San Libero – 265

4 gennaio 2005 n. 265

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“E’ la natura il nemico, altro che madre: per lei siamo solo formiche da schiacciare. Uniamoci contro di lei, viviamo meglio; guardiamo la verità in faccia, dignitosamente, cercando di aiutarci a vicenda. E non facciamo cazzate come dichiararci guerre fra di noi. Siamo seri!”.
Va bene, lui (vedi in fondo) l’ha detto meglio, ma la sostanza è questa. Cerchiamo, almeno quest’anno, di diventare tutti quanti un po’ più razzisti – razza umana. L’unica cosa vera, l’unica che ci sarebbe anche senza televisione. Tutte le altre – religioni, razze, imperi, ideologie – sono solo sogni di malati.

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Sicilia e siciliani. La città più di merda d’Italia? Messina. Su centotrè capoluoghi italiani è quello in cui si vive peggio, si fatica di più a tirare avanti, c’è meno divertimento civiltà e cultura, si scappa appena si può verso lidi migliori. Messina, naturalmente, è in Sicilia. Naturalmente, perché in questa triste classifica noi siciliani siamo i campioni. Messina al centotrè, Catania al novantanove, Palermo al centouno.

Colpa della miseria? Niente affatto. Città molto più povere (Campobasso, Matera, Oristano, Chieti: monti agri e brulli, altro che Conca d’oro) in una generazione si sono evolute, si sono civilizzate, e adesso godono di un moderato benessere a metà classifica. Sono in Europa. La Sicilia sta indietro, quasi col terzo mondo. Sprofonda ogni anno di più nella semi-barbarie e nel sottosviluppo.

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Fra tutte le regioni meridionali, la Sicilia è probabilmente la più ricca, o almeno la più dotate di risorse. Ha ottima terra agricola, attorno a Parlermo e Catania (in Calabria la terra fertile è di pochi centimetri appena). Ha acqua in abbondanza, torrenti e fiumi (in Puglia si riuscì a portare un acquedotto solo a fine ottocento). E’ sul Mediterraneo e domina, come Singapore, le rotte di uno Stretto (l’Abruzzo, in fondo all’Adriatico, non ha praticamente porti). Ha industrie modernissime, leader nel mondo, come i cantieri Rodriguez a Messina o la St a Catania (in Sardegna non hanno niente). E’ una delle regioni più popolose e grandi (la piccola Basilicata non si vede nemmeno). Ha una tradizione letteraria terrificante (metà degli scrittori italiani sono siciliani). Ha un’autonomia quasi totale, che Bossi non se la sogna nanche quando s’ubriaca. Ha avuto valanghe di soldi dall’Europa, dalla Germania, dall’America, da Roma, dal nord, dal Mezzogiorno, da tutti. Ha avuto politici d’importanza nazionale, e in questo momento l’Italia è governata da una maggioranza basata su sessantun deputati siciliani. Cos’altro? Il sole, il mare, le opere d’arte, i templi greci? Oppure i suoi pubblici servitori, i centoventi giudici, giornalisti, sindacalisti e funzionari che dal ’48 in poi hanno versato senza esitare le loro vite per la Sicilia? Nessun altro paese al mondo ha avuto tanto. Nessun altro paese è così in basso.

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La colpa è dei politici? Forse. Ma è fin troppo facile dare la colpa a loro. C’è la democrazia, in Sicilia. Possiamo scegliere. Ma scegliamo i peggiori. La mafia, allora? Certamente. La mafia, dovunque esiste, tira al fondo. Ma l’avevamo quasi sconfitta, la mafia, negli anni Ottanta e Novanta: una generazione di ragazzini democratici e due dozzine di giudici senza paura avevano, a forza e sangue, quasi fatto il miracolo, senza aspettarsi nulla dai governi. Ma alla fine il popolo siciliano, democraticamente interpellato, decretò: “No! Noi vogliamo la mafia! Giù le mani!”.

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In tutti i popoli grandi, antichi e infelici – i russi, i polacchi, i siciliani, gli irlandesi – c’è sempre stata una classe di uomini che, in mezzo alla corruzione e al buio più profondi, s’assunsero tuttavia il compito di preservare l’anima della nazione. Tolstoi e Swift scrissero in mezzo all’ingiustizia e al degrado più totali, senza potere, soli. Eppure non rinunciarono mai ad essere orgogliosamente e combattivamente russi e irlandesi. La vasta saggezza anarchica dei mugiki, l’indomita ironia dei Celti, sopravvissero grazie a loro. Essi si sentivano responsabili verso i loro popoli, non verso i palazzi. Non si piegarono mai nè ad adulare potenti nè a scrivere male: svolsero la loro funzione con consapevolezza e orgoglio, diventando dunque gli esempi di tutta una generazione da cui, in tempi migliori, venne poi la ricostruzione generale. Questa classe, con qualche prosopopea, si definì l’intelligentsia – gli “intellettuali” – e copre in realtà un arco vastissimo, dal famoso scrittore all’operaio evoluto, passando per l’università, l’insegnamento, il giornalismo, il dibattito tanto nei bar quanto negli atenei.

Ecco: in Sicilia è esattamente questa classe, quella che ha tradito. E’ questa che bisogna ricostruire, a partire dai giovani. E’ questa che va disprezzata senza indulgenza – i giornalisti siciliani, i politici siciliani, i baroni accademici siciliani – e additata pedagogicamente al pubblico disprezzo. Si può provare compassione per il piccolo delinquente, il “moschillo” della camorra, il killer mafioso (proveniente magari da quartieri miserrimi, Scampia o Palma di Montechiaro); ma non per gli intellettuali traditori.

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A Messina, il principale centro di potere fu per moltissimi anni (fra cosche e logge) l’università. Ebbene, quando uno studente coraggioso, un ragazzo, denunciò questo fatto fu intimidito e isolato non solo dai mafiosi espliciti, dalla destra, ma anche da intellettuali “di sinistra”. Taluno dei quali, come il professor Centorrino, viene oggi portato dai colpevolmente ingenui compagni siciliani a modello non solo di governo alternativo ma altresì di “movimento”. A Catania il monopolio dell’informazione (degno del Cile di Pinochet o della Russia di Putin) ha fra i suoi quadri non solo gl’incolti e rozzi giornalisti “di destra” ma anche quelli, ben più sofisticati e indispensabili, “di sinistra”. A Palermo, coloro ai quali il popolo aveva dato fiducia per la rivoluzione ci misero esattamente due anni prima di dividersi e neutralizzarsi a vicenda per puerili ambizioni personali. Tutto ciò, all’inizio di un anno nuovo, va chiarito, va scritto e andrebbe anzi scolpito a martellate su tavole di bronzo.

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Tutto si può dire in Sicilia oggi, tranne che manchi la chiarezza. Decine di episodi precisi, piccoli e grandi, spalancano gli occhi ai ciechi e le orecchie ai sordi. In aula, il pentito del racket (Fedele Battaglia a Palermo, per esempio) ritratta tutto e fa scena muta. “Nenti saccio”. Per strada, colui che distribuisce volantini contro la mafia viene aggredito e preso a cazzotti dal cognato del politico mafioso. La tivvù siciliana, il giorno dopo, non intervista l’aggredito bensì, ossequiosamente e in ginocchio, il politico “calunniato”, don Totò Vasa-Vasa.

A Mazara, i bravi pescatori della “Don Ciccio” – quelli che trovarono il famosissimo bronzo prassiteliano del Satiro, e che lo portarono immediatamente al museo, invece di venderlo ai mercanti clandestini – hanno passato il Natale incatenati a un palo per protesta, poiché nessuna Regione e nessuno Stato ha ancora versato loro il compenso che meritavano per il rinvenimento. A Portopalo, invece, i pescatori che aiutarono il giornalista Bellu a rivelare la tragedia dei trecento emigranti annegati si tengono lontani dal paese per non essere linciati “per aver parlato male del paese”, come a momenti stava capitando allo stesso Bellu ad opera dell’incivile popolazione locale.

A Palermo, uno dei massimi manager della Regione – Vincenzo Paradiso, di Comunione e Liberazione – viene indagato dalla Procura non per un imbroglio o un intrallazzo qualunque, ma per l’assassinio del giudice Borsellino. A Cinisi, i cinquemila abitanti chiudono porte e finestre, in segno di assoluta estraneità, al passaggio del funerale di Felicia Impastato: tutti quanti mafiosi dal primo all’ultimo, degni d’esser trattati coi metodi di Mori. A Catania, “pacifisti” e “sinistra” affidano allegramente il comune al manganellatore di Napoli, il repubblichino Bianco: la città, che ospita una delle più tremende basi americane, Sigonella, verrà affidata al più filoamericano dei politici siciliani, colui che contestò perfino Craxi per essersi opposto alla Delta Force proprio a Sigonella.

Ciò detto, perché meravigliarsi per i regali che da Roma arrivano, belli infiocchettati, per Cosa Nostra? Via i soldi per l’antimafia, niente macchine per la polizia, niente più protezione ai testimoni, chiudere le sedi (vedi Agrigento) della Direzione Investigativa Antimafia, difendere Dell’Utri e “amici” e anzi fargli le leggi apposta. Ultima ciliegina sulla torta, l’abolizione dello stesso reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che era esattamente il centro dell’elaborazione giuridica antimafiosa, voluto da Chinnici, da Falcone, da dalla Chiesa, da La Torre e Borsellino e disperatamente contrastato – allora invano – da Carnevale, da Iannuzzi, dal Giornale di Sicilia e da tutti gli altri ingredienti del sistema.

Con profondo – certo, non casuale – senso dell’arte la proposta di abolire della legge antimafia non viene affidata a un ex democristiano governativo, nè a qualche ex comunista comprato da Berlusconi: no, l’ordine è raffinato e preciso, ad abolire la legge per la quale i nostri morti hanno lottato dev’essere un uomo d’ordine, un tradizionalista, uno che nei comizi cita Borsellino. E’ un senatore di An, Luigi Bobbio, quello che ha dovuto aprire la bocca per dire “aboliamo la legge di Falcone e Borsellino”.

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Pensate: i due amici giudici che per curiosità s’avvicinano al comizio in cui fra un tricolore e l’altro gli ex fascisti, ora ministri della Repubblica, concionano di giustizia e di governo. Folla che applaude, parole rotonde, ovazioni. Giovanni, che è sempre stato uno scettico, li guarda da lontano appoggiato al muro; ma Paolo, che da ragazzo era nel Fuan, si avvicina sorridendo e incuriosito. “La giustizia? L’ordine pubblico? Bene, e come pensate…”. “Ma lei chi è?”. “Non mi riconosci? Sono Paolo Borsellino!”. “Ah, tu sei Borsellino?”. Sciaff! Un ceffone. “Tu sei quello che voleva il concorso esterno, eh? Prendi!”. Sciaff! Un altro schiaffo.

Per fortuna il servizio d’ordine s’interpone. “Calma camerati calma! Non accettiamo le provocazioni! State calmi! Sono solo due communisti che vogliono provocare!”. Così i due si allontanano senza ulteriori minacce, con Paolo più silenzioso del solito, le dita del camerata ministro che ancora gli bruciano sulla faccia. “Dai, sono politici, non te la prendere – fa sospirando, dopo un minuto, Giovanni – Politici. Che ti aspettavi? Dai, ti accendo una sigaretta”.

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Titolo d’apertura del Sole-24Ore (giornale della Confindustria) il 27 dicembre 2004:
“L’ONDA LUNGA DEI LISTINI”.

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segreteria@circoloafrica.org wrote:
< È assai difficile trovare le parole per esprimere il dolore, lo sgomento e l’abisso emotivo in cui siamo precipitati a seguito delle incessanti notizie provenienti dall’Asia in queste drammatiche ore. Come facciamo ad augurarci Buon anno? E con quale spirito affronteremo il capodanno ormai imminente? Quello che sta concludendosi è un anno che non poteva terminare peggio. Siamo comunque uomini e donne di speranza. Volgendo lo sguardo all’orizzonte non possiamo non immaginarci ancora una volta nello sforzo di erigere un anno migliore di quello terminato >

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totò wrote:
< Un anno fa nasceva la Rete Antirazzista Siciliana. E’ vero, il battesimo lo ha avuto poi, durante le giornate della Cap Anamur, ma è stato un anno fa a Trapani che si è iniziato a pensare ad un progetto di coordinamento tra le realtà che in Sicilia si occupano di immigrazione. Ora è passato un anno. Un anno intenso. Difficile, pesante, a volte angosciante, ma spesso anche entusiasmante ed incredibilmente ricco. E penso a tutto ciò che è successo quest’anno, alle sconfitte e alle vittorie, all’amaro che resta in bocca ed ai sassolini che ci siamo tolti. E penso a tutte le persone che sono state presenti, a quelle che ci hanno supportato, a chi ci segue da lontano… ed in fondo anche a chi ci vuole male. Penso a tutti i ragazzi di Agrigento e Messina, ai ragazzi di Licata e quelli di Ragusa, a quelli di Caltanissetta, Catania, Trapani e… anche tutti i Palermitani. Penso alle ore passate in macchina, alle notti in bianco… Penso a tutto ciò che c’è toccato vedere… Penso a Lampedusa, a Pian dal Lago, al Vulpitta, a San Benedetto, a Ragusa e a Siracusa… Penso anche ai cortei, alla manifestazione di Roma e a quell’incredibile treno… Penso a chi è rimasto con noi in Italia e ora cammina con noi, e a chi non è più in Italia, e a chi non è più tra noi. Infine penso che domani ci rivedremo di nuovo tutti a Trapani, e mi piace pensare che non sia la fine di un anno, ma l’inizio di uno nuovo >

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Giancarlo wrote:
< in questi giorni ho riletto alcune cose tra le più varie che trascrivo qui sotto:
Luigi Berlinguer: “se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’é scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia.”
Don Lorenzo Milani : ” le leggi vanno onorate se sono la forza del debole; altrimenti bisogna avere il coraggio di dire ai giovani che l’obbedienza non é più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni e che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”
Ennio Flaiano: “Il fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi e rassicura la loro inferiorità. Il fascismo é demagogico ma patronale, retorico, xenofobo, sempre pronto a indicare negli altri le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo é lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre. Non ama la solitudine, non ama l’amore, ma il possesso, non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere…” >

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Cartoline per un amico.
I post che seguono sono tratti dalla maillist di Enzo Baldoni che i suoi amici continuano a tenere aperta per la comunità dei suoi amici.
Info: Franco Gialdinelli <franco_gi@yahoo.it>

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< Buon Natale a chi aspetta che le cose cambino e a chi se ne frega perché tanto prima o poi qualcuno farà qualcosa. Buon Natale a Enzo che riposi in pace, lontano da chi non si è preoccupato mai per lui, neanche quando non aveva più la vita.
Pino

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L’energia di quello che lui ha fatto mi ha aiutato in alcune scelte di questo ultimo periodo. Spero che quell’energia, unita alla mia, ritorni ai suoi cari.
Donatella

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Nella speranza che a qualcosa serva lo sforzo che nel suo piccolo ciascuno di noi fa.
Luca

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Mi fa sempre compagnia la tua foto, sbracato sul letto al telefono. So che sei contento di essere arrivato per primo, lassu’, e ci stai preparando un reportage formidabile. So che ci leggi e ci senti, perche’ hai le antenne finissime di sempre e di lassu’ si gode ampia prospettiva. E’ stato tutto cosi’ in fretta e mi lasci a meta’ di tante cose, che volevo dirti, che continuo a dirti in silenzio, sicuro che tu sentirai. Ci manchi, ma ci sei, oh se ci sei perbacco.
lo zio Henri

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Resterai per sempre un punto di riferimento per tutti noi. Buon natale a tutti, nonostante tutto
Lo

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Ciao Enzone, non potrai leggere questa mail stavolta, come facevi le volte scorse. Ci si faceva gli auguri e si scriveva un bilancio di come fosse andato l’anno. Nel 2004 due grandi eventi sono successi, uno di grande gioia e uno di grande dolore: La nascita di mia figlia Giulia – la tua morte. Sai, ti vedo ogni tanto alla tv, non ho ancora realizzato che non ci sei più… per me ci sei sempre stato e ci sei ancora. E’ proprio vero che le persone restano in vita se le conserviamo nel nostro cuore.
Marzia

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Un caro augurio a tutta la famiglia Baldoni da parte mia e della mia Famiglia
Bruno Barbon – Treviso

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E’ bellissimo vedere com’e’ ancora frequentata la mailing list di Enzo, anche dopo tutti questi mesi. Buon Natale a tutti, specialmente alla famiglia di quell’eccezionale reporter che era Enzo Baldoni, che mi ha guidato e continua a guidarmi sulla strada del giornalismo.
Mattia

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Buontempo a tutti i componenti della lista. Evviva Enzo!!!
Salvatore

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Enzo, come le due Simone, sono state fiammelle di speranza di pace e serenità per tutti. Spero che il loro esempio si espanda a macchia d’olio e serva a dare serenità e pace ad Enzo, alla sua famiglia e a tutti noi. Un augurio di pace per il 2005 a tutti ed in particolare a Giusy, Gabriella e Guido
Paolo

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E’ il cuore che parla e oggi il mio vorrei farlo urlare. Buon Natale Enzo e a tutte le persone che gli vogliono bene
Lucia

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Al suo modo di intendere le cose, alla sua ricerca del sorriso, al suo senso critico, ai suoi difetti, in alto il bicchiere, il suo ricordo sarà dentro di me, anche quando le voci degli altri avranno smesso di parlarne.
Lionello Borean

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Non festeggio il Natale, per credo personale, ma mi sento di fare a tutti un augurio vero: che il futuro possa essere governato dal buon senso, dalla solidarietà, dalla comprensione, dalla positività. A chi crede: Buon Natale; a chi non crede: buone feste; a chi pensa: ricordiamoci di Enzo; a chi sente: non c’è bisogno di dire nulla. Un abbraccio a Giusy, Gabriella e Guido.
Eugenio

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Davvvero, Enzo: mi manchi. Inventa qualcosa.

Beps

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Mi resta la simpatia, le lettere e le indicazioni su come vivere. A Giusi, Guido e Gabriella un saluto caro
Drucchia

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Per me Enzo è presente e lo sarà sempre. Un affettuoso abbraccio a tutta la famiglia Baldoni
Stef

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Posso unirmi a questo toccante girotondo con la mia piccola luce? Grazie a tutti voi per questa pace e questa serenità nel ricordare un grande uomo, che ancora è così presente in tante belle persone. Questa è la sua magia, come quando era nel mondo fisicamente.
Cecilia

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Le ultime parole: non gli importava di morire perchè in fondo facciamo parte tutti di un gigantesco minestrone cosmico. Non mi piacciono le certezze predigerite e date in pasto dalle varie religioni… preferisco pensare con leggerezza a una tua presenza impalpabile ma che c’è e vedo che è sentita da tanti.
Paola

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Ho pensato subito che questo “A chi” è il ritratto di Enzo, cara balena che ci manchi tanto! la mando in giro con un forte abbraccio a tutti i coraggiosi Baldoni
Tiziana >

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A
chi
ama
dormire
ma si sveglia
sempre di buon
umore. A chi saluta
ancora con un bacio. A
chi lavora molto e si diverte di
più. A chi va in fretta in auto, ma
non suona ai semafori. A chi arriva
in ritardo ma non cerca scuse. A chi spegne
la televisione per fare due chiacchiere. A chi è
felice il doppio quando fa a metà. A chi si alza presto
per aiutare un amico. A chi ha l’entusiasmo di un bambino
ma pensieri da uomo maturo. A chi vede nero solo quando è buio.

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giacomo <ginestra@infinito.it> wrote:

< …tutti fra sé confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune… >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)