San Libero – 396

 

Nel 1975, Umberto Palmiro Bossi (il secondo nome, da un certo punto in poi, smise di usarlo per motivi che capirete) fu convocato dal Responsabile Agit-Prop della Sezione del Pci di Varese, a cui allora era iscritto. Il Bossi, a quell’epoca, era un semplice onesto militante come tanti altri. Dava i volantini contro i padroni, come tutti, e una volta tenne un piccolo comizio davanti al Bar Sport di Colgate per difendere un un amico (tale Alfio La Barbera) a cui uno stronzo fassista aveva dato del terun. Solo quella volta, perchè in realtà Umberto Palmiro era un ragazzo timido e per fargli dire due parole in pubblico dovevano proprio tirargliele con le pinze. Però i suoi superiori erano gente sveglia, e si accorsero lo stesso delle potenzialità rivoluzionarie del ragazzo.

A quell’epoca ogni sezione del Pci aveva fra i suoi dirigenti, per regolamento, un agente del Kgb o di qualche altro servizio segreto communista. Costui non parlava mai tranne che in riunioni clandestine e ristrette, non veniva mai mostrato in giro e di notte veniva messo a dormire nel ripostiglio della sezione, fra le bandiere rosse e i secchi di colla. Era lui, in ciascuna delle ottomila sezioni communiste d’Italia, che in realtà dava gli ordini, che riceveva ogni quindici giorni, per via piccione viaggiatore, dalla Sezione Agitazione e Propaganda del Kgb.

Il responsabile della sezione di Varese si chiamava Ivanov ed era un communista ferocissimo e astuto. Il compagno Ivanov convocò il compagno Bossi..

“Cuompagno Buossi!”. “Agli ordini, compagno!”. “Ascuolta, tuovarisc Buossi. Debbo dirti un segrueto!”. “Si?”. “Fra trent’anni non ci sarà più partito communista!”. “Nooo!”. “Si cuompagno, sarà così, fra trent’anni niet kuommunismo e niet gloriuosa Unione Suovietika!”. “Non ci credo!”. “È cuosì, cuompagno. Nuostri infallibili scienziati suovietici hanno inventato makkina per predire futuro! Kuommunismo suovietikuo fatte truoppe kazzate, finito!”. Il Bossi si mise a piangere disperatamente. “Aspuetta, cuompagno Buossi! Non è tutto puerduto! Un uomo salverà il kuommunismo, perluomeno in Italia. E tu sai ki kuell’uomo noi abbiamo deciso ke può essere?”. “Chi?”. “Tu, cuompagno!”. “Io?”.

Da quel momento la conversazione proseguì a bassa voce, talmente bassa che non sono riuscito più a sentire niente. Vedevo soltanto il compagno Ivanov che spiegava qualcosa e il compagno Bossi che assentiva con grande cenni della testa. “Alluora, cuompagno Buossi, hai kapito tutto? Più gruosse sono e meglio è. Kuando kazzate saranno sufficientiemente grosse e numerose e gente sarà dunkue sufficientiemente incazzata, alluora kuommunismo in Italia tuornerà infallibilmente!”.

* * *

La mattina dopo il Bossi andò al Bar Sport senza fazzoletto rosso al collo e senza l’Unità regolamentare. Dentro c’erano già il Gaita, il Rodeulf, il Padula e naturalmente l’Alfio, tutti già attorno al biliardo con le stecche in mano. “Ecco l’Umberto! – fece Alfio – Possiamo cominciare!”. “Io non gioco!”. “E perchè non giochi?”. “Mi non gioco a billliard con i terun!”. “Ma Umberto,.che cazzo ti ha preso stamattina?”. “Zitto tu che sei venuto da Agrigento a portar via il lavoro a noi pasquani! Colpa dei communisti che ti hanno lasciato entrare in Pasquania!”. “Pasquania? E che cazzo è?”.

Umberto, perplesso, si frugò nelle tasche e tirò fuori il taccuino su cui a ogni buon conto aveva segnato i passaggi salienti delle istruzioni del compagno Ivanov. “Padania, volevo dire. Tu sei un terrone e i communisti ti usano per invadere la Padania”.

“Ma Umberto – fece il Gaita a questo punto – ma non siamo noi, i communisti?”.

“Non più! Basta con queste cazzate – occhiata al taccuino – veterostaliniste e giacobbine. I communisti sono la rovina della Padania, ecco che cosa sono! Basta coi communisti e i terroni, Pasquania… Padania indipendente”.

“Ma va a dà el cuu – fece il Rodeulf, che fino a quel momento non aveva detto una parola – Io non ci capisco una sega di tutte queste cazzate ma mi sa che sei diventato un politico e che fra poco vieni a cercarci il voto come gli altri. Sai che ti dico? Ce la facciamo noi quattro, sta partita, e tu intanto ti fai tutte la Pasquania che vuoi”.

“Padania!” sbraitò l’Umberto e uscì dal locale.

Purtroppo il compagno Ivanov aveva progettato bene, e già un paio di mesi dopo sulla casa di ringhera dell’Alfio qualcuno già aveva scritto col gesso il primo “via i terroni”. I voti, l’Umberto ex Palmiro, se li cominciò a cercare davvero. E qualcuno, al Bar Sport, lo cominciò pure a votare.

E passarono gli anni. Questa fu la fase uno. Nella fase due (diligentemente prevista dal Progetto Ivanov) l’Umberto, ormai capo-partito e senatore, battè diligentemente tutti i bar sport della regione annunciando che i politici erano tutti ladri e che ormai era il momento di rimandarli tutti a Roma, dove avevano imparato a rubare. E siccome di politici ladri, specialmente in quei tempi, non c’era affatto carestia la gente cominciò a dargli un certo credito. “Tutti ladri! Roma ladrona! Abbasso Berluskaiser! Viva Di Pietro!”.

La fase tre scattò, come previsto, al momento opportuno. I politici, spiegò Bossi (consultando ogni tanto il taccuino del compagno Ivanov) non erano tutti ladri; erano bensì i magistrati communisti che volevano farli passare per ladri, ma loro in realtà erano tutte persone onestissime e perbene, col solo difetto di non volersi calare le braghe davanti all’odiosa dittatura communista che dominava spietatamente il paese. “Tutti santi! Abbasso i maggistrati communisti! Viva Berlusconi! A morte Di Pietro!”.

Adesso l’Umberto non comiziava più al bar sport di Colgate, ma in piazza Duomo a Milano e nelle televisioni; non girava più in centoventisette ma, come tutti i politici, in mercedes di lusso con l’autista (un autista nuovo, tutto azzimato, fornito da Berlusconi; quello della centoventisette se n’era andato, deluso, da molto tempo).

La gente non è mai cretina del tutto per tutto il tempo, nemmeno in Pasquania, e i voti per la Pasquania Libera, che prima erano moltissimi, adesso diminuivano continuamente. La cosa però aveva poca importanza perchè, essendo ormai al governo, l’Umberto poteva ormai fregarsene di quel che pensava la gente. E a questo punto, del resto, stava ormai per partire la Fase Quattro.

* * *

Come il compagno Ivanov (da tempo riciclatosi in manager della Caspian Petroleum SpA) aveva lucidamente previsto alla fine la gente, rimbambita dalle cazzate dei communisti e soprattutto dai lussi megagalattici che gli apparatniki del partito si concedevano sempre più frequentemente (ce ne fu uno a un certo punto che camminava solo con scarpe da un milione l’una), cominciò a schifare il communismo e ogni cosa che anche vagamente gli si apparentasse. Democrazia, senso civile, politica: tutta roba da communisti. Ci siamo stufati di tutto questo: vogliamo un governo non politico, che non ci rompa le scatole e che ci lasci dormire. Un governo che ci faccia almeno qualche bella promessa il sabato; lo sappiamo già che il lunedì ci tocca rimetterci alla carretta; ma almeno, la domenica, passiamola con un po’ di speranza. Un governo-Sisal, insomma.

E questo governo fu fatto, e andò avanti. Altoparlanti, televisioni, scritte sui muri, giornali – tutto ripeteva in continuazione che domenica prossima, sicurissimamente, sarebbe uscito il numero fortunato; e la gente, senza crederci, ci credeva.

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La cosa sarebbe potuta andare avanti molto a lungo. Ma i compagni sovietici, forti di un’esperienza secolare, non a caso avevano mandato il compagno Ivanov a reclutare l’uomo opportuno. “Perchè sappiate, cuompagni, che l’arte del rivuoluziuonario tiene cuonto di tutto e sa sfruttare per la causa ognunque e qualsiunque elemento” (Susl., Dottr. del Comm., IV, 16, 240). E ancora: “In verità, cuompagni, deve ancuora nascere il pork kapitalist che ce la metterà in kwel post” (Brezn., Man. Agit., VI, 13, 190, tomo secondo).

Ed ecco: appena il capo del porco governo capitalista diceva (purtroppo i governi capitalisti devono far contente le confindustrie, ogni tanto): “Lavoratori, lunedì sera purtroppo dovrete prenderla un momentino in quel posto lì”, immediatamente l’Umberto – che s’era abilmente intrufolato nel governo – afferrava il microfono e sbraitava: “E senza vaselina! Avete capito, stronzi? Vaselina, niente!”.

Ora voi capite che, di fronte a una cosa di queste, i lavoratori ci restavano anche un po’ male. E certo la popolarità del governo non ci guadagnava. Il che era esattamente ciò che aveva callidamente previsto, a suo tempo, il compagno Ivanov.

“Bisognerebbe annegare qualche extracomunitario, ogni tanto”. “No! Bisogna affogare TUTTI gli extracommunitari! Cannonate in pancia, altro che cazzi!”. E un altro punto in meno per il governo. “I magistrati ce l’hanno col governo perchè sono communisti”. “Brigatisti, sono! Aboliamo i magistrati e mettiamoci gli sceriffi!”. “Licenziamo Santoro!”. “Nein! Fuciliamolo senz’altro!”. E vai.

Insomma, a ogni cazzata che il governo diceva il Bossi vedeva, raddoppiava, rinterzava e ci aggiungeva il carico a denari. Ora, una cazzata va bene, due si sopportano, tre pure, ma insomma quando il governo privatizzò l’aria atmosferica e Bossi, pronto, dichiarò che bisognava anche metterci una tassa, andò a finire come tutti sapete, e come del resto era logico che finisse.

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Berlusconi, come sapete, fu salvato da Prodi quando la folla invase Palazzo Venezia e adesso fa il presidente dello Stato Libero di Paranà. Dicono che se la passi bene, a parte Garzon che, ostinato, dopo tanti anni si aggira ancora travestito da alligatore da quelle parti nella speranza – finora delusa – di beccarlo. Ferrara è ministro nel governo di centrosinistra, Mentana dirige il Tg1, Lerner Canale 5, io sono disoccupato come al solito e papa Massimo Primo (il primo papa coi baffi nella storia del vaticano: chissà come ha fatto) ha appena nominato cardinale Rondolino. Tutti sono felici e nessuno s’è fatto male: come sempre in Italia, salvo qualche eccezione.

L’unico che manca è Bossi. Fu visto l’ultima volta il giorno della Gloriosa Rivoluzione mentre, in piedi su un carrarmato, incitava la folla a fare giustizia del “mafioso capitalista Berlusconi”. Poi non s’è visto più. Maroni (che ora è ministro dello Spettacolo) e Castelli (a capo dell’Ente Ponte di Messina) sono convinti che sia caduto combattendo. Qualcuno dice che è semplicemente sparito ma tornerà quando la Pasquania avrà bisogno di essere liberata dalla tirannia di un altro Berluskaiser. Il popolo ha bisogno di miti.

Ma nella sala sotterranea del Cremlino, dove il Kgb (l’Unione Sovietica adesso è clandestina: per motivi di opportunità si fanno chiamare Russia e molte cose le fanno di nascosto, ma è sempre uno del Kgb quello che comanda) tiene le sue riunioni segrete, adesso c’è una lapide in più, a destra di quella di Stalin e pochi metri avanti a quella di Suslov. C’è il busto di un uomo dai marcati tratti celtici (capelli ricciuti neri e zigomi sporgenti), con sguardo da visionario e bocca da profeta; sul suo petto brillano l’Ordine di Lenin, la Bandiera Rossa, la Stella di Eroe dell’Unione Sovietica e, più commovente di tutto, un semplice nastrino rosso. “Tovarisc Bossi”, c’è scritto sotto. E poche righe in cirillico, che non abbiamo tradotto.

(dalla “Catena” del 22 aprile 2002)