Un sottile filo rosso per distruggere l’infanzia

Antonio Vermigli

In Brasile è passata la legge che criminalizza gli adolescenti, che a 16 anni sono già considerati “banditi incalliti, irrecuperabili” e di conseguenza consegnati alle patrie galere, dove da una condizione di “apprendisti” si educheranno alla scuola dei veri “banditi incalliti, irrecuperabili”. Molti deputati che l’hanno votata, hanno stappato bottiglie di “champagne” per celebrare la loro “vittoria”.

Ma su chi è caduta questa nuova legge? Sulla gioventù negra e povera delle favelas, o che abita direttamente sulla strada. Questi giovani sono loro stessi vittime dell’assenza e del fallimento della politica pubblica giovanile, in una società diseguale, sia a livello comunale che statale e federale.

Cartuzze-SanCristoforo, foto Alessandro RomeoI grandi mezzi di comunicazione, attraverso una campagna-propaganda, hanno evidenziato con forza che il Brasile è il paese dell’impunità, schierandosi spietatamente a favore di una tale legge, senza nessuna valutazione socio-politica dello stato di abbandono in cui sono lasciati milioni di abitanti delle periferie.

Visitando la zona est di San Paolo si nota subito come sia salito il numero degli abitanti della strada, i cosiddetti moradores da rua. Lungo ogni muro che delimita strade e metropolitana, appaiono centinaia di “rifugi” costituiti da un pezzo di plastica nero, fissato a terra con pezzi di legno rudimentale, ognuno di una misura che a fatica superava il metro e mezzo.

Insieme a Alex, un educatore del Centro San Martino de Porres, dove ogni giorno passano mille e duecento moradores, ai quali è offerto un pasto caldo, uso dei bagni, della doccia, una biblioteca, un’infermeria, un’assistente sociale e la possibilità di avere un recapito postale, ci siamo recati nel centro della città, dove a lato della chiesa di San Francesco, vivono alcune centinaia di giovani di strada.

Abbiamo incontrato Chico, Leticia e Junior, tutti e tre senza fissa dimora. Leticia cerca di vendere piccoli asciugamani, Chico e Junior si offrono ai tanti commercianti della zona per fare umili lavori, ma spesso a causa della loro “esteriorità” sono malamente allontanati, di conseguenza mendicano. Ci raccontano che sono molto fragili, spesso offesi e oltraggiati. Leticia, non avendo nessuna “sicurezza”, ha deciso di unirsi a Chico e Junior. La politica pubblica non si occupa di loro: niente scuola, casa, salute, etc.

Leticia e Junior ci raccontano che il giorno prima hanno rubato un pacco di biscotti in un supermercato – “avevamo fame, è stato il nostro unico cibo in due giorni, per fortuna siamo riusciti a fuggire”. Ci parlano di altri loro giovani amici che invece sono stati fermati e portati al presidio di polizia, solo perché vivono nella strada sono considerati criminali. Avendo 16 e 17 anni, hanno passato una settimana in carcere con gli adulti, soffrendo violenza e stupri, prima di essere rilasciati dopo l’intervento degli avvocati del Centro Difesa Diritti Umani.

“Vivendo così non siamo considerati, non abbiamo nessuna possibilità di trovare un lavoro, stiamo perdendo la nostra dignità di cittadini”. Ci indicano un gruppo di cinque giovani poco distanti, raccontano che alcuni mesi fa sono stati fermati in modo arbitrario, unicamente perché vivono nella strada, senza aver commesso nessun atto doloso, solo affinché la polizia potesse esercitare la sua autorità e prepotenza. Leticia ci racconta che molti giovani di strada consumano droga e per questo diventano spacciatori, ma dopo poco tempo sono arrestati.

La riduzione della maggior età non permette loro nessun programma di riabilitazione. Allo stesso tempo la riduzione dell’età sta per diventare un grande affare economico, perché già si parla di privatizzazione delle prigioni. Questa legge, conclude Chico, porterà presto a far sì che tutti i giovani che attualmente vivano nelle strade del centro, si trasferiscano in periferia o in carcere. Il governatore dello stato di San Paolo sta preparando un progetto di igienizzazione della città: fare “pulizia” del popolo della strada.

Stavamo per tornare nella periferia est, al Centro San Martino, quando Leticia ci chiede se possono pranzare con noi. Accettiamo, ci indicano una “lanchonette” – “ci passiamo spesso davanti, hanno pietanze che non mangiamo da mesi” commenta Leticia. Ci sediamo, i proprietari ci guardano con attenzione, i nostri amici sono “conosciuti” qui dentro, ma ordiniamo senza problemi – è il mistero del commercio.

Domandiamo a Leticia della sua famiglia, rimane un po’ in silenzio poi ci racconta che sua madre è morta un paio di anni prima. È stata investita da un trattore che schiaccia i rifiuti della città, in una grande discarica alla periferia. Era una delle raccoglitrici più anziane, Leticia aveva due anni quando la madre, Vanderlina da Silva, ha iniziato a vivere della cernita dei rifiuti. Niente scuola, niente casa, niente assistenza sanitaria, una baracca a poche centinaia di metri dalla discarica. Una vita prima allegra, con il tempo diventata sempre più triste. “Sono arrivata in centro città dopo alcune settimane che mia madre è morta”.

Chico e Junior hanno storie quasi simili, padre ubriaco e violento, a dodici anni sono usciti di casa ed hanno iniziato a vivere di espedienti, bussando a parrocchie e centri di accoglienza, fino a quando hanno deciso di spostarsi in centro città anche loro. Due ore di racconti, di storie incredibili, vere o ampliate, non è questo che conta. Tre giovani in carne ed ossa da sempre emarginati, senza un futuro, con un presente incerto, e adesso con il rischio di essere presi e incarcerati, unicamente perché poveri, anzi, impoveriti da un sistema escludente, che non accoglie ma respinge.

Ci salutiamo e ci avviamo, insieme ad Alex, non ho il coraggio di voltarmi, camminiamo verso la stazione della metropolitana, dove la città ci ingoia per poi sputarci in una periferia altrettanto escludente.