il profumo
e raramente, ogni tramonto di luna
o quando un bimbo avrà scoperto combriccole
di nomi in cerca del futuro.
Di me qualcuno avrà un nome nell’agenda
qualcun altro il sorriso
un altro ancora un bacio
le amiche il ventre morbido
e piatto dell’onestà
gli amici la tentazione
e tu, amore mio,
le costellazioni e il cuore. >