San Libero – 314

20 dicembre 2005 n. 314

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Altro che Mani Pulite. Questa è più grossa. I giudici sono meno liberi di prima, e i giornali molto meno curiosi. Ma a parte questo, il film è lo stesso (con Fioroni che fra dieci anni si protesterà vittima dei giudici communisti, ma intanto canta come un fringuello). Che sarebbe successo se la sinistra avesse avuto il coraggio di appoggiare davvero, dieci anni fa, la Mani Pulite di allora? Stavolta, invece della P2 classica, il terreno di cultura sembrerebbe una specie di P2 cattolica (ma oramai chi non è “cattolico” nei palazzi?), abbastanza trasversale anche se, al solito, i Mackie Messer più kitsch provengono da destra.

E’ ormai  vent’anni che in Italia comandano gli imprenditori. “Impresa” parola magica (mercato, quotato, imprenditore) come una volta in Russia “socialismo”, e più o meno per gli stessi motivi. Quanto ci hai rimesso, tu personalmente, con Tanzi? E ora, con la Banca d’Italia a Regina Coeli? Cifre che non saprai mai e che vanno sommate all’inflazione.

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Beni mafiosi. Continua la campagna di Libera per la confisca e la ridestinazione dei beni mafiosi. Fra questi ultimi, dopo una serie di terreni, caseggiati, palazzi, negozi, supermercati, fattorie, alberghi, industrie, pollerie, piantagioni, allevamenti e altre imprese, l’Ufficio studi dell’associazione fondata da don Ciotti ha individuato un’intera isola, situata fra Villa San Giovanni e Pantelleria, che da tempo si trova – in seguito a una serie di operazioni sia imprenditoriali che strettamente criminali – in possesso di Cosa Nostra. A questo punto gli esperti di Libera non hanno avuto dubbi: l’isola dev’essere tolta alla mafia e restituita ai cittadini. La vicepresidente dell’associazione, una farmacista palermitana, è stata incaricata di recuperare l’isola e di predisporne un piano di riutilizzo a fini socio-occupazionali, con particolare attenzione per il problema della disoccupazione giovanile.

L’iniziativa, che ha avuto il benestare della classe IIC dell’Istituto Tecnico Statale “Pirandello” di Ravanusa, dell’operaio Labarbera Emanuele dell’Apeds (Industria Prodotti e Derivati Solfiferi) di Vigata, chiusa da dieci anni, della signora Russo Maria Rosaria, casalinga di Villabate (PA), e di alcuni milioni di altri cittadini siciliani, è attualmente all’attenzione dei principali esponenti politici nazionali, da tempo impegnati nel Riscatto del Mezzogiorno e nella Riforma della Politica. Fra essi spiccano gli onn. Francesco Rutelli (“Ah, ci vorrebbe uno Sciascia per quest’altra Borsellino!”) e Massimo D’Alema (“Non vediamo l’ora di allearci coi leghisti siciliani di Lombardo”).

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Locri, Valdisusa, Borsellino, Messina… Che cos’hanno in comune? Sono tutte cose che tre mesi fa non esistevano e nascono in risposta a situazioni disperate in cui le persone comuni, visto che non c’era altro da fare, hanno scavalcato i poteri e le opposizioni ufficiali e hanno cominciato a fare opposizione da sè. Qua gli studenti affrontano una dittatura mafiosa che lo stato non è capace di estirpare, là i cittadini difendono dagli intrallazzi la loro valle; qua si scelgono da sè il candidato di sinistra, visto che altrimenti gli tocca votare per chissà chi; là vincono a mano bassa un’elezione, nella città più sgarrupata d’Italia, votando il nuovo sindaco ma non i suoi vecchi partiti. Questa è la prima cosa in comune: la gente è stufa. E la seconda? Che tutte queste cose sono vincenti. In Calabria per la prima volta c’è un movimento antimafia, con carte da giocarsi sul piano nazionale. In Valdisusa, il governo è dovuto scendere a patti e i metodi G8 stavolta non hanno pagato. A Messina s’è preso il sindaco, e – se continua così – si rischia di prendere pure la regione. La sinistra sta al seguito, ma quella che sta venendo fuori di   di prepotenza è la vecchia cara sfigata “società civile”.  Sta succedendo qualcosa, e non all’improvviso.

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Giudici. Procedimento disciplinare, sospensione dalle funzioni e sospensione dello stipendio in vista per il giudice di Camerino Luigi Tosti che, essendo fra l’altro di altra religione, si era rifiutato di tenere le udienze sotto il crocifisso. Interessantissime le motivazioni con cui l’Avvocato Generale Antonio Siniscalchi e Procuratore Generale Francesco Favara motivano la punizione.

“Il dott. Tosti – scrivono dunque costoro – si sottrae ai propri doveri di ufficio, che scaturiscono da un rapporto di impiego, per un preteso inadempimento da parte dello Stato che continua a non rimuovere dalle aule di udienza il simbolo della religione cattolica a lui estranea. I motivi addotti per sottrarsi all’obbligo della prestazione non possono giustificare, a prescindere dallo loro fondatezza o meno, l’inadempimento, così come non lo potrebbe una qualsiasi altra ragione eventualmente legittima con riferimento a posizioni o comportamenti dello Stato in ordine a diverse altre apprezzabili problematiche (partecipazione ad atti di guerra, provvedimenti razziali ecc.) che, comunque, restano estranee agli obblighi derivanti da un rapporto di impiego”.

Traduciamo:
1) Il giudice è un impiegato.
2) Gli impedimenti che egli invoca non sono fondati.
3) Ma anche se fossero fondati, non avrebbe alcuna importanza.
4) Se lo Stato facesse addirittura delle leggi razziali, continuerebbe a non avere importanza.
5) Egli, come giudice-impiegato, non avrebbe alcun diritto di obiezione e dovrebbe continuare a fare il suo mestiere impassibilmente.

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Nel 1936 ai magistrati italiani venne fatto esattamente questo tipo di discorso. “E’ vero, abbiamo fatto le leggi razziali per perseguitare gli ebrei. Tu devi applicarle tranquillamente perché sindacare la legge non è affar tuo”.

Oggi in Italia, a differenza che nel ’36, vige una Costituzione che prevede formalmente che non si possono perseguitare gli ebrei (nè applicare leggi altrettanto odiose). Non perché è antipatico, inumano, ecc. Ma perché, giuridicamente, è *vietato* da una legge precisa, la Costituzione. Ma la Costituzione vieta al cittadino di perseguitare gli ebrei o invita semplicemente il legislatore a non far leggi in tal senso? Il dibattito, nella giurisprudenza italiana, è vecchio e, fin qui, abbastanza teorico. Ma adesso, lo Stato – nella persona dei dottori Siniscalco e Favara – dice esplicitamente: “Alla Costituzione, ci pensiamo noi. Tu, obbedisci al Governo e zitto. Ciò su cui tu devi giudicare, per quanto ti riguarda, non ha direttamente a che fare nè con alcuna morale nè con la Costituzione”.

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Se lo Stato italiano, oggi come nel 1936, facesse delle leggi razziali – cioé gravemente ed evidentemente lesive dei principi su cui si basa la Costituzione – il magistrato Tosti avrebbe, ai sensi di legge, l’obbligo di allertare i cittadini e di opporsi immediatamente ad esse con ogni mezzo. Non sarebbe affatto autorizzato a continuare a giudicare come se nulla fosse, poiché la violazione di questi principi non costituisce affatto un'”apprezzabile problematica” ma una rottura violenta del patto sociale fra cittadini e Stato. Nulla potrebbe in questo caso invocare l’Autorità per essere obbedita, e men che mai  uno stravagante “rapporto d’impiego”. E’ esattamente questa la differenza che intercorre fra fascismo e democrazia, fra Stato totalitario e Repubblica Italiana.

La posizione dei pubblici ufficiali Siniscalco e Favara, nella sua “innocenza”, è dunque profondamente sovversiva dell’ordinamento dello Stato – del nostro Stato. Ed è l’indizio di come, di buffonata in buffonata, si sia ormai diffusa l’idea che la Costituzione sia più che altro un testo letterario di cui ognuno può tener conto o meno a suo piacere.

Il giudice Tosti non finirà probabilmente in galera per una cosa del genere, ma certo ne avrà la carriera troncata: per aver difeso la Costituzione. Un giudice in meno, un episodio di “piccolo” fascismo in più. Spiace che, su questo, non siano intervenuti Ciampi e il Csm.

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E ora? Lodi Ladrona?

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Memoria. Resterà probabilmente impunito l’omicidio dell’agente Antonino Agostino,  ucciso dalla mafia a Palermo il 5 agosto 1989. Il Sisde, per cui D’Agostino lavorava, ha infatto opposto il segreto di stato alla richiesta di elementi d’indagine da parte della Magistratura.

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Mp3 per sordi. Antonino di mestiere fa l’avvocato specializzato in diritto delle nuove tecnologie, e per hobby fa il pirata, rimpinzando il suo computer con ogni genere di file musicale in formato Mp3, ma c’è un piccolo particolare: Antonino è sordo. “Inizialmente compravo Cd musicali che ascoltavo a volume altissimo – mi ha spiegato – e in questo modo riuscivo a percepire le vibrazioni delle onde musicali che mi attraversavano, e mi piaceva seguire il ritmo dei brani e le frequenze che entravano in risonanza con il mio corpo. Poi questa abitudine è diventata troppo costosa: in fin dei conti ogni brano lo ‘ascoltavò solamente un paio di volte, ed è così che ho cominciato a scaricare musica da Internet. Qualche giorno fa ho perso un disco esterno dove conservavo tutto il mio archivio di Mp3, ma non mi sono disperato eccessivamente, perché probabilmente molti di quei file non li avrei mai più riascoltati. Oggi però mi chiedo se non è possibile studiare dei sistemi alternativi per riconoscere comunque un compenso agli autori della musica che ho scaricato, senza però essere costretti all’oneroso acquisto di un Cd”. Chi pensa che internet serva per ascoltare musica a scrocco dovrà ricredersi: c’è chi usa la rete per sentire vibrazioni anche senza ascoltare nulla, e sarebbe perfino disposto a pagare qualcosina. [carlo gubitosa]

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Cartolina da Santo Domingo. Edicole. C’è ne sono pochissime in città. I giornali si vendono ai semafori: scatta il rosso e tre o quattro ragazze girano tra fila e scarichi delle macchine. Al prezzo di 15 peso, 40 centesimi di euro, trovi il Listin Diario, El Caribe e il Nacioal. Diario Libre e El Dia sono gratis, free. Questi i più “presenti sul mercato”. Molto diffuso anche l’abbonamento mattutino: passa il ragazzo in bici e butta la copia, imbustata, sotto casa. [rocco rossitto]

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Cartolina da una valle occupata. Non avevo mai visto sindaci prendere manganellate dalla polizia e dire subito dopo: “Non è importante questo”. Non avevo mai visto donne sessantenni, famiglie col figlio in carrozzina, gente comune, scendere, sotto la neve, per i sentieri fangosi di montagna per dire no a qualcosa che li riguarda. Mai visto. Né una valle intera scendere nei prati, tra i lacrimogeni, e restare. Per dire: “Vogliamo dire la nostra”.
Non mi è mai capitato di rilevare che un amministratore leghista, un comunista, un democristiano, un verde o un diessino, condividano un’opinione. Una presa di posizione, netta, esattamente opposta di quella che hanno i loro rispettivi referenti nazionali: “Smilitarizzate la valle, stop ai cantieri”, ripetono tutti, anche il leghista picchiato. Mai mi era capitato di ascoltare proposte concrete, moderate, ragionevoli ma rivoluzionarie, come quelle che ho sentito dal sindaco di un paese di mille abitanti , Nilo Durbiano, ex macchinista delle Ferrovie, dello Sdi.

Come ben sai, R., faccio il cronista: ho raccontato Sarajevo, l’Albania, la Palestina, l’Iraq e altro ancora. Ero a Piazza Alimonda quando moriva Carlo Giuliani. Ho visto, e raccontato, tutte le principali manifestazioni in Italia da venti anni ad oggi. Ma mai mi era capitato di vedere un prete attraversare i campi, chilometri, per andare a fare messa, perché bloccato al check point.
In Val di Susa, pazientemente, donne e uomini, si parlano da anni. Parlano. Gente normale. Agli amministratori locali, di partiti di governo e di opposizione, sono arrivate minacce esplicite: “Non vi ricandideremo”. Ma loro vanno avanti. Va avanti il dirigente della Asl di Sant’Ambrogio, 49 anni, “padre di famiglia e persona pacifica”, come tiene a precisare. “Sono pronto a sporgere denuncia per quello che ho visto”, dice, dopo che ha assistito alla carica di lunedì notte contro gente che dormiva a presidio del cantiere. “Non avrei mai pensato, mai, di dovermi difendere dai carabinieri”.

In val di Susa suoni ad una porta qualsiasi e chi ti risponde, ne puoi star certo, ne sa più dell’alta velocità di quanto ne sappia Lunardi. Gente normale: “Non pensiamo di avere ragione, ma abbiamo delle ragioni”. “Rimarremo qui fino a Natale. E a Pasqua se serve”.
Adesso il governo, precipitosamente, tratta. Un punto per la Valsusa. Sta al movimento, ora, continuare confrontarsi senza dividersi. [m.panteri]

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Corso di giornalismo. Esercizio. Identificare le 11 marchette contenute nella seguente “breve di cronaca” di un quotidiano locale. “Ha riscosso un grande successo il convegno organizzato dall’Istituto Tecnico Industriale di Carlentini sul mercato del lavoro. Il rettore dell’università di Enna Salvo Andò ha incantato tutti i presenti con la sua appassionata e lucida relazione. Gli alunni e i docenti hanno assaporato ogni parola, applaudendo a più riprese l’oratore. La macchina organizzativa, coordinata dal dirigente scolastico Teresina Peluso e dal fiduciario Nuccio Santagate, è stata semplicemente perfetta. Il dato più importante è che soprattutto i ragazzi hanno profittato della ghiotta opportunità per chiarirsi le idee sulle dinamiche del nuovo mercato del lavoro. Alla fine, erano tutti molto soddisfatti” (“La Sicilia”, 14 dicembre 2005).

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Natale. Tenetevi il telefonino dell’anno scorso.

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Spot. È uscita la Guida 2006 per l’informazione sociale: 492 pagine, 230 tabelle, 461 siti web, centinaia di approfondimenti: i fenomeni letti attraverso cifre, stime e “casi” per capire come il mondo del sociale sta cambiando. E’ realizzata dall’ dall’Agenzia Redattore Sociale (www.redattoresociale.it).
Info: 0734.68191, documentazione@redattoresociale.it

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Spot. Su Arcoiris intervista a Francesco Saverio Borrelli, di Giovanni Dognini (Radio Città del Capo); Inoltre: Locri e dintorni, di Alessandro Gagliardo; Viaggio nella Sicilia di Rita Borsellino; e alcune migliaia di altri video dall’altra faccia dell’informazione.
Bookmark: www.arcoiris.tv

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Memoria. Il movimento Cittainsieme, come ogni anno, invita i catanesi a ricordare Pippo Fava alla lapide alle ore 17 del cinque gennaio. Si propone anche, alle ore 19,30 dello stesso giorno di proiettare, in via Siena, il DVD “La mafia bianca”. Il sindaco di Gela, Crocetta, ha assicurato la sua presenza. Chiunque voglia collaborare alla elaborazione della iniziativa con suggerimenti, proposte e quant’altro può farlo lunedì 19, in via Siena, alle 20,30.

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alessandro wrote:
< Media e politici si guardano bene dal sollevare la questione, ma l’aumento dei prezzi degli ultimi anni – dovuto a euro, caro petrolio, guerra, recessione, concentrazione industriale, speculazione finanziaria, immobiliare e commerciale – ha reso giustizia (postuma) alla scala mobile. Craxi riuscì a convincerci ad rottamare la scala mobile, con la incredibile tesi che essa fosse la principale causa di inflazione. Tant’è, ciulare gli italiani è sempre stato molto facile, dai tempi di “armiamoci e partite!”. I prezzi sono più che raddoppiati in quattro anni. La scala mobile non c’entrava, cari noi, cornuti e mazziati >

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Giandomenico wrote:
< Sulla scelta del Nuovo Grande Compagno mi pare che i rumeni non abbiano avuto dubbi: è Tim-Motorola… >

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Enrico Peyretti <e.pey@libero.it>
< “Perché non destiniamo i fondi per le cd. missioni di pace ai giovani ricercatori e facciamo in tv delle collette per chi vuol pagare le trasferte dei nostri soldati e sostenere la spesa militare?”.  Giustissimo. Sottoscrivo. Con la beneficenza televisiva, il governo scarica sui cittadini volonterosi ciò che deve fare lui con le tasse, invece di fare le guerre. Io a Telethon non do niente. Se moriamo di cancro per ritardo della ricerca, la colpa è di quella politica (anche la sinistra ha fatto la sua guerra, nel ’99) che cura la morte invece della vita >

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Ettore Lomaglio Silvestri (Ass. cult. Sconfiggiamo la mafia) wrote:
< La pubblicazione dell’intervista denuncia fatta da Christian Abbondanza a Tiziana, ex moglie di Vincenzo Mamone, boss della mafia genovese, ha provocato la scomposta reazione della famiglia Mamone che ha minacciato querele e chiesto l’oscuramento della pagina web. Abbiamo colto nel segno! Se han la coscienza pulita perché non affrontano un dibattito pubblico? E poi dovranno oscurare le centinaia di siti dove è stata pubblicata l’intervista. Vi invito a leggere l’intervista sul mio blog >
Bookmark: virgilio.it/noallamafia

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Orfeo Zerbinati wrote:
< Una storiella dice che i tedeschi amano gli italiani ma non li stimano, e gli italiani viceversa. In parte è così, ed in parte è che, come popoli, ci conosciamo poco per contatti diretti e molto attraverso stereotipi. Io ho amici in Germania ed ogni volta che vado a Berlino ne torno un pochino più innamorato, più di Londra o di Parigi. Non credo che i turchi di Kreutzberg faranno un giorno come gli arabi delle banlieu. Attenzione però, Berlino e i berlinesi sono parti speciali della Germania. Quanto ai tedeschi ed alle radici del nazismo, credo che siano geneticamente meno predisposti verso il nazismo di quanto lo siamo noi verso il fascismo; non dimentichiamo Marx, Rosa Luxemburg e magari neanche Lutero. Il senso dello Stato e la disciplina individuale sono le due grosse differenze fra noi e loro, a volte giocano a nostro favore, a volte no. Hitler, se fosse venuto in Italia, avrebbe fatto sicuramente meno danni, però prese da Mussolini la sua idea di regime >

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AntonellaConsoli <libera@libera.it> wrote:

22 dicembre 1988

< Angusta la casa
non trova spazio nemmeno
in una poesia di natale
Viene una ragazza
ogni tanto
con le briciole del suo amore
e si sforza di inzupparle
non sa se ha ancora un cuore
Vedi dove finisce la poesia
e dove finisce la speranza
sgretoli l’ultimo sorriso
contro un muro freddo
Il the non l’hai mai saputo fare
e la tua pipa è parecchio fumosa
In quella casa piccola
piccola come il mondo
ogni tanto viene una ragazza
stanotte ha cercato
tra mille parole
la più bella per dirti
ti amo
Neanche il sole è stato al suo patto
è arrivata con nubi la nuova giornata
Ma che c’entra, che importa
la ragazza cerca ancora
tra mille parole
la più bella per dirti
ti amo >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)
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21 dicembre 2005

Cari lettori,
la strenna che abbiamo scelto quest’anno per gli amici della “Catena” comprende alcune “vecchie” inchieste – nel file allegato – su mafia e P2. Vecchie perché uscirono sui Siciliani a metà degli anni Ottanta; ma ancora purtroppo non prive d’interesse, dal momento che dei protagonisti di queste storie alcuni sono pervenuti alle massime cariche dello Stato mentre altri, emarginati in Italia a seguito delle inchieste della stampa antimafiosa e della Magistratura, si sono poi riciclati a metà Novanta negli Stati Uniti. Dove adesso collaborano – secondo quanto pubblicato da Business Week e dal WSJ e, in Italia, solo dalla “Catena” – alla gestione della security aeroportuale per conto del governo Usa.

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Ci è caro, nel ripubblicare questi articoli, ricordare la forte e cara figura del professor Giuseppe D’Urso, ingegnere, antimafioso, responsabile per la Sicilia dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e uno degli studiosi a cui più si deve per l’avanzamento delle conoscenze sul sistema politico-imprenditoriale mafioso. E’ stato lui a individuare per primo in Italia il rapporto strettissimo fra strutture mafiose e logge deviate della massoneria. E lo sintetizzò in un termine – “massomafia” – su cui ancora oggi ci sarebbe da meditare.

La maggior parte delle inchieste riprodotte in questo libro, per quanto firmate solo da me, sono invece in gran parte anche opera sua. Noi ricordiamo ancora, con orgoglio affettuoso, le serate trascorse per mesi e mesi ad analizzare punto per punto tutti i trenta volumi della Relazione Anselmi (ormai introvabili in Italia), l’analisi delle carte processuali, gli scambi d’informazioni con investigatori e studiosi ai massimi livelli, le discussioni puntigliosissime per valutare esattamente questo o quel dato, per calibrare al massimo ogni singola affermazione. Rarissimamente abbiamo avuto l’onore di conoscere persone in cui in tanto grado si unissero forza civile e acume intellettuale.

Il professore è morto, in solitudine, il 16 giugno del 1996. Non sono molti a ricordarsene oggi – non in pubblico, almeno – perché era un personaggio molto scomodo, non un occasionale entusiasta ma un avversario lucido e pericolosissimo del potere. Ma a noi oggi è grato, nel momento in cui sottoponiamo ai nostri amici questi vecchi ma tuttora affilati strumenti di lavoro, dedicare quest’opera a lui, al compagno Giuseppe D’Urso militante dei Siciliani.

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La “Catena”, per sua natura, non gode di alcun sostegno ufficiale o ufficioso da parte di nessuno. La sua sopravvivenza è affidata unicamente ai sacrifici di chi la compone e diffonde e alla solidarietà dei lettori. Perciò ci permettiamo di sollecitare anche quest’ultima, in un momento assai difficile – per noi come individui: ma carico di speranze per tutto ciò in cui crediamo – che comunque verrà affrontato senza paura come tutti quelli passati.

Ai nostri lettori, agli amici, a tutti coloro che, qui o altrove, sostengono le idee umane e civili di queste nostre cronachette l’augurio di un Natale sereno e di un felice, e coraggioso e utile, anno nuovo.