San Libero – 254

25 ottobre 2004 n. 254

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Ehi. Con oggi fanno cinque anni, che ci sentiamo. Cinque anni sono una cosa seria, quasi come Avvenimenti o i Siciliani. Dico quasi perché io in realtà sono abituato – la cosa in cui credo più profondamente – a non lavorare da solo. Un giornale è un’opera collettiva. Da solo puoi fare un romanzo, un’opera d’arte, una cosa da scrittore – non giornalismo e non un giornale (per noi giornalisti, gli scrittori sono più che altro dei fighetti simpatici, degli intel-sorriso-let-tua-li. Non dei marinai e macchinisti come noialtri. D’altronde gl’ingegneri disprezzano un po’ gli architetti e quelli della fanteria i cavalieri: è sempre stato così. Parentesi chiusa).
Mi sono sentito autorizzato a fare questa cosa da solo semplicemente perché non avevo alternative. Ti tagliano fuori da tutto, tu ti senti più giornalista di prima e allora, alla faccia di tutto!, scrivi. Ma è cominciata così, come una testimonianza. Non è stato uno scandalo per nessuno, quando mi hanno imbavagliato. Non per il mio sindacato, non per i giornali di sinistra, non per i colleghi. Ho voluto dimostrare che continuavo ad esserci. In siciliano, si dice “nun dari saziu”.
Ma così sarebbe andata avanti un paio di mesi. In realtà, dai due mesi in poi, non sono stato solo. C’è quello che ti scrive, che ti rimanda la palla. C’è quello che si organizza, da duro “tecnico”, e ti sviluppa il software apposta (senza shining vi mancherebbero quattro anni e otto mesi della catena) per farti circolare. C’è quello che ti ospita per stanotte o per una settimana o che ti presta il computer o ti procura il collegamento. C’è quello che diventa la tua famiglia – in tutti i sensi – addirittura per anni. Tutte questi miei amici sono qua dentro, nessuno esclusori. Sono stati quasi tutti indispensabili, non so se a permettermi di scrivere o di scrivere così o semplicemente di vivere e basta. Comunque ci sono, e questo è tutto.
Così, la redazione-corporation-struttura della Catena in realtà è stata qualcosa di gigantesco. Alla fine, semplicemente alla fine, la palla arrivava qui e io la giocavo. Niente da paragonare con le modeste risorse di Repubblica o del Corriere. A me hanno dato le risorse per fare giornalismo nuovo a livello adeguato. Magari io non le ho sapute utilizzare bene. Ma le risorse c’erano, ci sono ancora, ci sono oggi per me e sempre più ci saranno – per chi proverà in avvenire – al momento giusto.
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Ci sono moltissimi bravi colleghi “dilettanti” in giro. Nel senso che si dilettano a fare il loro mestiere, lo fanno con affetto e bene e scrivono e mandano in onda delle bellissime cose. Non c’è però più nessun giornale professionale, né c’è più alcuna televisione. Io conosco colleghi bravissimi, capaci di andare all’inferno e ritorno per misurarne l’esatta temperatura. Ma non hanno giornali su cui scriver, o televisioni da cui trasmettere. O meglio: i giornali e le tivvù ci sono, e pubblicano i loro pezzi (beh, diciamo: di solito) senza molta censura. Ma sono inattendibili in sè, in quanto contenitori, per cui le verità faticosamente acquisite finiscono mescolate con tutte le altre nel mare del news-enterteinment generale.
Non so: se oggi fa caldo a Catania, e Repubblica scrive “oggi a Catania trenta gradi”, la notizia tecnicamente è vera. Però io, alla parola di Repubblica, mica ci credo. Perché so benissimo quanti e quali interessi il gruppo editoriale di Repubblica abbia a Catania, e con chi. Trenta gradi a Catania! Può essere che Ciancio abbia messo su una fabbrica di ventilatori, e che Caracciolo ci stia al venticinque per cento. Per cui: cittadini, fa caldo. Oppure può essere che faccia caldo davvero, e che però il gruppo rivale abbia una fabbrica di caminetti. Perciò quelli diffondono che a Catania fa freddo per fregare loro, e questi si affrettano a dire (magari giustamente) che fa caldo, ma sempre per i loro sporchi interessi.
A chi posso credere? L’unica è prendere il telefono e telefonare. “Lucio! Che tempo fa, a Catania? Ah! Bene! Però… senti… sei sicuro che non sta nevicando, ora? No, non sto male… era così per sapere, sai, alle volte…”.
Insomma, sul circuito ufficiale – sui media, anzi, mi voglio rovinare sui midia – può arrivarti, e frequentemente ti arriva, una verità. Ma non le verità. Una verità mescolata, che certo esiste ma che purtroppo, in mezzo al mare delle non-verità, non sai quale sia. Forse esiste ancora il giornalismo, e quasi sicuramente i giornalisti ci sono ancora. I giornali, sono quelli che non esistono più.
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Quello che stai leggendo, tecnicamente, è un giornale. Non ti formalizzare, adesso, perché non vedi le foto e i titoli e la testata. Voglio vedere se ti capitava davanti la e-zine di Addison. Un giornale è semplicemente una cosa abbastanza credibile da poter comunicare dei contenuti senza che su di essi prevalgano – nella mente del lettore – dei filtri esterni. Magari in realtà io sono pagato dal sultano del Brunei per fargli propaganda. Ma tu non lo sai – o meglio, non è che non lo sai, è che non ti sembra probabile. Perché? Perché io sono simpatico. E perché? Non ne hai idea. E nemmeno io. Però per conquistarci questa “simpatia” (ai dibattiti, per farci belli, la chiamiamo credibilità, autorevolezza, rapporto di fiducia col lettore: ma sempre una faccenda emotiva) noi giornalisti ci facciamo un mazzo così da duecento anni.
E perché non ti stanno simpatici (cioè perché non credi alla loro neutralità) Repubblica o Canale Cinque o il Corriere? Perché ti accorgi che lì, il complesso del prodotto, non lo gestiscono affatto dei giornalisti ma dei manager. I quali, bravissime persone da ogni punto di vista, hanno tuttavia degli interessi fisiologici che non coincidono affatto col tuo interessa all’informazione. Capisci che non stai leggendo affatto il Corriere ma l’azienda editoriale (e anche non-editoriale) Rcs, la quale per avventura ti si materializza sotto forma di “giornale” ma è sempre e inequivocabilmente un’azienda.
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Va bene. Come faresti un giornale allora, tu che sei tanto bravo?
Lo farei giornale. Vale a dire, ci metterei tanta carta quanta ne possano pagare i lettori e non di più. Magari con un venticinque per cento di pubblicità. Così sarebbero i lettori a pagarmi, a comprarmi, a legegrmi e infine a valutarmi. Risponderei a loro, sarei dunque un prodotto di mercato: se non funziona, via. Se funziona, avanti.
Ma così ti verrebbe un giornale di otto pagine!
Sissignore. I giornali sono di quattro, otto o al massimo sedici pagine. Di più, saranno magari bellissimi ma sono – sul piano dell’economia strutturale – un’altra cosa. Alla fine, sei costretto ad accluderci un “omaggio” -che però costa più del giornale. Non vendi il giornale con l’oggetto accluso, vendi l’oggetto con accluso un giornale. Ma come puoi pretendere di essere credibile, a questo punto? Nessun venditore di accendisigari, ombrelli, strumenti musicali, enciclopedie, ha mai preteso di essere credibile di per sè. L’unico modo di essere credibili è di vendere notizie, verificabili e con un valore proprio. Ma oggi, notizie e basta non ne può vendere, per elefantiasi, più nessuno.
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In America, “la grande informazione è schierata per Kerry”. O per Bush. Fa lo stesso. Non è più un fatto determinante. In America (come dappertutto) la grande informazione è voltata, semplicemente, dall’altra parte. Con l’unica eccezione delle tribune politiche vere e proprie, l’unico media che sta concretamente influendo (in bene o in male) sulle elezioni sembra essere il cinema. Ieri Cronkite, l’altro ieri Pulitzer. Oggi Moore. E, naturalmente, l’internet.
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Lo scandalo Parmalat – che non è stato una patologia, uno scandalo, ma un comparto significativo dell’economia italiana – ha attraversato cinque diversi governi, è durato più di dieci anni ed era da un punto di vista cronistico-investigativo abbastanza facile da scoprire. Eppure, non l’ha scoperto nessuno. Tutti complici? No. E’ che il giornalismo economico – in questo caso – è ormai tanto embedded da non essere più significativo come giornalismo.
Il giornalisno più popolare, e anche forse il miglkiore qualitativamente, in Italia è quello sportivo. Nel calcio, non è avvenuto qualche scandalo. A un certo punto, semplicemente, s’è scoperto che i campionati di serie A e B sono, semplicemente, una pastetta. Roba da assalto ai forni, in Italia, molto più che Mani Pulite. Non è successo niente. Il giornalismo sportivo, compatto, ha semplicemente deciso d’ignorare l’accaduto. Imperturbabilmente, parla con tutta serietà di campionati e di partite. Corrotti? No. Semplicemente, dipendenti da un’industria in cui l’enterteinment, il gioco, è ormai molto più importante – e redditizio – dell’infirmazione. Per cui, facciamo finta che il campionato di calcio esista ancora, che le società servano a gestire le squadre di calcio, e così via.
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Le torture in Iraq, non le ha affatto tirate fuori la Cnn. Sono venute a galla grazie ai videofonini dei semplici soldati. Il dibattito politico, negli Stati Uniti, ormai è quasi interamente sull’internet. Fuori dall’internet ci sono pastoni sui quotidiani, più o meno del livello del Resto del Carlino: le guerre di civiltà e i signora mia. I dati, le analisi serie, ormai i professionisti le cercano sui siti.
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Su Business Week, e più parzialmente sul WSJ, è uscita una notizia enorme – per l’Italia – che è la seguente: una delle principali famiglie dell’imprenditoria collusa siciliana anni Ottanta – la Famiglia Rendo – si è trasferita armi e bagagli in America, si è riciclata in qualche modo e adesso è fra le imprese di fiducia della Presidenza. Tanto che, al momento di assegnare la vigilanza e sicurezza dei venti principali aeroporti americani, la scelta è caduta (autoritariamente, in base al Patriot Act) su di essa.
Perché questa notizia in Italia è stata data solo qui, sulla Catena? Perché non è stata la cover dell’Espresso, la prima pagina del Corriere? Corruzione? No. Poco giornalismo.
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Va bene. Adesso ci spiega che c’entrano tutte queste nobili cose con queste quattro righe che stiamo leggendo?
Come no. Queste quattro righe sono uno degli ultimi prodotti giornalistici rimasti in Italia. Dico questo perché oggi mi sento particolarmente umile e modesto, e ho il senso dei miei limiti. Il mio, è ancora vecchio giornalismo, perché ho cinquant’anni. Non sono Gutenberg, io: sono solo un vecchio amanuense che ogni tanto ricalca i caratteri, che non crede più nelle miniature dorate e così via. Ma sempre a mano scrivo. Se invece di cinquant’anni ne avessi trenta, allora questa non sarebbe più una disperata difesa del vecchio giornalismo: sarebbe un primo passo, un passo rozzo ed esile ma un passo, verso il giornalismo nuovo.
Questo però tocca a voi.

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L’attesa. Quarantasei per cento è per Kerry. Quarantasette per Bush. Praticamente decide la Florida. Anzi, in tutta la Florida, la contea di Seminole. Anzi, in tutta la contea, la città di Crashville. Siccome a Crashville repubblicani e democratici sono praticamente equivalenti, probabilmente i voti decisivi saranno quelli di ‘sta dozzina di sfaccendati dello Starbuck Bar. Ma allo Starbuck, come tutti sanno, è il vecchio Jim Crow che detta legge. Lui in questo momento se ne sta su uno sgabello con le palpebre semichiuse e uno stuzzicadenti fra i denti, e medita profondamente. Un rutto ogni tanto è l’unico segno di vita. E tutti, là dentro il bar, aspettano in profondo silenzio: “Ha già detto qualcosa?”. Fuori del bar aspettano (divisi in due capannelli uguali e ostili) tutti gli altri cittadini. A Seneca, capoluogo di contea, lo sceriffo aspetta vicino al telegrafo le ultime notizie da Crashville. Fuori c’è un uomo a cavallo pronto a portare il telegramma fino all’imbarcadero del vapore per Charleston, agitandolo sopra la testa durante la cavalcata. Da Charleston alla foce del Potomac, e poi risalendo il fiume fino al prato – a Washington DC – dove siede, riunita all’aperto, la Corte Suprema. Intorno, una folla di cittadini – uomini coi baffi e lo stetson, domestiche di colore, signore con l’ombrellino, gentiluomini col cilindro, bambini. E tutti costoro aspettano, insieme coi vecchi giudici incartapecoriti, che arrivi , dalle profondità dell’America, il messaggio di Jim Crow.
Aspettano loro, aspetta Bush, aspetta Kerry, e aspetto anch’io. Se foste persone di buon senso aspettereste anche voi, visto che il cinquanta per cento di quel che complessivamente vi accadrà nei prossimi quattro anni dipenderà da ciò che deciderà il vecchio Jim in quel bar ingiallito sulla main street di quel paesino.
Ma accidenti, che cazzo c’entro io con uno stronzo rincretinito in un bar Crashville?

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Campi 1. E’ stata provvisoriamente sospesa, in seguito a difficoltà di ordine internazionale, la costruzione dei tre Campi di raccolta istituiti dalle Autorità italiane e germaniche per far fronte al grave problema dell’immigrazione illegale. Gli esperti italo-germanici avevano studiato ben tre AzylantenKeepOutZentrum (AKZ), collocati direttamente sulle coste africane e intitolati a tre grandi precursori della difesa mediterranea dello spazio vitale europeo. Purtroppo, a causa dell’insistenza sui “diritti umani” di alcuni “umanitaristi” europei, l’iniziativa rischia di abortire e i tre Centri – il Badoglio AKZ, il Graziani AKZ e il Rommel AKZ – di non entrare mai in funzione.

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Campi 2. L’antico obelisco di Axum (Etiopia), catturato nel corso dell’operazione di pace delle forze italiane in Abissinia, trovasi attualmente detenuto in un deposito a Ponte Galeria, Roma, non lungi dal campo di Ponte Galeria nel quale sono invece detenuti gli esseri umani della sua stessa etnia.

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Economia 1- Severo monito del Governatore della Banca d’Italia, Ciampi: così non si va avanti, qua non si campa più, di ventisette ce ne vorrebbero due e se non calano i prezzi siamo fritti. Analoghe preoccupazioni sono state espresse dal Badante Ufficiale della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

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Economia 2. La Parmalat ha licenziato in tronco, nella filiale del Nicaragua, tre dipendenti locali che avevano preteso di organizzare un sindacato. Quasi contemporaneamente, cinque delle maggiori banche internazionali (Morgan, Ups, Citigroup, Nextra e Deutsche Bank) hanno ricevuto avvisi di garanzia dalla Procura di Milano per il crack Parmalat. Torneranno prima al lavoro i sindacalisti licenziati o finiranno prima in galera i banchieri indagati? Si accettano scommesse.

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Economia 3. In Emilia un commerciante per un prestito paga il 4 per cento. In Calabria l’8,36 per cento. Aumenta la differenza del costo del denaro fra le varie regioni.

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Petrolio 1. A 54, a 55, a 56 dollari: ma a quanti euri, se si potesse pagare in euri? Perché è vietato usare gli euri per il prezzo del petrolio?

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Petrolio 2. Nonostante i rincari, e a differenza che negli anni Settanta, i consumi in Europa e in America contiuano ad aumentare. I consumi petroliferi globali crescono ogni giorno, del tutto indifferenti ai rincari.

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In pentola. Due nuovi partiti, probabilmente, in primavera. Il primo dovrebbe venir fuori dalle parti di Rifondazione, dove Bertinotti da quasi un anno cerca di sostituire all’ormai obsoleto partito una qualche forma di alleanza di tutti o quasi tutti gli “alternativi”. Le prossime elezioni sono la prima e anche l’ultima occasione in cui potrebbe essere tentata l’operazione. Teoricamente, l’area del nuovo partito potrebbe aggirarsi sul quindici per cento degli elettori e determinare pesantemente la politica del centrosinistra. Molto teoricamente, però, perché le divisioni vecchio-politiche di quest’area (cattolici e comunisti, disobbedienti e francescani) ne rendono molto difficile un’organizzazione partitica tradizionale.
Il secondo potrebbe scaturire da una nuova strategia della Lega, che ha sostanzialmente ottenuto il suo obiettivo (disfare l’Italia: la Padania era solo un falso scopo) e potrebbe dunque “sciogliersi nel movimento” per una nuova e più agile formazione che starebbe a Forza Italia come Blair a Bush. Di tutti i grandi miti sub-borghesi di questi anni (croatizzazione, caccia al negro, paesino vs Europa, eliminazione dei vigili, autovelox) la Lega Nord ha fornito finora una versione aggressiva si, ma spendibile solo in alcune zone; la versione più “nazionale” (Forza Italia) ha invece deluso per le continue ricadute nel vecchio notabilato. Una Lega Italia probabilmente finirebbe per condizionare dapprima e divorare poi Forza Italia, alla stessa maniera in cui il giovane e aggressivo “partito nazionale e socialista dei lavoratori tedeschi” condizionò e assorbì la vecchia destra tedesca dei proprietari-notabili e dei generali. Se n’è parlato a bassa voce, e s’è anche fatto il nome di Tremonti.

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Istituzioni. “E’ una brava… puff puff… persona… e possiamo avere… pant pant… la massima fiducia in lui”. S’è chiusa così, con questa risolutiva dichiarazione, l’allegra vicenda del rappresentante italiano Rocco Buttiglione. L’ha rilasciata il presidente della Regione siciliana Totò Cuffaro, mentre correva inseguito dai carabinieri.
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Incarichi. Se nel frattempo non ne combina altre, gli levano la Libertà ma gli lasciano la Giustizia
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Soddisfazioni. Il ciambellano: “Sua Maestà la Regina si è graziosamente degnata di conferire il titolo di baronetto al regista italiano Franco Zeffirelli, per le sue numerose regie shakesperiane e i grandi meriti artistici verso il teatro elisabettiano”. La regina: “Alzatevi, Sir Franco”. Zeffirelli: “A’ Buttiglioneee… Tié!…”.

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Devoluscion. Il presidente della Sardegna Soru ha invitato il governo americano a ritirare i sommergibili dalla base della Maddalena. “Sono nucleari, è un pericolo. E sono qui da trentadue anni!”. Non è ancora arrivata la risposta della Us Navy che, grazie ad accordi non-pubblici con lo stato italiano, gode anche di punti d’approdo sull’isola di Santo Stefano. La marina sarda segue con attenzione l’evolversi della situazione.

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Marshall. Riceveranno dieci euri per ogni sentenza di convalida d’espulsione i giudici di pace che, con l’aggiornamento della Bossi-Fini, si occuparanno di emigranti nel nostro paese.

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Tecnologie. Aumentata di un terzo nel giro di un anno la produzione mondiale di pannelli solari. Il produttore leader del settore (Sharp, Giappone) ha avuto un tasso di crescita del 63 per cento, molto superiore a quello delle compagnie petrolifere.
Bookmark:

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Attitudini. Un “test attitudinale” sarà richiesto agli aspiranti magistrati in Italia. Di quali attitudini si tratto, il ministro non l’ha finora specificato.

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Lavoro. Un quarto degli incidenti (mortali) sul lavoro europei si verifica in Italia. Nel 2003 sono stati 4930 in tutta Europa e 1394 nella sola Italia.

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San Libero. In California si chiama Freeway Blogger ed è un tizio (immagino più o meno della mia età) che gira per le autostrade con secchi di colla e vernice. “Rumsfeld fallimentare”, “Bush mente”, “Governo impantanato” e il bellissimo “i soldati veri muoiono là nei loro fuoristrada per permetterti di giocare a fare il soldato qua nel tuo fuoristrada”. Scritte sui muri. In più – ovviamente – c’è un blog. E’ pazzo, ha – a modo suo – successo, è assolutamente convinto di farcela a battere i media ufficiali, ogni tanto proclama delle “giornate della libertà d’espressione” che altri pazzi riprendono per interstates ed highways. Ha una fiducia sconfinata nell’intelligenza di fondo – una volta avvertiti – dei suoi concittadini e quando gli parlano di Bush ridacchia con aria misteriosa.

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Pubblicamente. “Associazione di pubblica utilità”: è il riconoscimento che il governo rumeno ha dato alla “Grande loggia nazionale della Romania”, la principale organizzazione massonica del paese. Beh, la massoneria sarà anche utile, ma pubblica di solito non lo è. A meno che non riesca ad andare al governo – stiamo parlando della Margovia, confinante con la Romania – e in questo caso effettivamente diventa pubblica perché i nomi dei principali piduisti si possono vedere ogni sera sui telegiornali.

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Iraq. Continua tutto. Respinta dagli americani la proposta saudita di mandare truppe islamiche filooccidentali con l’occasione del Ramadan. Le isole Figi manderanno un contingente per proteggere – se verranno – gli inviati dell’Onu. I soldati continuano a restare là. I politici continuano a restare qua.

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Iraq (o Genova: è lo stesso?). Per addestrare i poliziotti iracheni alcuni ufficiali italiani hanno dato come esempio le legnate ai pacifisti al G8 di Genova. Di torture (sempre al G8 di Genova) invece non se n’è parlato, probabilmente perché in questa materia sono più autorevoli gli insegnanti americani.

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Escalation. Rapita da folli islamisti antiamericani un’altra esponente pacifista antiamericana in Iraq. Stavolta è la responsabile di I Care International, un’organizzazione umanitaria presente in mezzo mondo e dunque più importante di “Un ponte Per” delle due Simone (che, nel suo piccolo, era sempre “antiamericana”). La prossima volta rapiranno direttamente il segretario (antiamericano) delle Nazioni Unite, sempre in nome dell’islamismo antiamericano.

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Vecchi. Cuba. Peggiorano le condizioni dell’ex leader rivoluzionario Fidel Castro. L’altro giorno ha cacciato su due piedi un ambasciatore di Zapatero (il governo più antiamericano del momento) perché aveva chiesto di vedere anche un gruppo di dissidenti.

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Giovani. “Ora ci sarà un’inchiesta…”. Vita bassa, vita alta, mutande visibili, mutande nascoste? Puntuale come la peronospora e la gramigna arriva – come ogni autunno – la Grande Inchiesta sui Giovani. Non si può fare in estate perché le scuole sono chiuse e a Natale nemmeno perchè è vacanza. Dibbattito: i Giovani sono mutanderos per Protestare Contro La Società Che Li Emargina oppure sono irreparabilmente consumisti e ormai cinicamente inseriti nel sistema? La mutanda è una forma inconsapevole di contestazione oppure serve solo a mostrare il logo di Dolce e Gabbana e dunque a veicolare i valori ufficiali? I giovani e il consumismo, i giovani e la crisi dei valori, l’identità dei giovani, i giovani non sono più quelli. Quest’anno, per la prima volta in cinquant’anni, manca I giovani e il sessantotto: che è successo?

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Democrazia. Afganistan, Florida, Iraq (anche Bielorussia, ma non è collegata con le altre). Tre elezioni una più democratica dell’altra.

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Socialismo. Pechino. Centocinquanta vittime, di cui cinquantasei accertate e gli altri “dispersi”, in una miniera di carbone nello Hunan (Cina Centrale). Nella miniera lavoravano quattrocento operai. Tecnologie obsolete, scarse misure di sicurezza, supersfruttamento. Secondo i dati ufficiali, nel 2004 in Cina ci sono stati circa duemila incidenti minerari, con la perdita di oltre quattromila minatori.

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Mercenari. “Miliziani retribuiti”. “Non-neutrali”. “Imitatori di Senofonte”. “Operatori strategici”. “Non-pacenti”. Chiamateli volete, purché sbattiate in galera coloro che li rastrellano come dei cococò, speculando sul loro bisogno, per venderli ai governi stranieri. E nel frattempo non linciate anche questo giudice, se potete: lui, guarda un po’, sta solo applicando la legge.

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Civiltà. Due milioni di inglesi che scaricano dal sito apposito il video della decapitazione.
Bookmark: non lo metto perché non sarebbe da gentlemen.

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Terrorismo. Va in coppia con l'”immigrazione clandestina” nei proclami ufficiali. Come se la seconda guerra mondiale fosse stata combattuta per sconfiggere il nazismo e l’abigeato. In America la coppia è già diventata tre e il governo comincia a fare appello alla lotta contro il terrorismo, l’immigrazione clandestina e la pirateria informatica. “Siamo pronti a dare il via al più forte e aggressivo assalto legale contro il crimine di furto della proprietà intellettuale nella storia del nostro paese”.
In Italia,una volta, arrestavano i ragazzi per uno spinello e incontravano amichevolmente i boss dell’eroina. A quei tempi, naturalmente.

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Sport. Ma qualcuno gioca ancora col Rieti? E’ quella squadra dde pecorari bburini che l’antra domenica ha fatto espellere il ragazzo down che faceva il raccattapalle perché “a sbrighete! a’ lentooo!”. (Della serie: un po’ di sano razzismo).

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Palermo. Registra le minaccie dell’usuraio, va dai carabinieri e lo manda in galera. “L’ho denunciato per liberare me e la mia famiglia. Ho denunciato, perché questa città sia finalmente diversa”. Una povera vedova, non un grosso iprenditore.
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Siracusa. Incendiato per la terza volta volta in tre anni l’Irish pub. Il proprietario s’è sempre rifiutato di pagare il pizzo, l’ha detto pubblicamente e ha anche fondato l’associazione antiracket.
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Napoli. Due muratori sull’impalcatura feriti a revolverate mentre stanno lavorando. Il padrone dell’edificio non aveva pagato il pizzo alla camorra.
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“Un intero popolo che paga il pizzo/ E’ un popolo senza dignità”
Scarica gli adesivi, cliccando sul link. Stampali su fogli A4, possibilmente su carta adesiva. Ritagliali lungo le linee grigie. Attaccali di notte nelle “vie dello shopping” della tua città, facendo in modo che siano visibili ai passanti. Tappezza i pali della luce, le cabine telefoniche, le buche della posta: evita invece di deturpare i muri, specialmente quelli di edifici storici. Guardati dalle volanti della polizia, perché è pur sempre un’attività illegale che potrebbe costarti una multa. Guardati inoltre da chi potrebbe non gradire il messaggio contenuto sull’adesivo.
Bookmark: http://www.addiopizzo.altervista.org/

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Pubblicità.
IO NON PAGO
“Io lavoro per mantenere la mia famiglia, non per arricchire i mafiosi. Per questo mi sono messo con un gruppo di altri commercianti come me, e insieme abbiamo fondato l’Associazione antiestorsioni nella nostra città.
Ci sosteniamo economicamente a vicenda in caso di emergenze, collaboriamo con le forze dell’ordine nella lotta contro le estorsioni, ci costituiamo parte civile in occasione dei processi contro gli estortori. Siamo a Capo d’Orlando, a Catania e in tante altre città, grandi e piccole, in cui la gente si è stufata di lavorare nella paura.
Siamo in tanti. Possiamo dare una mano anche a te. Contatta l’Associazione antiestorsioni della tua città”.
(I Siciliani, 1994)

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Cronaca. Roma. Anziano nel Tevere salvato da un bersagliere. L’uomo, un vagabondo sessantenne, s’era gettato dal ponte Principe Amedeo. Il militare, che passava per caso, s’è tuffato a sua volta riuscendo a raggiungerlo prima che venisse portato via dalla corrente. Chissà se qualcuno, adesso, provvederà al mantenimento del poveraccio. (Glossario: “Senza fissa dimora”, “In un attimo di sconforto”, “Con poche vigorose bracciate”, “L’encomio delle autorità”.

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Concerto per Enzo. Giovedì alle 20.30 all’Ambra Jovinelli, a Roma. Musiche classiche persiane e di altri Paesi.
Info: www.unponteper.it

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Aporema wrote:
< Ho letto che a Pierluigi Diaco è stata offerta da Emilio fede la vicedirezione del TG4, non senza vividi elogi al Diaco stesso. I latini avevano almeno un paio di detti che potremmo utilizzare in proposito. Pares cum paribus facillime congregantur. Oppure, più semplicemente, asinus asinum fricat >
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Lasci perdere le citazioni. Guardi la foto, piuttosto. Fede forzatamente cordiale, sorridente, ma in realtà con un’aria da venditrice molto invecchiata. Se fosse stato una donna, questa è l’età in cui, di mestiere, ormai farebbe l’affittacamente e sorriderebbe nella stessa maniera ai fuorisede (trecento euri a letto per stanze da quattro letti). Invece è un uomo e gli uomini a quei tempi potevano fare anche il giornalista (le donne no). Il Diaco, accanto a lui, ha un’aria molto più fredda e “professionale”. Sempre della medesima professione, tuttavia. Fede, facendola, s’è divertito di più (ma erano altri tempi) mentre per lui è stata tutta una cosa aridissima e in salita. Bel-Ami, ha detto qualcuno: ma (a parte che ho appena rimproverato Lei per il latino: figuriamoci Maupassant) Bel-Ami, nella sua contorta maniera, si divertiva. Questo no. La novità della prostituzione moderna è infatti che è tutta scientifica, programmata: non son più i puttanoni di Fellini. Sono “escort”, adesso, col sito il telefonino e tutto. Debbono stare molto attenti a non commettere errori perché sul mercato d’oggi – compreso questo – errori non ne vengono ammessi.
La differenza sostanziale, tuttavia, consiste nel fatto che Fede viene da un paesino del sud, rovinato dalla speculazione edilizia e ormai brutto, ma tuttavia dotato di un suo mare, di una sua piazza con struscio e di una stazione ferroviaria con cui fuggire via da tutto questo. “Fare carriera”, “vado a Roma”, “il continente”. Son cose umane, in fondo, non necessariamente feroci. Corrompono, ma non per forza rendono inumani.
Diaco, invece, nasce come un ragazzo del Labaro, escluso dalla pischelleria e dalla strada ma sempre irrimediabilmente rinchiuso dalla borgata. Col terrore animale di doverci trascorrere la vita e con l’unica risorsa di una maggiore introspezione e di una decisione fermissima di non lasciarsene divorare. Ha giocato le sue carte così, spinto da questo terrore. Con apparente efficacia (poiché la società è ingenua, e non è affatto difficile riuscire a circuire un vecchio prete, un communista curioso e un “freak” in decadenza), gestendo accuratamente l’offerta di sè e amministrando con infinita oculatezza l’immagine del “ragazzo” di cui tutti costoro avevano bisogno per assolversi dal trascorrere del tempo. Infine, quando questo terreno è stato tutto ragionevolmente sfruttato, ha accelerato e sterzato è s’è proposto tout-court come uomo (“ragazzo”) di Palazzo. E qui, con due o tre mosse lievi e meditate, è entrato con sicurezza e senza scrupoli, fino a poter arrivare davanti all’ansimante Fede e a dirgli, con un sorriso gelido: “Sei vecchio. Ora ci sono io”.
Bene. In tutto questo, è morto un ragazzino a cui volevo anche un po’ di bene, che a un certo punto è svanito e non c’è stato più. Al suo posto, ancora per qualche anno col medesimo viso, è entrato un uomo lupesco e adulto, un vincente, un’altra cosa. Alcuni non l’hanno riconosciuto ma io – che sono molto più vecchio e cinico di Ferrara o Curzi o Pintacuda – invece sì. Chissà che cosa sarebbe diventato quel ragazzino, se gli si fosse permesso di crescere. Certo, non questo sorriso greve, da Fede giovane, di questa foto.
Va bene: mi sono lasciato andare. Diciamo che Fede e Diaco mi stanno – soprattutto Fede – artisticamente simpatici perché sono due bei personaggio. Io probabilmente non sarei mai riuscito a svilupparli da solo, ma la realtà me li offre generosamente così, chiavi in mano: basta fotografarli, e funzionano. Chissà se Balzac l’ha mai avuta, una fortuna così

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redrage wrote:
< Apprendo con estremo dolore, la ulteriore dipartita, gravissima perdita, di una delle poche comunicazioni che giravano ancora in rete: solaria@parolestorte.it chiude e ci lascia per sempre. Il decreto urbani o almeno i probabili effetti vessatori di tale legge, hanno mietuto un’altra vittima, la repubblica democratica sta cadendo sempre più a pezzi e chi ha qualcosa da dire lo può fare, accertandosi prima che nessuno lo possa ascoltare.
Al Massimiliano che ha scritto sul SanLibero 252 rispondo da queste righe, dato che non posso farlo personalmente, che la realtà delle cose è la seguente: centinaia di civili, tra cui donne, vecchi e bambini sono giornalmente trucidati e non solo quei 38 per mano guerriera, anche quando non se ne occupa la stampa, che ha dato, di contro, grande spazio a chi doveva fare la guerra preventiva contro il terrorismo. Se mi posso permettere gli consiglierei di fare domanda per entrare nell’esclusivo cast dell’Isola dei famosi e di potere finalmente capire quanto possa essere dura la vita per coloro che quotidianamente e volontariamente soffrono delle privazioni dei generi di prima necessità intellettiva, se mai ne hanno avuta una >

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Marco wrote:
< Perché [secondo me] è giusto perseguitare i gipponi in città, e forse anche fuori città? Per questo dato, semplicissimo. Dichiarazioni delle tasse 2001: oltre un milione di euro di Irpef, 1.081 contribuenti, oltre 300.000 euro circa 17.000 contribuenti. Gipponi comprati nel 2001: 230.000, costo medio 45.000 euro l’uno. Un contribuente ogni 12,7 dichiara al Fisco quel che basta per permettersi un gippone, gli altri… Venalis populus, venalis curia patrum >

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giapagg@tin.it wrote:
< a Indy media hanno offeso i Carabinieri morti a Nassirya e tutto il resto >

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ilpiazza@inwind.it wrote:
< Di chi è il contrasto fra la plebea e l’aristocratica? Mi ricorda la poesia di Trilussa Ninna-nanna de la guerra >
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No, questo risale al 1912: la guerra in questione è ancora quella di Libia. Non è una poesia “colta” come quella di Trilussa ma un semplice testo di cantastorie, di quelli che venivano portati in giro per i paesi e a volte anche stampati su fogli volanti. Potevano essere “politici” come questo, o ispirati a fatti di cronaca. La forma del contrasto (molto antica) fu mantenuta fino agli anni 50.

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Enrico T. wrote:
< Mi scusi se Le scrivo solo per sottoporle una questione tutto sommato superficiale, ma La apprezzo molto e vorrei che la Sua rubrica fosse ineccepibile. Perciò le segnalo la smentita della notizia di Fini in Giappone >
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Mai fidarsi. Io l’avevo ripresa dal Corriere che però a quanto pare aveva preso una buca, attribuendo al povero Fini una gaffe commessa invece, molto tempo prima, da un diplomatico italiano. Ne consegue: che Fini continua a non cantare; che il Corriere alle volte dà dei canard; e che alle volte – il che è molto più grave – ne dà persino la Catena. Unicuique suum. Solo, è una storia tanto carina che adesso sto consultando Gilbert & Sullivan per vedere che ne dicono loro.

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Nico Tanzi wrote:
< “Una cosetta, a confronto di altre gravi: gli Haiku sono di 7-5-7 sillabe…”. Cosetta per cosetta, le sillabe negli Haiku sono in realtà 5, 7 e ancora 5; in tutto, 17. Consentite, a volte, talune eccezioni >

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Nocera Gigi wrote:
< Egregio R., ti posso dare un consiglio? La tua Catena è troppo lunga: le prime righe interessano e si leggono bene, poi ci si stufa. Quindi taglia e non farla troppo lunga >

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Toti D. wrote:
< E’ da tempo che non leggo qui notizie su Catania (appalti, Scapagnini, Bianco, mafia, prossime elezioni). Perchè? >

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Catania in Movimento wrote:
< Ci sembra difficile che tu non sia venuto a sapere di Catania in movimento (l’unico gruppo di cittadini che sta cercando di costruire un’alternativa onesta a Enzo Bianco). Come mai, pur richiamando più volte l’insolita e vergognosa situazione di Catania stretta tra due rappresentanti dello stesso gruppo di potere, non racconti anche del nostro tentativo? In città le forze politiche (?!) della sinistra stanno cercando accordi vantaggiosi con Bianco e sono terrorizzate dall’idea di discutere su qualsiasi alternativa (pur conoscendo le motivazioni, gravissime e disparate che dovrebbero, almeno per una questione morale far escludere la candidatura Bianco >
Bookmark: www.cataniainmovimento.it
* * *
Cari amici,
non scrivete a me, scrivete a Claudio Fava. E’ lui che decide sul via libero a Bianco. L’avete votato – magari giustamente – perché negli ultimi tempi era tornato combattivo e pimpante (vedi lo scontro con Crisafulli sulla questione morale) e a votare per lui sembrava quasi di votare per Claudio Fava. Però non l’avete fischiato quando, il giorno dopo la vittoria, è tornato a far l’elogio di Bianco e *quindi* a rimettere nel cassetto la questione morale. Regalando con ciò insperatamente a Bianco-Ciancio, e più in generale al sistema di potere, ciò che costoro avevano perso con la terrificante trombatura dei loro candidati. Insomma: come politico da volo basso, Fava è una ciofeca. Ma come capopopolo da battaglia, funziona. Obbligatelo a schierarsi, a costo di menarlo: il problema è tutto qui. Lui è giovane e pulito abbastanza per riflettere (non subito) sulle vociate che gli farete. Farà bene a voi, farà bene a lui e non vi dico quanto alla città.

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elsa <storia@liberta.it> wrote.

< All’occasione, secondo gli
ordini delle Autorità, essa era sempre
rimasta una brava maestra, essa
introduceva nei temi e nei dettati
i re, duci, patrie, glorie e battaglie
che la Storia imponeva; però lo faceva
in tutta purezza mentale e senza
nessun sospetto, perché la Storia,
non meno di Dio, non era mai stata
argomento dei suoi pensieri >

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AntonellaConsoli <libera@libera.it> wrote:

Cipressando

< Inutili le frasi,
altissimo il cipresso.
Ondeggiando scommette sulle stelle.
È ancora molto lontana la primavera >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)