Trent’anni a San Cristoforo

Giovanni Caruso

Il GAPA, dal 1988 a oggi, a fianco al popolo dei quartieri
foto di Daniela Calcaterra

Il partigiano muratore Pippo ci conosceva dal tempo in cui il GAPA decise di abitare la scuola Doria nel 1992, dopo le stragi di mafia.
In quei settantadue giorni manifestammo contro la mafia e i clan di San Cristoforo, che a loro volta brindavano e si rallegravano per aver ucciso due uomini dello stato che consideravano nemici. Pippo era tra i pochi che, quando ci incontrava, ci dava solidarietà e riteneva che la nostra fosse resistenza.

“Dopo l’8 settembre mi ritrovai oltre la linea Gotica, il mio battaglione era sbandato, nessuno ci aveva dato ordini, ma ebbi la fortuna di incontrare altri commilitoni che decisero di andare in montagna per unirsi ai partigiani” ci raccontava “iú prima da guerra faciva u muraturi, e non capì mai sta guerra do quaranta. Ma na cosa l’ava caputu: non era a me guerra, era a guerra di Mussolini. Capì ca a pattiri eravamu i disgraziati, costretti a lassari famigghia e travagghiu. Eru manuvali muraturi, u travagghiu mi piaceva e mi faceva campari. Mi piaceva a libertà e non vuleva nuddu ca mi rava ordini. In muntagna eru liberu e i suddati, vistuti di niuru, abbruciavanu tuttu e poi fucilavunu magari cu non ci traseva. Faciti bonu a stari cca, siti comu i partigiani”.

Nel 2002 entrammo in quella che sarebbe diventata la nostra casa, il “gapannone rosso”. Pippo, il muratore partigiano, ci venne a trovare.

“Ma stu postu è ancora cchiu bellu! Ca ci faciti a casa do populu?”.
“Pippo, la chiameremo ‘casa di quartiere’ ma sarà a stissa cosa”
A Pippo, attraverso i suoi occhiali spessi, gli brillarono gli occhi di commozione.  Poi disse: “Ma allura ci mittemu a bannera rossa!”.

Questo è solo un frammento della nostra presenza a San Cristoforo, della storia del GAPA che fin dall’inizio ha voluto essere un’associazione aperta al quartiere e per il quartiere.
Il nostro sogno era ed è quello di essere una cosa sola con i minori, le donne e gli uomini del quartiere a cui vengono negati quotidianamente diritti. Persone a cui la mafia e la mala politica – locale e nazionale – continuano a rubare la dignità, con cinismo e per i propri interessi.

Un sogno che a molti può sembrare un’utopia, ma che per noi si traduce in una contaminazione con il popolo di San Cristoforo per allargarsi sino agli altri quartieri poveri del centro storico e delle periferie di Catania.  In questi trent’anni abbiamo avuto momenti di grande entusiasmo e momenti in cui ci siamo interrogati sulla nostra identità. Momenti brutti, superati con il dialogo, a volte duro ma sempre con la voglia di risolvere i conflitti, guardando sempre avanti verso le nuove generazioni di volontari. E guardando soprattutto al di fuori delle mura della nostra sede, perché è lì fuori chi soffre, chi vive nella povertà. È fuori, tra le vie di San Cristoforo, che non si ha il diritto alla felicità.

Il nostro desiderio è festeggiare questi trent’anni, ma se guardiamo le condizioni del quartiere, forse, oltre che festeggiare, bisogna ricordare anche il lavoro fatto in questi trent’anni, magari con le associazioni e i movimenti sociali con cui abbiamo condiviso tante lotte. Con tutti quei volontari che in questi anni hanno condiviso parte del nostro percorso, mai calato dall’alto e sempre vissuto in modo democratico e orizzontale.
Con tutti quei ragazzini, oggi genitori, che sono cresciuti con noi, anche se si sono allontanati perchè la vita va. Ma quando ci incontrano o ci vengono a trovare è sempre una festa!

Ci siamo sempre adoperati affinchè ciò che progettavamo diventassero fatti, azioni concrete. A volte ci siamo riusciti, a volte abbiamo umanamente fallito. Ma l’importante è che oggi si continua, con nuovi e vecchi volontari. Con il nuovo doposcuola “scuola e libertà”, con la palestra popolare, che forma piccoli campioni, con il giornale di quartiere che da tredici anni narra le storie degli abitanti del quartiere, il suo degrado fisico, con le sue case, le sue strade e le piazze, che invece di essere luoghi di socialità, sono ridotte a piazze di spaccio gestite dai clan mafiosi, mentre lo stato e i governi guardano altrove.

Al GAPA c’è anche una biblioteca popolare, dedicata al giudice Titta Scidà, per diffondere conoscenza qui dove il tasso di dispersione scolastica è altissimo, così come quello di alfabetizzazione. A tutte queste attività, negli ultimi anni si è aggiunto il circo sociale che con il suo dinamismo diverte e aiuta a crescere i bambini.

Ma vogliamo ricordare anche i tanti spettacoli teatrali che ci hanno resi liberi economicamente, liberi nel pensiero e nel movimento, senza andare mai a chiedere “con il cappello in mano” al potere politico che prima o poi avrebbe chiesto il conto.

E come non ricordare quei quattro giorni insieme durante i campi estivi per conoscere meglio i nostri ragazzini e conoscerci meglio anche noi adulti?

Anche le nostre azioni politiche vanno ricordate: dalla lotta alla mafia, attraverso l’antimafia sociale, alla richiesta di scuole, baluardi di democrazia e conoscenza contro ogni crimine.

Nella mente rimane una recente immagine, quella del 17 febbraio, durante il corteo antimafia e antifascista. I nostri ragazzini e noi volontari dietro lo striscione che recitava “GAPA San Cristoforo contro mafia e fascismo” e intorno a queste parole tante impronte di manine colorate in un’esplosione di gioia.

Adesso continueremo ad andare avanti guardando a un futuro che non sappiamo come sarà, ma con la voglia sempre intatta di essere protagonisti insieme al popolo dei quartieri.

immagini in galleria di Daniela Calcaterra e Maurizio Parisi