Trent’anni

di Giovanni Caruso

10 aprile 2015
In relazione alle notizie di stampa diffuse in data odierna da varie fonti in ordine all’esercizio dell’azione penale nei confronti di Mario Ciancio Sanfilippo ed alla avvenuta designazione del Giudice dell’Udienza Preliminare, si precisa che in data 1 aprile 2015 la Procura Distrettuale della Repubblica di Catania ha depositato presso la cancelleria del G.I.P. la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del predetto imputato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e che la designazione del Giudice, non ancora effettuata, avverrà secondo le previsioni tabellari.
Catania ore 20.00
Il Procuratore della Repubblica Giovanni Salvi

La richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa al signor Mario Ciancio, editore e direttore del quotidiano “La Sicilia”, seguirà l’iter che prevede la legge. E noi rispetteremo ciò che la magistratura deciderà.

Ma al di là del percorso giudiziario, noi vogliamo fare una valutazione politica di un avvenimento che per Catania è del tutto nuovo ed eccezionale.

Infatti fino a qualche anno fa era impensabile che la Procura della Repubblica di questa città potesse firmare una richiesta di rinvio a giudizio per uno degli uomini più “intoccabili” della città.

Un uomo che ha determinato l’andamento politico delle amministrazioni che hanno governato e continuano a governare Catania.

Un uomo che non è solo il proprietario dell’unico quotidiano cittadino ma anche uno tra i più invadenti degli imprenditori che hanno determinato l’economia di Catania, e non per il “bene comune” ma per gli interessi propri e dei comitati d’affari a lui vicini. Un uomo che ha condizionato l’informazione con il controllo dei quotidiani siciliani e nazionali, in barba alla libertà di informazione.

Un uomo che ha corteggiato politici e istituzioni dello Stato, e si è fatto corteggiare da questi.

Un uomo che si è rifiutato, insieme ai suoi fedeli redattori, di ammettere l’esistenza della mafia a Catania.

Questo accadeva solo trent’anni fa, quando un altro giornalista, Giuseppe Fava, veniva ucciso per ordine del clan Santapaola e dell’imprenditoria mafiosa, e da una “Catania bene” omertosa e vigliacca. Una città che accettò le “verità” avvelenate di Toni Zermo, infangando il nome di questo giornalista libero che lottava per una informazione eticamente corretta costruita sulla verità.

Fava-32

Insomma, se mai si farà questo processo, non sarà solo il processo all’imputato Ciancio, ma alla Catania collusa, ai comitati d’affari e a tutti e tutte coloro che in questi ultimi trent’anni hanno girato la testa dall’altro lato mentre si consumava il “caso Catania”, mentre gran parte della magistratura pensava al potere, mentre si lasciava solo Giambattista Scidà, unico magistrato a lottare per la verità, contro le ingiustizie sociali a partire dai quartieri popolari e dai minori che li abitano.

Forse qualche politico, qualche notabile e qualche imprenditore sarà preoccupato per questo processo. Dove finalmente le bugie lunghe trent’anni lasceranno il posto alla giustizia e alla verità.

UNA LAPIDE A CATANIA

5 gennaio 1985
“Qui è stato ucciso Giuseppe Fava. La mafia ha colpito chi con coraggio l’ha combattuta, ne ha denunciato le connivenze col potere politico ed economico, si è battuto contro l’installazione dei missili in Sicilia”
Gli studenti di Catania