Carne di cavallo

 

Santo Buscemi forzò la serratura di una porta sigillata col nastro da imballo, e occupò l’appartamento. Dentro trovarono un cucinino, due letti con le tavole nude, il materasso arrotolato, due sedie e un armadio. Qualcuno era stato sloggiato. C’erano odore di muffa, tanfo di camerachiusa, le pareti bianche sporche d’umidità. Concetta si distese sul letto e osservò il soffitto sbiancato dalla luce dell’alba che filtrava attraverso le persiane. Santo alzò la serranda, aprì le imposte e uscì sul terrazzo imbrattato da escrementi di piccione. Si apriva una vista meravigliosa: si vedevano il mare da una parte, dall’altra tanti palazzi disposti come i birilli del bowling in mezzo alla campagna. Un silenzio di cose rarefatte, immateriali, dietro le nuvole. Si vedeva anche il Mongibello sbiadito dall’aurora, e Santo riempì i polmoni d’aria fresca. Concetta invece s’accucciò coricata vestita, come un cane ammalato: aveva le ginocchia strette al petto e gli occhi chiusi. Lui rientrò dentro e rovistò nell’armadio, trovò lenzuola e coperte. Spogliò Concetta. Le sbottonò i jeans graffiando le gambe coi dentuzzi. Si strinsero da amanti, c’era sentore di niente. Il cielo aggiornava, i tetti dei palazzi scivolavano molto, ma molto più in basso. In un momento parve che il pavimento tremasse e alzarono tutt’e due gli occhi per fissare una lampadina che pendeva dal soffitto.

 

«Il terremoto!» soffiò lei.

E lui, con calma:

«Non succederà niente, non è mai successo nulla d’importante.»

«Non è mai successo niente» ripeté lei.

S’abbracciarono così, avvolti nel fruscio delle lenzuola.

«Sei felice?» chiese poi Buscemi.

Lei senza pensarci più di tanto rispose:

«Che minchiata la felicità! Stringimi, amore, non sai quanto ti vogghiu bene!»

Le solite cose dell’amore, le parole dolci e i lunghi abbracci assonnati. Trascorrere il tempo con gli occhi sull’altro e tracciare una mappa geografica dell’anatomia del corpo, vincere ogni stanchezza con le carezze. Fare all’amore, provare all’unisono l’illusione. Non era facile da viversi, il calore al freddo dell’inverno si accendeva irresistibile. La carne era pur sempre qualcos’altro. La carne forse non bastava più. Quando stanchi della pulsione, gli odori, la vista, l’udito, il tatto, tutti i sensi rientravano in se stessi, chiari e puliti, senza la colonna sonora del desiderio, tutto era traslucido. Proprio allora sarebbe dovuto apparire in scena il sentimento d’amore. L’amore ha la consistenza dell’aria. Non si vede, si respira. E lo sapevano tutt’e due che la volontà di rimanere uniti andava ben oltre l’aneddotica. Una sorpresa reciproca, sostenuta dall’irreversibile etica della fuitina. Dalla scappatella non si torna indietro. I single sono vegetariani. Nella città dei mangiacavalli l’amore è carnivoro, finché morte non ci separi.