San Libero – 261

14 dicembre 2004 n. 261

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Origine di Berlusconi. Avevamo segnalato, la settimana scorsa, il caso di due giovani giornalisti siciliani – Marco Benanti e Carlo Ruta – a cui viene impedito di lavorare a causa della scomodità, per i potenti del luogo, delle loro inchieste. Nell’ultima settimana la situazione s’è aggravata, nel senso che il sito di Ruta (www.accadeinsicilia.net), che si minacciava di chiudere, è stato chiuso di fatto. Le sue inchieste vertevano principalmente su banche locali. Quanto a Benanti, è sempre impossibilitato a lavorare.
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Mediaset, Vespa, Rai, Emilio Fede e compagnia (per non parlare dei “giornali” siciliani) sono esplicitamente schierati col potere, ne sono una componente non laterale ed è dunque ovvio – persino “giusto” – che non abbiano segnalato questo caso. Ma c’è un’opposizione. Al suo interno, ci sono giornali (dai più moderati ai più radicali: Repubblica, Unità, Liberazione, Manifesto, ecc.) e giornalisti di indubbio prestigio e valore. Vi sono anche soggetti minori, più “guerriglieri”, specificatamente dediti – specie sull’internet – alla difesa della libertà d’opinione: Articolo 21, MegaChip, il Barbiere della Sera. Infine, c’è il sindacato. Quest’ultimo, fondato proprio per tutelare il giornalismo e i giornalisti, ha anch’esso un suo sito web, oltre che i suoi autorevoli esponenti: che non mancano, com’è loro dovere, di esternare assai spesso le loro denunce contro questo o quell’attacco alla libertà.
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Curiosamente, di tutti questi soggetti – ciascuno dei quali ha istituzionalmente a cuore Benanti e Ruta, in quanto giornalisti censurati – uno soltanto ha ripreso la nostra denuncia, e precisamente il Barbiere della Sera. Tutti gli altri l’hanno ignorata. Una spiegazione potrebbe essere che abbiano valutato e considerato insufficienti i dati da me – vecchio giornalista – forniti, e dunque giudicato inventato il mio argomento. In tal caso, giustizia avrebbe voluto che denunciassero me, preteso antimafioso e democratico che però, per oscuri motivi, s’inventa censure e martiri inesistenti. Ma non l’hanno fatto.
Un’altra spiegazione potrebbe essere che Giulietti e Serventi Longhi, Chiesa e Colombo siano tutti in realtà dei biechi servi del padrone, il quale ha ingiunto loro il silenzio, certo d’esserne obbedito. Ma tutti questi colleghi, in realtà, hanno una storia che rende ridicolo anche solo pensare che siano meno che onesti. E allora?
La spiegazione, purtroppo, è la peggiore di tutte: non se ne sono accorti. Si sta accuratamente procedendo – non per la prima volta – alla distruzione del giornalismo libero al sud. Lo si sta facendo in un momento particolare e preciso, rispetto sia agli equilibri economici che alle ristrutturazioni mafio-politiche in tutto il sud. I movimenti ulteriori, che equivalgono per radicalità e pesantezza a quelli degli anni Ottanta, hanno infatti bisogno di una invisibilità totale, non rotta neanche da osservatori esili e minori. Perciò, non più lavoro ai fianchi ma carri armati.
Ma mentre i carri armati del silenzio mafioso si schierano, generali e ufficiali “non se ne accorgono”, sono altrove. Le sentinelle, impavide in prima linea nel buio, sparano i loro colpi, lanciano gli allarmi. Ma i generali hanno altro da fare. E il nemico avanza.
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A questo punto, e solo a questo punto, possiamo parlare di Berlusconi. Lo giudico un regime, analogo al primo “morbido” fascismo, negatore delle libertà civili. Io, a differenza di altri, non ho atteso di esserne personalmente danneggiato per segnalarlo. Dico però che Berlusconi viene da molto lontano, che l’occupazione di tutti i media – cardine del potere – ha avuto un suo preciso prodromo venticinque anni fa in Sicilia (donde non a caso proviene il teorico del berlusconismo, Dell’Utri) e che chi lo denunciò a suo tempo rimase solo. Io ho ancora le lettere, inviate a giornali e gruppi democratici di allora, con l’elenco e i dettagli di quel primo silenziamento: molte le lettere, ma pochissime (e per lo più evasive) le risposte. Un quarto di secolo, si vorrebbe pensare, dovrebbe pur aver einsegnato qualcosa.
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Di tutte le reazioni alla doppia sentenza Berlusconi-Dell’Utri (entrambe pressocché equivalenti, a mio parere) la sola commendevole appare quella dello stesso Dell’Utri. “Monnezza!” ha gridato spavaldamente, da buon mafioso. Chapeau. Tutti gli altri, confusi.
Alcuni, come Anna Finocchiaro dei Ds (è il responsabile della giustizia di quello sventurato partito: figuriamoci quello dell’ingiustizia) si compiace dell'”assoluzione” di Berlusconi come di una buona notizia. Altri esultano addirittura, come quel deputato della Margherita di cui non faremo il nome acciocché tutti i margheritisti possano a vicenda attribuirsene la gloria. Altri, la maggior parte, commenticchiano, battuteggiano, fan sfoggio d’ironia.
Come, sotto al fascismo primo, le barzellette “antifasciste” servivano a riportar nel bonario le peggiori angherie del regime, così le boutades e le fini distinzioni di costoro. Quanto a noi, mai come in questi giorni abbiamo amato l'”Elogio della ghigliottina” di quel ragazzo del ’23. Essere puniti per quel che scriviamo, patire povertà e emarginazione, pagare insomma i costi di una partita vera: tutto ciò ci sta bene, a noi – come a Gobetti – innanzitutto giova la chiarezza.
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“Stamani aprendo l’e-mail ho trovato un appello drammatico della Information Society of Ucraine. Quegli appelli di colleghi che denunciano il bavaglio e la fredda lama della censura…”. Giusto. Ma: e Benanti? E Ruta? Troppo piccoli per accorgervene, troppo vicini? Davvero avete bisogno di questa modestissima “Catena” per leggere la parola “bavaglio?”. E, quando non ci saremo più noi, come farete?
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“Basta: così tu fai il gioco di Berlusconi! Hai ragione, ma zitto: non bisogna confondere la gente!”. Con me, questo ricatto può funzionare: io sono un vecchio compagno, ho terrore ogni volta di “fare il gioco”, di “danneggiare la sinistra”, ecc. Chissà, forse la prossima volta me ne starò zitto. Ma i giovani? Essi non hanno memorie da difendere, non provano alcun rispetto per voi se non quello che vi sapete conquistare, a memoria zero, ogni giorno. Non votano per voi, difatti. Ai miei tempi, sì: il voto dei diciottenni era tipicamente un voto di sinistra. Adesso è un voto “libero”, continuamente oscillante fra regime e democrazia. Come mai? Di chi è la colpa? Cosa intendete fare per rimuoverla?
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“La libertà è indivisibile”. Si difende in Sicilia come a Teulada, nel povero cronista di paese come nel grande opinionista d’opposizione. Amici di Repubblica, dell’Unità, di Liberazione, di Articolo 21, di MegaChip, del Manifesto: la libertà è indivisibile. Vi insegno questo. La libertà è una. E anche per questa lezione, naturalmente, c’è un prezzo da pagare, lo so. Ma è così bella, così irresistibile, così sexy. La libertà.

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Natale di massima sicurezza. Certe maestrine di una certa scuola di un certo paesino del comasco hanno pensato che quest’anno, per non soprusare i bambini non-cristiani, a scuola forse è meglio lasciare perdere il presepe. Apriti cielo! Tutti i leghisti, i buttiglisti, i rambisti e i collitorti d’Italia sono insorti come un sol uomo, anzi un sol caporale: non sia mai! Giù le mani! Viva il presepio e a morte i mussulmani! Questi ultimi, interpellati, per la verità hanno detto che se è per loro di presepi a scuola se ne possono fare quanti se ne vuole. Ma la cosa è andata persa nel frastuono generale. Alla fine, la notizia dell’assalto islamico al presepe è arrivato fino in Vaticano dove il cardinale di turno, il vecchissimo Ruini, s’è fiondato alla Rai, ha ordinato un microfono e ha cominciato a fatware: “Italianiii! All-larmiii! Il presepe non si tocca!”.
Va bene: il presepio quest’anno, come molte altre cose, sarà blindato. Attorno alla grotta, filo spinato (come nella Betlemme vera). Più in là, a ogni buon conto, carri armati. Fra i pastori, sparsi con discrezione, agenti armati. Vietato avvicinarsi a più di cinquanta metri dalla mangiatoia (dove il bue e l’asinello, per sicurezza, sono stati sostituiti da Ferrara e Buttiglione). Niente Madonna, che è una ragazza-madre e potrebbe scandalizzare qualcuno. Niente Giuseppe, che fa il falegname ed è notoriamente communista. Angeli niente, troppo carini (magari qualcuno è gay). Il Bambinello per stavolta lo lasciamo, il tempo di nascere e poi via subito a Ponte Galeria (è palestinese). I doni li porta Erode. In un angolo, nel ruscello di carta stagnola, un paio di emigranti che annegano nel tentativo (illegale) di entrare clandestinamente nel Natale.
Pace in terra agli uomini di buona volontà. E botte in testa a tutti gli altri.

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Italia-Cina. In Cina le condanne a morte (che sono moltissime) vengono eseguite con un colpo di rivoltella alla nuca. Questo sia per non rinnegare del tutto le origini rivoluzionarie del regime che per un sano senso di economia (le pallottole vengono rimborsate poi dalle famiglie dei condannati). Calcolando un’esecuzione al mese a provincia (e ci andiamo stretti) son più di trenta esecuzioni al mese. Magari qualche provincia povera, per economia, ha la pistola in comune coi vicini; ma in generale, poiché la Cina è un paese ordinato, bisogna pensare che ogni provincia abbia la sua pistola esecuzionaria, e le più ricche anche più di una. Diciamo una cinquantina in tutto, ciascuna delle quali ogni anno spara non meno di dodici colpi, e cioé un buon paio di caricatori.
Presidente: ma tutte queste attrezzature, caricatori inclusi, non li potrebbe fornire la Beretta? Made in Italy, occupazione, prestigio dell’Italia nel mondo. In fondo, abbiamo già rifornito la polizia americana. La prossima volta, pensiamoci. Vedrà che l’Europa approva.

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Nel mondo ogni anno muoiono cinque milioni di bambini, di fame. Meno male che la maggior parte di loro lo fa in silenzio e senza protestare.

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Occupanti. Ricchi camorristi continuano ad ammazzare – per lo più – poveri innocenti. Fra i poveri, tuttavia, non sono innocenti tutti. Non lo sono, ad esempio, le donne che si mobilitano (coi figli) per difendere i loro padroni o la folla che – sempre difendendo i padroni – impedisce ai poliziotti di intervenire mentre la vittima agonizza sul marciapiede.
E’ deplorevole, ed è di destra, che nessuna di quelle donne sia stata ancora arrestata. La povertà (quando c’è davvero) in questi casi non è un’attenuante, ma un’aggravante. Chi difende i potenziali assassini dei propri figli va punito il doppio. Se la sinistra fosse al governo, secondo me in alcuni punti di Napoli dovrebbero esserci pattuglie di soldati e, bene in vista, carri armati. Non per occupare la città, ma per liberarla. Democrazia è anche sparare ai fascisti, quando occorre.

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Porta a Porta. Il Salon Kitty del Duemila.

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Moda. Dice che torna di moda la moda militare: ufficiale e gentiluomo. Deja-vu: ogni ventina d’anni il vestirsi dei giovani cambia di segno, dall’efebico al coatto e viceversa (e i colori: stiamo uscendo appena ora dal nero di massa). Da tempo immemorabile si va avanti così, signora mia: parrucche settecentesche e barbazze giacobine, John Wayne dopo Rodolfo Valentino e David Bowie dopo Mario Capanna. Niente di nuovo. La cosa preoccupante è che l’ufficiale und gentiluomo di cui sopra ha pochissimo di regio esercito e molto di masnada cosacca. Militarmente parlando, dopo il modello Rambo (successivamente concretizzato in Bosnia) adesso siamo al modello barone von Ungern e dintorni: dove lo metteranno in pratica, stavolta?
A parte questo, da un po’ di tempo – diciamo, da un paio di guerre mondiali in qua – la moda militare porta sfiga, anche quando è davvero bella. Il trench, tanto per dirne una, aveva i due anelli sul davanti perché, nell’Ur-trench originale, servivano per appenderci le bombe a mano (e difatti era nato come impermeabile da trincea). Così, la malinconia di Humphrey Bogart davanti al trimotore che si sta portando via la Bergman non è il solito spleen dell’innamorato deluso ma il cafard di colui che dentro una qualche trincea, prima o poi, ci dovrà tornare.
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Spot. Cuntrastamu viene alla luce, nel senso che dallo scantinato (a Trastevere) dov’era prima si trasferisce in un bellissimo stanzone in piena luce, sempre nello stesso palazzo, in via Bargoni 5. Insieme a Cuntrastamu (che si occupa di antimafia) Il locale è occupato da un collettivo di archeologhe, da un gruppo di fotografi e da artisti vari. Tutti insieme si chiamano il B5, che vorrebbe dire “Bargoni 5”. Auguri.
Bookmark: www.cuntrastamu.org, www.bargoni5.it

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Spot. S’è tenuto a Giarre (Ct) ilworkshop dell’Arci su tv di strada e nuovi strumenti comunicativi.
Info: lipari@arci.it

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Cronaca. Genova. Ambulante senegalese derubato da anziano pensionato. L’uomo, sorpreso mentre rovistava fra i borsoni nell’auto dell’immigrato, aveva tentato di derubare un secondo ambulante poche ore prima.

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Cronaca. Roma. Scolaresca in gita ritrova la pensione appena riscossa da un’anziana pensionata presso un vicino ufficio postale. L’involto col denaro era scivolato dalla borsetta che la donna aveva aperto per rispondere al cellulare. I bambini, rinvenutolo, l’hanno portato dai carabinieri che hanno provveduto alla restituzione.

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Cronaca. Milano. Vietate le magliette di Che Guevara alla Fiera.

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E’ morta la mamma di Peppino Impastato – Felicia Bertolotti Impastato – ed è molto difficilile, stasera, scrivere su qualsiasi cosa che non sia questa. Quanto tempo è passato. E’ morta molto vecchia, serena (per quanto possa essere serena una madre che ha perso un figlio), e soprattutto avendo avuto giustizia, avendo visto gli assassini in galera e il nome di Peppino gridato dai giovani nelle piazze con allegria e con forza, come simbolo di libertà.
Non doveva andare così. Quando è morto Peppino, una giornata tristissima di un anno buio, per la tv e i giornali lui era “il rivoluzionario estremista ucciso dalla sua stessa bomba”. La mafia “non esisteva”. Don Tano Badalamenti, un rispettabile imprenditore. E Andreotti, che con questa gente s’incontrava, il politico più importante del paese.
Non è andata così perché i compagni – pochi, isolati, deboli, ma decisi – non l’hanno lasciato fare. Non lasciatevi ingannare dai film: c’erano pochissime persone, al primo corteo per Peppino. La consapevolezza dei molti è venuta dopo. Eppure non abbiamo mollato, non ci siamo arresi. Abbiamo vinto, alla fine.
“Abbiamo”, chi? Penso ai pochi “famosi” (e dimenticati) come Umberto Santino o il giudice Chinnici. Ma penso soprattutto ai militanti di base, ai “compagni”. Non abbiamo tradito tutti, noi del Sessantotto. C’era un ragazzo della mia età, o forse più, al corteo per ricordare Peppino (e contrastare la mafia) a Cinisi, quest’anno. Ci siamo guardati. Magri, sdentati, certo non molto in forma. Lui aveva una maglietta bianca col logo a pugno “Lotta continua”. “Ma tu non eri della sezione di Palermo?”. “Già. E tu… C’eri ai tempi di Rostagno, vero?”. Il corteo dei ragazzi serpeggiava festoso, coloratissimo di bandiere iridate edi rosso, per le vie del paese. E noi camminavamo in silenzio, un po’ a fatica.
Poche settimane fa, il fratello di Peppino Impastato ha dovuto pagare cinquemila euri a un avvocato dei mafiosi, per avergli dato dell’imbecille. La lotta alla mafia non si fa più da tempo (non, almeno, per quanto riguarda lo Stato). Di Lotta continua ormai si sente parlare solo quando qualche mascalzone fa “Io, che pure da giovane ero di sinistra…”. Va bene. I punti si contano all’ultimo, abbiamo memoria lunga e spalle buone. Vediamo chi la vince, alla fine. Per ora, è bello essere rimasti così, non essere diventati un Rossella o un Liguori o un Ferrara. Noi, la generazione di Peppino.

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Alessandro wrote:
< Sulle riviste specializzate Microsoft sta facendo una campagna pubblicitaria, con inserzioni a tutta pagina, citando uno studio che stima i costi di gestione del sistema operativo Linux fino a 4 volte superiori a quelli di Windows. La più grande e ricca azienda mondiale che spende ingenti risorse per denigrare un sistema operativo nato da un progetto cooperativo, sistema che ad oggi fa funzionare oltre la metà di tutti i server su internet. Rispondete voi, io non ho tempo. Devo aggiornare gli antivirus, fare l’inventario delle licenze, trovare i soldi per l’upgrade consigliato, applicare le patch di protezione sull’ultimo baco di explorer, riavviare il server di accesso remoto, riprlnx$&( ..(&)() ò;ç;çL;() .,2°§°°°°°°°°°° çç°ò@@@@@ @@ @@@k p %&()IO(? 89 /) (/=)°çL°ç°:°asdkjgh

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Luca wrote:
< Sai che penso davvero che questo mondo sia inutile? oggi hanno assolto Mister B.e il solo pensiero mi fà venire il vomito, ma possibile che non ci sia + nessuno che abbia voglia di lottare per una causa giusta? Possibile che restiamo tutti, ma proprio tutti, a guardare mentre ci rubano il mangiare dal piatto? Cazzo di un dio buono, ma se uno entra dove sto mangiando e mi frega una fetta di pizza, io cosa faccio, lo guardo, sorrrido e magari lo voto, tanto alla fin fine è solo un simpatico rimbambito che vuole vendermi una polizza? oppure lo prendo e lo ribalto con tanto di amici, stallieri e conoscenti vari? Mi sembrano tutti rincoglioniti, specie i giovani di adesso, con nessuna voglia di pensare, che sarebbe il minimo del buonsenso, ma con solo una gran volia di farsi le lampade e i cannoni senza che questo disturbi minimamente la loro atrofizzata ex-coscienza… Io emigro, voi tenetevi pure stretto questo paese di infamoni, piduisti, ruffiani, mafiosetti da due soldi, tutta quella razza grama che vi siete meritati per non aver agito quando eraqq ora di agire, molto ma moooooooolto tempo fa… Mo’ sono tutti ‘azzacci vostri, fate cosa ‘azzo vi patre, ma poi non mi venite a dire che voi no, non lo sapevate, voi no, non c’eravate, voi… c’eravate eccome, e se non vi siete ancora svegliati, la colpa di sicuro non è la mia… >
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Ehi, che discorsi sono questi? Qua non emigra nessuno. Mica la partita è finita. Anzi, a pensarci bene, sta cominciando ora. Dai!

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Red wrote:
< Dal battage pubblicitario che Ciancio ha armato in favore del dott. Scapagnini non si capisce bene chi egli favorirà alle prossime elezioni del comune di Catania. Non so chi dei due, o l’immarcescibile Bianco o il geriatra, la spunterà. E’ certo che l’attuale sindaco sta cercando di alzare il prezzo in cambio di sondaggi prima e consenso nelle elezioni dopo, dato che in questo momento c’è in ballo la stessa sopravvivenza dell’editoria catanese: Ciancio non ha potuto trasferire tutto il proprio impianto editoriale alla zona industriale (ex Itin di Rendo), perchè aspetta dal comune e dalla provincia importanti segnali di risoluzione dei problemi legati a finanziamenti che gli diano la possibilità di iniziare al meglio il trasferimento delle macchine e del personale intero, cosa che durante il saluto di fine anno dello scorso dicembre aveva enfatizzato come cosa già fatta. Già ha perso abbastanza la faccia, l’operazione, corredata da colpi di servizi speciali sia su carta stampata che in tv, si sarebbe dovuta concludere entro la fine del corrente anno, ma sembra che dal palazzo chi doveva occuparsene vuole prima la rielezione e poi si vedrà >

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Jacopo Fiorentino <redazione@piazzagrande.it> wrote:
< Nei prossimi giorni sui 18.000 cassonetti della nettezza urbana di Firenze verranno attaccati degli adesivi che riproducono un simbolo di pericolo e la figura stilizzata di un uomo nell’atto di entrare nel cassonetto. Questo per evitare che qualcuno che dorme li dentro rischi di morire nei camion della raccolta.
Dunque la società si scarica di un’altro peso sulla coscienza e il popolo della strada ringrazia. Un domani quando qualcuno che cercava di ripararsi dal freddo morirà schiacciato dagli ingranaggi dei camion comunali si potrà dire che il pericolo era stato segnalato, e che non è colpa di nessuno. Invece di fornire posti letto, invece di offrire soluzioni reali, le istituzioni scelgono soluzioni che tali non sono.
A noi di Piazza Grande non resta che annotare che un altro limite è stato varcato. Gli esclusi non vengono più cacciati solamente dai luoghi della “gente per bene”. Da oggi chi vuole può continuare a dormire negli “amati” cassonetti. Se poi ci rimane secco è colpa sua >

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AntonellaConsoli <libera@libera.it> wrote:

Il grande Ferdinando

< Il Grande Ferdinando
un giorno perse un guanto
e come tutti i re
girò per tutto il mondo.

Andò in Indonesia
ma vi trovò una fresia
andò in Lituania
e vi torvò una rana.

Andò a Baltimora
e vi trovò una mora
dovunque egli andava
qualcosa lui trovava.

Ma del suo fiero guanto
la traccia era nel vento.
Cercò in lungo e in largo
con tanto portamento
ma infine si fermò
per grande sfinimento.

Rimpianse tutto il tempo
che aveva dato al guanto
e poco aveva visto
di tutto il vasto mondo >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)