San Libero – 8

Oggi ci sono due contributi sul comunismo e dintorni, uno da un carcere di Novara e l’altro da una libreria di Catania. Conviene leggerli insieme (non è obbligatorio essere “comunisti” per farlo).


Opinione personale. Non c’è stato il comunismo, in realtà. Ci sono stati i comunisti. Erano loro che facevano paura.


Comunismo 1/ Lettera aperta all’on. Veltroni, di Carmelo Musumeci
Onorevole Veltroni, sono un ergastolano che ha subito varie condanne: sono stato assolto per alcuni reati commessi e condannato per altri che non ho commesso. È inutile commentare quando si parla di differenza tra verità “vera” e verità “processuale”, inoltre non le sto scrivendo per questo ma per dire che lei è un privilegiato, al pari di Berlusconi, per non aver bisogno del comunismo.
Io non me ne intendo di politica: è un lusso che non mi sono mai potuto permettere, occupato com’ero a sopravvivere, ma sulla Sua uscita “Comunismo e libertà sono incompatibili” voglio dire la mia.
Sono nato in Sicilia, in una terra bellissima, ma in un ambiente che ancora oggi conserva difficoltà drammaticamente attuali, vi ho vissuto fino all’età di dieci anni per poi emigrare al Nord. Non avevamo una casa comoda dove abitare, il lavoro scarseggiava, ho avuto difficoltà di potermi inserire in una regione diversa da quella di origine, il tutto fu molto difficile, così intrapresi la strada del violare la legge…
In questi lunghi anni di carcere, oltre che studiare; ho scrutato la mia coscienza e il mio animo, sviscerando le vicende e sondando gli ambienti che hanno nutrito e formato nel tempo la mia personalità, determinando i miei comportamenti sociali fino al punto di condizionare negativamente la mia vita di uomo. In conclusione non mi vergogno di essere stato un delinquente, forse lo sono ancora, perché non mi considero un criminale ma piuttosto un ribelle che ha lottato e lotta contro una situazione ed una società ingiusta. In carcere è ancora peggio, perché rifiutandomi di diventare un vegetale e decidendo comunque e sempre di resistere a conservare la propria identità umana, vengo spesso punito.
Tutto questo discorso, forse mi sono prolungato troppo, per dirLe che io, oltre a non vedere il comunismo, non ho visto neppure la libertà. Avrei preferito vivere in una società comunista che essere libero fin da bambino di vedere il mio vicino mangiare tre volte al giorno, ed io una quando non saltavo, ed essere libero di vedere i suoi figli andare a scuola mentre io all’età di otto anni facevo il muratore, ed essere libero di vedere i ricchi e i potenti frala sempre franca ed i poveracci andare in galera, ed essere libero di vedere chi ha troppo e chi ha niente…
Ripeto, io non me ne intendo di politica e non so neppure se sono comunista, ma credo che una società più libera e giusta è racchiusa nelle tre famose parole: libertà, fraternità, eguaglianza.
Io credo che noi tutti nasciamo comunisti perché fondamentalmente sta nella nostra natura esserlo, poi crescendo, come è capuitato a Lei, si diventa altro. Vede, on. Veltroni, in un Paese comunista questa mia lettera forse verrebbe pubblicata, e non cestinata come accadrà, ma non importa, io ho espresso ugualmente ciò che penso, a chi vorrà leggermi, ai miei due giovani figli e alla loro madre.
(È possibile contattare Carmelo Musumeci tramite Giancarlo Zilio, fax 049.720485)


Comunismo 2/ Un dibattito a Catania, di Sergio Failla
“È ragionevole, chiunque lo capisce. È facile. Non sei uno sfruttatore, lo puoi intendere. Va bene per te, informatene. Gli idioti lo chiamano idiota, e i sudici, sudicio. È contro il sudiciume, è contro l’idiozia. Gli sfruttatori lo chiamano delitto. Ma noi sappiamo: è la fine dei delitti. Non è follia ma invece fine della follia, non è il caos ma l’ordine, invece. È la semplicità che è difficile a dirsi”. Bertolt Brecht parlava di una cosa chiamata (ai tempi suoi) comunismo. Non sappiamo quanto ce n’era all’incontro, alla libreria Tertulia di Catania, organizzato da Rifondazione Comunista il 20 novembre su “L’utopia possibile : conversazione sul comunismo e le libertà. A tenere la conversazione c’era Niki Vendola.
Avevo conosciuto Niki Vendola un decennio fa. Un ragazzino in gamba, sbarazzino. Era nella FGCI, allora – funzionario. Lo ritroviamo oggi con un vestito troppo gonfio e una cravattona enorme, tutto lisciato – azzimato? si dice così? -. Davanti alla libreria stazionano poliziotti e guardie del corpo – Vendola è ora nella Commissione Antimafia, a fianco di Del Turco. In prima fila, alcune compagne del gruppo lesbico catanese – Niki è gay dichiarato. Fa il suo intervento, cita Gramsci, Marcuse… Intervengono alcuni: compagni? curiosi? presenzialisti? non so.
Mi distraggo mentre l’occhio cade sui libri esposti. Intanto però prendo appunti. Un vecchio compagno mi si avvicina, mi chiede: “Ma tu, prendi sempre appunti? Cosa c’è da prendere appunti, qui?”. Il discorso di Vendola è quello di un ex che è alla ricerca di una ridefinizione – come tutti noi, credo. Dice di Croce che si affacciava sulla sua Napoli invicolita e indicava la gente dei vicoli, chiamandoli “teste lisce come palle di biliardo”. L’egualitarismo comunista non può essere lo stesso dell’elitarismo liberale (o liberista). Dobbiamo avere il coraggio di guardare alla nostra storia, dice Vendola, proprio grazie al crollo del muro di Berlino possiamo finalmente procedere a una analisi comunista di quello che sono stati i regimi dell’Est Europeo. E nello stesso tempo vedere il presente, caratterizzato da una modificazione morfologica che ha colpito il lavoro, la città, il rapporto tra le generazioni. Una società che crea atopie, che isola. Il comunismo allora può essere il tentativo di spezzare l’infinita solitudine che ci avvolge, un antidoto concreto e alternativo alla solitudine. La riaffermazione della forza del pensiero critico, del gioco, della tenerezza. La percezione dell’interezza del genere umano – Gramsci che ricorda il vecchio compagno operaio analfabeta e torinese che alla fine delle riunione si avvicinava a lui e gli chiedeva: “Compagno, ma in Giappone, cosa succede in Giappone?”. Il comunismo non come risposta a tutti i problemi del mondo, ma domanda: radicale e spregiudicata, che nel momento in cui viene posta, smaschera bugie e infingimenti.
Quello di Vendola è il discorrere di una ricerca. In questa ricerca, emergono tutte le contraddizioni dello stato attuale – la sconfitta della sinistra, la frammentazione, l’incapacità a trovare identità e radicamento nei territori. Vendola dice che non esiste più il lavoro, ma solo il mercato del lavoro – ma poi cita le statistiche dei giornali che ricordano come ogni giorno solo in Italia 55 bambini subiscono incidenti sul lavoro. Vendola guarda con ammirazione alle radici del pensiero religioso cristiano: Paolo di Tarso, Cristo sulla croce. Ma poco prima ha dovuto ricordare come proprio dalla chiesa cattolica è venuto il no alla sua proposta di legge contro la discriminazione sessuale, subito accolto dal Polo e da parte dei partiti della coalizione al potere. Ammette: ci mancano le parole, non abbiamo le parole che ci occorrono, nella nostra cassetta degli attrezzi ci mancano alcuni strumenti che ci servirebbero e che non abbiamo.
A Catania, in questi mesi, i gruppi della sinistra stanno cercando. Attraverso incontri e dibattiti. Dopo alcuni anni di sostanziale silenzio, c’è una ripresa quantomeno del desiderio di tornare a interrogarsi su (noi) se stessi, sulle coordinate nelle quali ci muoviamo. Rifondazione Comunista, con Luca Cangemi e Chiara Platania, la rivista Città d’Utopia con Antonio Pioletti e Gabriele Centineo, hanno creato occasioni d’incontro – ne abbiamo dato testimonianza nei numeri scorsi di Girodivite -. La sensazione è che, se si sta ripartendo, lo si sta facendo da un livello estremamente frammentato, stentato, “quattro gatti della sinistra” che si riuniscono per celebrare i propri riti senza più credervi. Ma, anche, in alcuni, il desiderio forte di una resistenza, contro l’omologazione, il livellamento che ci vuole tutti fedeli sudditi di una globalizzazione grigia come il piombo.


Un piccione becchetta sull’impalcatura dietro la finestra. C’è stata tempesta stanotte, ma lui è ancora vivo. Lo guardo con interesse e solidarietà.


GDA n. 4 wrote: <Stavo proprio pensando che le catene di s. bill, alla fine, non sono proprio assolutamente inutili, se in principio ti danno da pensare al numero di neuroni liberi che sono ancora in circolazione e ti intasano il compiùter, nel contempo ti fanno fare un sacco di conossienze piuttosto interessevoli. Continuate a mandare e ciao>
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Allora bill qualcosa di buono l’ha fatta, eh? Ma non sarai mica uno sporco windowiano? :-) Oppure per bill intendi Clinton? Oddio: mica sei weltroniano, invece? Comunque grazie, la lotta continua e – come fiduciosamente disse il compagno Spartaco nel 70 a. C. – “fascisti borghesi ancora pochi mesi”.
Hasta siempre, bambulé e voscenzabbenedica.
ricc