Fiumi di cocaina

Chi si abbevera e chi ci muore

di Toti Domina

Arrivarono in ritardo al doposcuola del Gapa quel pomeriggio a San Cristoforo. Sara, Marco e Luca arrivarono sconvolti, piangevano. Ci volle un po’ per capire cosa era successo. Tra le lacrime riuscirono a stento a raccontare che alcuni poliziotti erano entrati di forza dentro casa loro e avevano arrestato il padre, non prima di averlo picchiato e messo la casa sottosopra. Tutto davanti ai loro occhi, davanti agli occhi di bambini di 7, 9 e 11 anni. L’accusa, poi scoprimmo, riguardava il traffico di droga.

Alla fine degli anni 80, fu il nostro primo contatto diretto con il mondo del traffico delle droghe in un quartiere e in una città dove si commettevano in un anno centinaia di omicidi per mafia, e forse molti, per il controllo di questo traffico. Il Gapa allora era formato da volontari, ragazzi e ragazze della cosiddetta “Catania bene” che avevano deciso di entrare nei dedali e nelle vene di un quartiere, San Cristoforo, mai frequentato prima, conosciuto solo per i fatti di cronaca nera. Ragazzi e ragazze che comunque sentivano il bisogno di uscire dalle loro stanze ovattate e finte, sentivano il bisogno di capire perché c’erano due città, sentivano il bisogno di agire concretamente e lontano dai salotti intellettuali della città dove si elargivano ricette anacronistiche e borghesi davanti ad un bicchiere di un costoso vino rosso e seduti in una terrazza di un lussuoso appartamento del centro o dell’esclusiva scogliera dei Ciclopi. Il tutto per capire, per trovare insieme ai suoi abitanti delle risposte, il tutto mentre nel quartiere cresceva lo spaccio di droga, mentre nel quartiere cresceva l’uso di droghe. “Molti amici miei sniffano cocaina ogni mattina prima di cominciare la giornata come se si prendessero una granita con la brioscia” ci raccontava Antonino che era agli arresti domiciliari in via Cordai e a cui facevamo del doposcuola a casa per aiutarlo a prendere la terza media. Era il 1989.

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Negli anni successivi i nostri “contatti” sono stati molto più forti dal momento che molte delle nostre attività si realizzavano nelle strade e in alcune piazzette del quartiere. La piazzetta di via Barcellona ora intitolata a don Pino Puglisi, dopo le lotte che hanno portato all’eliminazione della discarica, è stata animata da giochi, mamme col passeggino, vecchietti che innaffiavano le poche piante presenti, ma poi piano piano è diventata regno dello spaccio e i ragazzini del nostro centro non volevano più andarci a giocare.

Per due estati (1992 e 1993), la piazzetta Maravigna e il cortile Fuochisti sono state sottratte allo spaccio per le attività dei murales, ma lì uno di noi fu minacciato chiaramente. Resistemmo e finimmo il murales, ma da settembre si ripresero la piazzetta. Era un piazzetta nascosta del quartiere ma vicina alla Movida catanese e “I fighetti della Catania bene” che si rifornivano nella vicina S.Cristoforo erano clienti affezionati e importanti. Il termine “fighetti della Catania bene” me lo suggerì un simpatico e storico barbiere del quartiere, nato, vissuto e … “morirò qui” sottolineava, “qui c’è la vita, qui non ci si annoia, qui c’è tutto e il contrario di tutto. Qui “per merito” di questi fighetti ci campano decine e decine di famiglie, “furriano soddi”, anche se sono ormai troppi i padri di famiglia del quartiere che la usano e che spendono i pochi guadagni di un lavoro precario per questo schifo di sostanza. Storie che mi spezzano il cuore. Ho visto però tanti ragazzi avere la possibilità di spacciare, ma preferiscono alzarsi alle cinque per andare al mercato, per guardare i propri figli senza vergogna”. Era veramente dispiaciuto per questi padri che usavano cocaina. Invece il tono con cui definiva i “fighetti della Catania bene” faceva intendere che di loro importava un po’ meno, loro portavano soldi, in una sorta di restituzione storica del maltolto, visto che magari i loro padri (possibilmente politici, grandi professionisti, imprenditori, che comunque a diverso livello erano nella stanza dei bottoni) avevano creato una città a due velocità, una città che doveva avere al suo interno porzioni di popolazioni ricattabili, da assistere e quindi da controllare, da manipolare.

In questi primi 27 anni di impegno nel quartiere su questo e su altre questioni spesso ci assale lo sconforto soprattutto quando nel 2001 Luca (uno dei tre bambini di cui si parlava all’inizio) fu ucciso proprio nel suo quartiere dopo una corsa disperata tra la sue vene matrigne, fu ucciso per un regolamento di conti tra spacciatori.

Poi arriva un ragazzino di 14 anni che nella sua scuola media di quartiere (ora chiusa da tre anni dalle criminali scelte dell’amministrazione cittadina) ha seguito un corso di giornalismo organizzato dalla redazione de iCordai insieme al Media Doria. Lorenzo scrive su iCordai un articolo su questo importante argomento, e a quel punto si riaccende una piccola speranza.

Ha ragione il barbiere, qui a San Cristoforo, tra i fiumi di cocaina, trovi tutto e il contrario di tutto.