San Libero – 361

30 aprile 2008 n. 361
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La paura “percepita”

L’altro giorno a Palermo – città felicissima sotto ogni altro punto di vista – si sono verificati due fatti di cronaca nera. In via Perpignano dei lavavetri bengalesi hanno lanciato schizzi d’acqua contro automobilisti che, a quanto pare, non  intendevano avvalersi dei loro servigi. In via Maqueda, quasi contemporaneamente, un operaio senegalese è stato rapinato da due giovani palermitani e, avendo reagito, è stato accoltellato al viso: guaribile in pochi giorni salvo complicazioni.

La “Repubblica” di Palermo, che è un giornale civile, democratico e “di sinistra” (molto più, comunque, della media dei giornali italiani), ha dato le due notizie come segue:
– per i lavavetri mascalzoni: titolo corpo 48 a 5 colonne (apertura di pagina), occhiello corpo 24, foto, 93 righe di testo con sottotitolo di 5 righe;
– per i rapinatori palermitani: titolo corpo 16 a una colonna (fra le “in breve”), 25 righe di testo.

Ecco: sembra che ci sia una grande insicurezza percepita in questo paese, e per carità: ognuno ha il diritto di percepire quel che gli pare – persino a Palermo – e di regolarsi di conseguenza. Sarebbe meglio però se i giornali e le televisioni facessero gioco pulito, lasciandoci percepire in santa pace quel che in effetti c’è e non quel che vogliono farci percepire loro.

E non parliamo solo dei lavavetri: la percezione, per esempio, che la gente ha avuto della crisi di governo (“non si può lavorare con tutti questi sinistriradicali che fanno casino in continuazione”) è stata per l’appunto una “percezione”, e non una realtà.
Il governo Prodi è stato un governo in cui le varie componenti criticavano fastidiosamente (come in tutti i governi di coalizione: ahimè, è la democrazia) ma poi votavano tranquillamente per come dovevano votare. Nell’unica occasione, non determinante, in cui un paio hanno votato contro sono stati immediatamente espulsi dai loro partiti (non sono stati giustiziati sommariamente: ma ahimè, anche questa è la democrazia). Il governo è poi caduto perché la sua componente di destra ha ritenuto di non riconoscervisi più  e gli ha votato contro: e anche questa, tutto sommato, è democrazia.

Se andate a rileggere i giornali – quasi tutti – su questo tema trovate una “percezione” ben diversa, sulla quale è stato – ideologicamente – costruito il “corriamo da soli” e tutto il resto. Io personalmente non ritengo vincente l’operazione che è stata fatta; ma il punto non è questo, è che un’operazione politica di così vasta portata – scioglimento dell’Ulivo, cambio radicale di politica, trasformazione di un partito di sinistra in un partito di centro – è stata portata avanti a colpi di “percezione” calata dall’alto, artificiale. Questo è essenzialmente il motivo per cui è difficile avere una grande opinione dei colleghi giornalisti, anche evitando di esprimerla nei coloriti termini che usa Grillo. Il quale, pessimo nella forma e nello stile, su questo tema ha assolutamente ragione nella sostanza.

Quanto a me, ritengo che l’insicurezza della gente sia grande, ma che essa nasca principalmente dalla precarietà delle condizioni di vita (prezzi sempre più alti e lavoro sempre meno sicuro) che metà delle famiglie italiane sperimentano ormai di persona. La paura degli immigrati è una paura, per così dire, sostitutiva: basta farla “percepire” (e i mezzi non mancano) per far dimenticare la paura vera, quella che rischierebbe di essere molto scomoda sia per i padroni di destra che per quelli. per così dire, “di sinistra”. Si è verificato altre volte (“La colpa dell’inflazione? Degli ebrei!”) e di solito, prima della catastrofe finale, per qualche anno ha funzionato.

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Roma/ 1

Casca il portiere dal terrazzo e muore. La gente – è ora di prendere l’autobus – scavalca il corpo sul marciapiede, cercando di non sporcarsi le scarpe. Siamo in via Nomentana, incredibilmente. Mancano pochi giorni alle elezioni.

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Roma/ 2

E’ rimasta neutrale, la comunità ebraica, fra Alemanno e Rutelli. Poche ore dopo la vittoria c’erano già i saluti romani in Campidoglio. Penso al dolore del vecchio Toaff, e alla cecità di coloro che pur l’avevano avuto per rabbino.

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Meno male che ha vinto

Bossi: “O andiamo al voto o c’è la rivoluzione. Troveremo le armi”.

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Cronaca nera

Padano ubriaco uccide calciatore

Vigevano Un automobilista che guidava con un tasso alcolico tre volte superiore al consentito ha
investito e ucciso, la scorsa notte a Vigevano, un giovane di 26 anni, Alessandro Tornari, residente a Brallo di Pergola, nell’Oltrepo Pavese. La vittima aveva appena terminato un torneo di calcetto.

Umbri violentano ragazzina

Violentata e ripresa col telefonino dal branco: accaduto a Gubbio (Perugia) ad una ragazza iscritta al primo anno dell’Itis “Maria Letizia Cassata” che sarebbe stata costretta ad avere rapporti con tre compagni dello stesso istituto scolastico. Il caso è affidato al Tribunale per i Minori.

Terrore sull’autobus col barese

Autista arrestato per aver tentato uno stupro sul bus. La vittima è una ragazza georgiana convinta a sporgere denuncia dalla propria famiglia.  Dopo le ore 20 la donna era salita sul bus per tornare a casa e aveva all’autista di avvisarla quando fossero arrivati nei paraggi. L’autista non solo non l’avvisa ma appena la donna resta sola sul mezzo raggiunge il capolinea in una zona isolata, chiude le portiere e pretende prestazioni sessuali.

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Quale America

Si dimetterà l’onorevole Veltroni? La colpa delle sconfitte è di Prodi (“la gente mi ha scambiato col suo governo”), di Rutelli (“ha fatto come Al Gore”), di tutti ma non sua. Benissimo: può avere anche ragione, ma anche in questo caso i politici occidentali, “right or wrong”,  si dimettono (Churchill aveva appena vinto la seconda guerra mondiale quando perse le sue elezioni: e si dimise all’istante). Da quale Occidente, da quale America viene il signor V.? Nato in una nomenklatura, cooptato e non eletto, egli a quanto pare continua ad avere la cultura profonda dell’apparatnik: le idee giuste prevarranno, poiché sono *ideologicamente* giuste; si tratta solo di tener duro. Ieri l’ideologia era filooperaia, ora è per gli imprenditori: ma sempre di ideologia si tratta, di qualcosa cioè che non si può mai mettere in discussione. Per questo è irresponsabile lasciarlo lì e più irresponsabile ancora sostenerlo “in nome del partito”. Breznevismo puro.

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Trattato di politica italiana in 24 volumi (sintesi)

1) Gran parte degli elettori fa l’operaio, o comunque il lavoratore dipendente;
2) Conviene cercare i voti di questa parte dell’elettorato e non della minoranza che fa l’imprenditore;
3) E’ utile a questo scopo difendere prioritariamente gli interessi dei lavoratori dipendenti;
4) La politica si fa distribuendo volantini davanti alle fabbriche e organizzando cellule, sezioni, assemblee e comitati. Se c’è tempo, qualche volta, anche andando ai dibattiti in televisione;
5) Le proposizioni suddette non sono affatto fuori moda o superate. Sono semplicemente scomode, perché individualmente implicano fatica, impegno quotidiano e coerenza di vita.

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San Francesco patrono d’Italia

Purché non gli venga in mente di andarsene a fare il santo a New York o ad Assisi.

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Il prezzo della dignità

In Italia le Ong si mischiano spesso e volentieri a nani e ballerine, costruendo “Fabbriche del sorriso” televisive dove si fa credere alla gente che per cambiare il mondo in meglio la politica non serva a niente: molto meglio allentare il portafoglio con un bel messaggino solidale e poi via a consumare peggio di prima. Le molle di questo marketing sociale sono il senso di colpa, il dolore di fronte alle tragedie umane, i volti di bambini che per farci stare più tranquilli è meglio che muoiano di fame o per guerre quando saranno grandi e maggiorenni, così nessuno ne sarà responsabile. Una solidarietà/cerotto che abdica al suo ruolo politico, non punta alla rimozione delle cause e può andare a braccetto con qualunque palinsesto televisivo, a condizione che il dito si punti sulle disgrazie altrui e non sulle violenze che le provocano. Pecunia non olet, basta che i soldi arrivino e che la macchina della solidarietà continui a macinare una emergenza via l’altra.

Ma altrove, e nemmeno troppo lontano da noi, c’è chi si ribella a questa cultura, e considera la dignità delle persone più importante del bilancio della propria associazione. Tra questi c’è il pediatra svizzero Beat Richner, membro della Fondazione Kantha Bopha, attiva in Cambogia con diversi ospedali per bambini. 91 mila dollari sono una cifra ghiotta per chi si occupa di queste cose, ma ciò nonostante Richner li ha restituiti alla signora Carla Bruni in Sarkozy, che aveva ottenuto quei soldi mettendo all’asta un suo nudo fotografico del ’93.

Il pediatra, che conosce quella terra da più di trent’anni, ha dato una lezione di dignità e rispetto delle altre culture spiegando che in Cambogia l’uso artistico del nudo non è compreso come in Occidente, e che ha rifiutato il denaro “per rispetto verso i miei pazienti e le loro madri”. Secondo Richner per la gente della Cambogia “accettare denaro che viene dallo sfruttamento di corpi femminili sarebbe percepito come un insulto”. Per raccogliere soldi da destinare agli ospedali, il dottor Richner preferisce il fai-da-te: va in giro a suonare Bach col violoncello, pubblica libri per bambini e organizza spettacoli e performance. [carlo gubitosa]
Info: www.beat-richner.ch

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Aprile in una città del sud

L’uomo che parlava, un partigiano, era molto vecchio e la voce usciva piano dal microfono. Raccontava. La guerra, l’otto settembre, il re che scappa, i tedeschi, la montagna. Parlava lentamente, ma senza esitazioni, e si sentiva abbastanza bene perché, nella grande piazza, c’era un silenzio teso.
A un certo punto ha cominciato a dire i nomi dei siciliani, di quelli che in quel momento ci avevano reso onore. Uno era un ufficiale dell’esercito, aveva scatenato la guerriglia e alla fine era diventato – lui, siciliano – il comandante di tutti i partigiani del Piemonte. Una era una maestrina, una ragazza, presa mentre portava i messaggi dei partigiani. Torturata, ammazzata: ma non ha parlato. Un altro un professore di liceo, morto nel lager ma mai arreso agli aguzzini.

Il vecchio raccontava questi nomi – comandante Barbato, Graziella Ligresti, professor Salanitro – e la  voce del vecchio, senza che lui lo volesse, si faceva più alta e più allegra. Allegra, sì: questi – diceva senza dirlo, mentre raccontava i dolori – questi siamo noi  siciliani. Noi siamo  quel che siamo, ci conosciamo benissimo, voi ed io; ma siamo anche capaci di tirar  fuori dal nostro interno, quando l’orrore sembra invincibile, della gente così: il comandante, la maestrina, il professore. Gente che sa resistere, che sa morire se occorre, che alla fine vince.
E questa serenità si spargeva per la piazza: non più una giornata d’orgoglio, un tener duro, ma una giornata felice,  di buon cammino, di inizio di qualcosa.

La sera, dei giovani hanno parlato di libera informazione. Anche nel resto d’Italia se n’è parlato, ai meeting di Beppe Grillo; ma qui eravamo in Sicilia, nell’isola degli otto giornalisti ammazzati, e dunque qui si volava ben più in alto.
Non c’era bisogno di urlare forte, di gridare “vaffanculo”. Bastavano i nomi e le storie – anche queste resistenziali – per dire tutto ciò che c’era da dire e, anche qui, per indicare una strada. Lavorare insieme, fare informazione moderna e onesta, non mescolarsi mai coi padroni, costruire.

“Non ci sarà mai una notte così lunga che alla fine non si veda il giorno” ha concluso il vecchio partigiano. E tutti hanno annuito convinti.  E in realtà non servivano altre parole. E questo è stato il nostro venticinque aprile, in una città del sud che è Catania e in cui per il momento comandano ancora i padroni.
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Emigranti

Berto Barbarani wrote:

< Fulminadi da un fraco de tempesta,
l’erba dei prè par ‘na metà passìa,
brusà le vigne da la malatia
che no lassa i vilani mai de pèsta;

ipotecado tuto quel che resta,
col formento che val ‘na carestia,
ogni paese el g’à la so angonia
e le fameie un pelagroso a testa!

Crepà la vaca che dasea el formaio,
morta la dona a partorir ‘na fiola,
protestà le cambiale dal notaio,

una festa, seradi a l’ostaria,
co un gran pugno batù sora la tola:
“Porca Italia” i bastiema: “andemo via!”

E i se conta in fra tuti.- In quanti sio?
– Apena diese, che pol far strapasso;
el resto done co i putini in brasso,
el resto, veci e puteleti a drio.

Ma a star quà, no se magna no, par dio,
bisognarà pur farlo sto gran passo,
se l’inverno el ne capita col giasso,
pori nualtri, el ghe ne fa un desìo!

– Drento l’Otobre, carghi de fagoti,
dopo aver dito mal de tuti i siori,
dopo aver fusilà tri quatro goti;

co la testa sbarlota, imbriagada,
i se dà du struconi in tra de lori,
e tontonando i ciapa su la strada! >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)