San Libero – 214

19 gennaio 2004 n. 214

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Ansa. Il presidente del Consiglio dei ministri on. Silvio Berlusconi ha rassegnato ieri le sue dimissioni al termine di un colloquio, di cui è stata data notizia solo ora, col Presidente della Repubblica Sandro Azeglio Ciampi. L’incontro era stato formalmente richiesto – si apprende da una nota del Quirinale – dal Capo dello Stato per “valutare la situazione istituzionale creatasi dopo la condanna penale, per reati comuni, dell’on. Silvio Berlusconi”. Secondo voci non confermate nè smentite, Ciampi starebbe per affidare al Presidente della Camera l’incarico di formare un governo tecnico – formato da esponenti dei due schieramenti – col compito di preparare le elezioni.
Nessuna dichiarazione è stata rilasciata da Tokyo dall’on. Berlusconi, ma il portavoce Bondi ha parlato a Rio de Janeiro di un “intollerabile attacco portato avanti con faziosità e ostinazione contro un governo espressione della volontà popolare”. In un’intervista al quotidiano yemenita Al Mugadir, l’onorevole Taormina denuncia invece “la scandalosa sentenza dello scorso gennaio con cui i comunisti della Corte costituzionale hanno spalancato le porta del carcere a Silvio Berlusconi”. Posizioni analoghe sono state espresse a Wellington dall’ex ministro Tremonti e – con un fax inviato, a spese del destinatario, dalle isole Cayman – dall’on. Cesare Previti. Solidarietà all’ex premier è stata espressa anche da Francesco Cossiga, Marco Pannella, Emilio Colombo, Amenophis IV e dal re di Tonga. “Silvio potrà sempre contare sugli amici” ha detto infine l’onorevole Dell’Utri, da località imprecisata.
Ben diverso il tono della maggior parte dei quotidiani. Sul Foglio di Giuliano Ferrara (che oggi esce con le litografie di Marx, Engels e Lenin accanto alla testata) un editoriale commenta che “non poteva che andare a finire così”. Duri commenti sull'”insostenibile anomalia del caso italiano” anche sul Corriere della Sera, sul Giornale, sul Messaggero, sul Resto del Carlino, sulla Stampa, sul Giornale di Sicilia, sull’Eco di Bergamo e su altri 215 quotidiani italiani. Uno speciale di Porta a Porta su “La storia s’interroga: un bandito al potere?” andrà in onda stasera – secondo quanto anticipato dalla Rai – con la partecipazione straordinaria, accanto a Bruno Vespa, di Enrico Mentana, Gad Lerner, Paolo Liguori, Ricci, Costanzo, Bonolis e tutti gli altri. Unico tg a non commentare la notizia è stato quello di Emilio Fede, che ha invece mandato in onda un’inchiesta sui drammatici problemi degli abitanti della Kamchatka, appena usciti da sessant’anni di oppressione comunista.
Da Papeete, infine, l’onorevole Bossi fa sapere che la lotta per l’indipendenza e/o devolution si sposta per il momento nell’isola di Bora Bora (dove sono stati appena rinvenuti reperti storici che ne provano le inequivocabili origini celtiche), ribattezzata “New Padania” dai militanti e dirigenti della Lega che vi si stanno trasferendo in massa in queste ore.

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Lite fra il ministro Tremonti (che doveva intervenire) e il governatore Fazio (che doveva controllare). Tutt’e due si rinfacciano a vicenda le rispettive fellonie. Dei due, Tremonti è Tremonti (“per evitare l’inflazione, bastava stampare banconote da un euro”) mentre Fazio è un cattolico-monarchico modello Action Francaise, (gruppo Lepanto, ecc.); come banchiere, è stato il primo a rompere la neutralità formale della Banca d’Italia schierandosi esplicitamente – a vacche grasse – col governo Berlusconi. Benissimo: a casa tutt’e due, e ricominciamo da capo. Ma, stranamente, una parte del centrosinistra (“Repubblica”, per esempio) si batte per salvare il governatore, intervenendo nella lite fra i due marpioni invece di contrastarli tutt’e due. Come mai?
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Tanzi durava da quindici anni. Tutta colpa di Berlusconi? Oppure di D’Alema, di Prodi, o prima ancora di Amato? Come mai di tanti governi diversi nessuno s’è mai accorto di niente? Come mai sui giornali non è uscito mai niente *per quindici anni*? Hanno corrotto tutti, ma proprio tutti, uno per uno? Oppure nel meccanismo c’è qualcosa che impedisce anche ai più onesti di vedere, di sentire e dunque d’informare? Davvero in Italia è possibile sottrarre un bel pezzo del Pil nazionale scannerando ricevute fasulle e stampandole alla Totò?
La verità è che – un tempo affermava la legge – “il re non sbaglia mai”. La legge, che vale per i sudditi, non vale – istituzionalmente – per il sovrano: il quale è d’origine divina e dunque *non può* sbagliare. Neanche il funzionario più onesto, di fronte a questo principio, riesce a non trarsi indietro. Se il re mente o ruba, o fa addiritttura bancarotta, lo fa per buone e nobili ragioni, che sfuggono a noi mortali. “Arcana imperii”: discutere le azioni del re è contro la religione.
Ed è la religione italiana dagli anni Ottanta. “L’impresa non sbaglia mai”, “ciò che è buono per la Fiat è buono per l’Italia”. Mani Pulite, da questo punto di vista, è stato solo un brevissimo e parziale squarcio sulla realtà italiana: interpretato, a sua volta, secondo il principio religioso secondo cui l’impresa è istituzionalmente sana, e dunque non potrà mai essere lei a corrompere i politici ma viceversa. Ma se provassimo a rileggere quelle carte da “atei”, senza pregiudizi religiosi, ne avremmo un quadro terrificante nella sua banalità: gli imprenditori italiani, da un certo momento in poi, si sono comprati ed hanno gestito tutta la politica. Altro che “crisi della prima repubblica” e “classe politica corrotta”. I politici erano corrotti sì, ma sempre stando al di sotto. Un tempo, il politico Fanfani contrattava con l’imprenditore Costa. Adesso l’imprenditore è Berlusconi e il politico Bondi. Gli equilibri si sono semplicemente polverizzati. In più, le imprese di una volta, separate di fra loro e legate a una produzione, adesso si sono fuse in oligopoli (non più di otto o dieci in tutto), che tendono a occuparsi di tutto e si chiamano banche.
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Stavolta dunque non grideremo ai ladroni. E’ proprio il sistema che non funziona. La banca controlla l’impresa, l’impresa finanzia l’informazione e l’informazione dà copertura alla banca. Questo circuito ormai è completamente autoreferenziale, non c’entra più niente nè con l’economia reale nè col Paese, e per bloccarlo non basterebbero cento dipietri a cavallo: qui ci vorrebbe proprio una sinistra. Che però, di fronte alla sacra persona, si ritrae balbettando: “Sacra Maestà, permesso…”.
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Per fortuna c’è l’euro, grazie al quale potremo far pagare (in parte) i nostri arcaismi feudali a economie più moderne, ai tedeschi e ai francesi. Ciò ci darà qualche anno di respiro, ma non più di tanto. Ora come ora, la situazione è che per cercare di capirci qualcosa i magistrati sono costretti a convocare non gli economisti o i ministri ma un comico, Beppe Grillo.
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Siamo tutti tranvieri. “Mi sto giocando la paga di un mese ma tengo duro perché è giusto”. “Ma che fa il governo?”. “Provi lei a campare con ottocento euri”. “Ci manderei i soldati, al posto loro!”. “Ma via, in fondo, poveretti”. “Licenziarli tutti, altro che storie”. “E’ rincarata anche la verdura”. “Dice che forse scioperano anche a Berghem!”. “L’associazione industriali deplora…”. “Domani tutti in rimessa!”. “Stanno meglio di noi, signora mia”. “Uniti, uniti! Non lasciamoci sbandare!”. “Eccellenza, ecco la lista degli scioperanti”. “Beh ragazzi, tutti in galera non ci possono mettere”. “A tutela dell’ordine pubblico, la Prefettura dispone…”. “Sutt sti muri passen i tram/ fracass e vida del mi Milan”.

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Giornali. Una volta Mario Ciancio – il padrone di tutti i giornali e tv della Sicilia – chiamò un anziano professionista, che aveva fatto il caporedattore al Corriere, a ripulire l’immagine di un suo giornale: lo nominò vicedirettore e lo fece firmare in prima. Il poveraccio durò qualche settimana. Un giorno, per una faccenda qualunque, dovette rivolgersi al corrispondente del giornale da Messina, e si accorse che il corrispondente non era un giornalista ma… l’impiegato locale della società agrumicola del padrone. Protestò, fece obiezioni, e alla fine fu sollevato – con tanti complimenti – dall’incarico.
Un’altra volta, i redattori dello stesso giornale si accorsero che ogni volta che chiamavano la questura, il comune, gli ospedali, l’Ansa o chiunque altro la comunicazione cadeva improvvisamente dopo qualche minuto. Era successo che il padrone, per risparmiare sui telefoni, aveva ordinato di commutare tutte le chiamate in uscita su un cellulare tarato su “interruzione automatica dopo 5 minuti”. Nessuno osò protestare: ma un giorno per fortuna l’incidente capitò anche al padrone in persona, bruscamente interrotto durante la telefonata col ministro, e il centralino normale fu ripristinato.
Alla fine, il nostro ha cominciato a “tarare al ribasso” anche le buste-paga dei redattori. Ne ha fatto le spese un’inviata, che a un certo punto si è accorta che dalla sua busta era scomparsa la voce “inviato” che invece era lì da dodici anni. “Mi pare che qui ci sia un problema…”. Prima la minacciano di toglierle la qualifica, poi – come lei insiste – gliela sostituiscono aumma aumma con un’altra. Roba da far muovere persino il (di solito prudentissimo) sindacato giornalisti siciliano.

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Enterteinment. Il giullare del barone ha truccato il suo spettacolo. Il giullare del duca l’ha smascherato. I due giullari s’accapigliano, barone e duca (su cui i due giullari hanno il divieto di scherzare) fanno il tifo. Giullarate.

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Albanesi. Un tempo, col comunismo tirannico, non c’era il problema degli albanesi. Il comunismo proibiva infatti severamente agli albanesi di lasciare l’Albania, e se qualcuno ci provava veniva sbattuto in galera. Non solo in Albania: in Russia, in Polonia, in Cecoslovacchia, in Romania, la gente rischiava la pelle per andarsene (“passare alla libertà”) e i comunisti pattugliavano i confini con mitragliatrici e cani. A Berlino, alzarono addirittura un grandissimo muro – sotto cui caddero decine di fuggitivi – per affermare il principio “Dove puoi andare, lo decidiamo noi”.
Noi occidentali, naturalmente, denunciavamo a gran voce questa terrrificante tirannia. “La libertà! – gridavamo a gran voce – L’essere umano sia libero nel mondo!”. Magari ci credevamo veramente. Fatto sta che questa speranza di potersi muovere, questa libertà, furono esattamente ciò che buttò giù il muro. Nessuno, in Albania o in Russia, voleva votare per Berlusconi o Bush. Volevano semplicemente essere liberi. Andare dove volessero, senza muri. Noi li abbiamo applauditi, e gli abbiamo dato ragione. I muri, adesso, non ci sono più? Molti più albanesi – e russi e ucraini e rumeni e polacchi – sono stati uccisi dai nostri muri di quanti ne siano stati uccisi dai muri “comunisti”. Lo stato italiano, con le sue assurde e incivili leggi contro la libera emigrazione, ha fatto molte più vittime di quante ne avesse fatto l’Albania comunista. Ma l’economia, ma la delinquenza, ma la lega… Decidete una volta per tutte se volete essere “comunisti” o occidentali. Se volete fare i “comunisti”, allora mettete i lager per i violatori di muri e per i “capitalisti borghesi”. Se volete fare gli occidentali, allora mettete la libertà – ma per tutti. E’ comodo essere “occidentali” coi banchieri della Parmalat, e “comunisti” coi lavoratori che chiedono la libertà di espatriare.

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Cronaca. Padova. Durante un controllo di routine (quello porta a porta nelle abitazioni degli extracomunitari), alle ore 3 del mattino il giorno 8 gennaio u.s. il nigeriano Sulaiman Olanipekun Usman veniva fermato per un controllo dalla Polizia la quale, nonostante lo stesso fosse in possesso di un regolare Visto Turistico valido fino al 24 gennaio, portava il malcapitato al Centro di temporanea accoglienza di Ponte Galeria a Roma in attesa di rispedirlo in Nigeria. Il 14 gennaio il Giudice di rito confermava il fermo. Ora, a prescindere dalla validità o meno del fermo, la legge prevede che un eventuale ricorso avverso possa essere presentato solo in Cassazione per cui questa persona, giunta in Italia per turismo, se vorrà far valere i suoi diritti si dovrà sobbarcare la spesa non indifferente per farsi difendere da un avvocato cassazionista; la legge Turco Napolitano infatti qui prevede il ricorso solo in Cassazione. I tre gradi di giudizio in Italia sono previsti per mafia, omicidio, bancarotta fraudolenta, ma non per gli immigrati espulsi. Ora gli extracomunitari sono avvisati: prima di venire in Italia come turisti (salvo che non siano i figli di Gheddafi) dovranno fare una polizza di assicurazione che copra l’eventualità di espulsione. (r.c.)

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Rudy Colongo wrote:
< Sarei davvero cretino se chiedessi un Robin Hood? Insomma, diciamoci la verità. L’opposizione non esiste in italia. Ormai siamo ai giochetti delle tre carte,al “vengo anch”io, no tu no”. Ed intanto la destra al governo ha blindato il sistema… Sappiamo tutti che per smontare l’intreccio delle leggi pro Berlusconi ci vorrebbero almeno tre anni di legislatura forte, una maggioranza parlamentare compatta ed interessata al ristabilimento del dettato costituzionale. Lui, il mio robin hood, comparirebbe nella bruma ostile del conflitto d’interesse per mettere fine ai maneggi dell’imbelle Silvio senza terra e questi finirebbe, finalmente, nella stessa cella dello sceriffo di Parma, per falso in bilancio.
Non sono il solo a sentire il bisogno, enorme compulsivo, di avere un supereroe che mi dia una mano. Alla base della democrazia parlamentare vi è proprio la delega, da parte dei Cittadini, del proprio destino nelle mani di un gruppo di eletti (nel senso più ampio del termine). Pero gli eletti (nel senso più stretto del termine) non sono affatto all’altezza delle nostre attese. Figurarsi poi quando di voto non se ne parla nemmeno, come nel caso di milioni di persone in Italia. In effetti, se i cittadini italiani vivono male in fondo il loro destino se lo sono scelto loro.
Noi, minoranze etniche, noi immigrati, extracomunitari, binghi-bonghi, quelli da rinchiudere nei democratici centri di permanenza inventati dalla Turco e da Napolitano, non abbiamo eletto nè questa maggioranza delle bombe su Kabul e Bagdad nè quest’opposizione delle bombe sulla Serbia e della bicamerale.
A Roma a fine dicembre si voterà il consigliere aggiunto senza potere di voto (l’immigrato!). In fondo, essere privati dei diritti civili, con buona pace delle vostre destre e sinistre, ci consente di chiamarci fuori. Noi non abbiamo nessuna colpa. Anzi, è tutta colpa vostra >

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Maurizio Pittau wrote:
< Caro R., ho letto su Clarence il tuo articolo “La meglio gioventù. Il ricordo di Giuseppe Fava’”. Ho notato che nella storia dei Siciliani non hai ricordato una sua interessante appendice: “L’Alba. Giornale popolare dei giovani” di cui eri direttore. Lo dico perché io ne facevo parte e per me è stata una fondamentale esperienza.
Non ricordo bene tutto quello che accadde. Avevo credo 17 anni quando lessi sul televideo due righe con un indirizzo che annunciavano la nascita del giornale. Io non sapevo un accidenti dei Siciliani ma ero pieno di curiosità e voglia di descrivere e denunciare le cose del mondo e mi misi in contatto. In breve dal mio paesino divenni il contatto dalla provincia di Nuoro e dalla Sardegna. Ricordo che in uno dei primi numeri venne pubblicato un mio articolo di denuncia sulla situazione delle carceri in Sardegna che avevo scritta con una lettera 22. Questo tre anni prima che in Italia si accendessero le luci sulla infame situazione dei detenuti italiani. Mi ricordo che ci fu un incontro tra i vari contatti d’Italia presso il lago di Bracciano. Ricordo un ragazzo catanese che amava parlare difficile e una ragazza romana stupefatta che non fossi comunista visto come scrivevo. Mi ricordo del tuo arrivo insieme ad un altro giornalista di Avvenimenti, Michele Gambino forse. Mi ricordo che avevi un vecchio e maleodorante cappello.
Quando andai all’università invasi mense, facoltà e biblioteche di annunci e creai un gruppo di una ventina di studenti: la redazione sarda dell’Alba. Scrivemmo dozzine di articoli su volontariato internazionale, sette religiose, teppismo, salvaguardia ambientale. Ricordo l’accoglienza nelle scuole occupate che visitavamo con il giornale sotto braccio. L’Alba poi morì. Non ricordo come. Non ricordo perché. So solo che avevo ancora tanta voglia di scrivere, ma non avendo padrini essendo solo figlio di maestri come Giuseppe Fava capivo che il giornalismo non era la mia strada. O almeno non il giornalismo che avevo idealizzato.
Dopo ho fatto teatro politico, volontariato internazionale, formazione nonviolenta. Ho viaggiato tanto ho scritto un paio di libri e mi sono laureato in economia. Ora ho 30 anni e il mondo voglio cambiarlo non solo con le parole. Lavoro con organizzazioni internazionali. Opero per lo più all’estero, ma quando sono in Italia aggiorno il mio sito www.utopie.it il cui motto è “Il possibile non verrebbe mai raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile”.
E’ quello che credevo a 17 anni quando scrissi una lettera che iniziava più o meno così: “Cari amici dell’Alba, ho voglio di mettermi in azione. Posso collaborare con voi?”. Era l’inizio della mia “meglio gioventù” >
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Caro Maurizio, certo che mi ricordo di te; ho ancora il tuo telefono di allora. L’Alba sorse nei primi anni ’90 ma non come appendice dei Siciliani, bensì di Avvenimenti (dove allora lavoravo). Il modello era sempre quello di SicilianiGiovani, di cui fu praticamente un’estensione sul piano nazionale (ma con input nuovi, come la Pantera). Io ne ero “direttore”, come dici tu, solo perché firmavo; ma il giornale in realtà era autogestito dai ragazzi, e con risultati molto brillanti (a Bari, ad esempio, fu il primo a ricostruire con molti anni d’anticipo i retroscena del Petroselli). Come SicilianiGiovani, era un mix fra scuola, associazionismo e giornale; ebbe una funzione in quegli anni come modello di movimento “politico” ma non partitico direttamente espresso dalla società civile; un modello, io credo, che è attualissimo di questi tempi e andrebbe studiato attentamente e se possibile ripreso. Come SicilianiGiovani, l’Alba formò diversi ottimi giornalisti; ma, più ancora, formò parecchi militanti civili, “politici” ma non settari, efficienti ma senza autoritarismo e gerarchie. Moltissimi di loro sono ancora “in funzione”, come te, nei più diversi settori e nei più vari luoghi del mondo. Nessuno di loro, che io sappia, ha mai tradito: e questo, scientificamente, è un bel contrasto coi grandi “rivoluzionari” della mia generazione (Lotta Continua, ecc.) che invece ritroviamo, vent’anni dopo, servi di Berlusconi. Non sei il primo a scrivermi: da quando c’è la Catena, sono molti i “ragazzi dell’Alba” che si son fatti sentire per raccontarmi quel che stavano facendo dopo tanto tempo – e ti assicuro che tutti stavano facendo qualcosa. “Sono orgoglioso di voi” non rende abbastanza l’idea; in realtà, mi aspetto tutto da voi, ora che siete autonomi, e penso che prima o poi il mondo lo cambierete.

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marconibbio@libero.it wrote:

< Frassa chappa lai
strisce ne guardai
stacci stufi dagai
altari pitti buch!
ardentra arppassati
orpe orpe scarti
stacci stendo stuoi
strolla la molla
smortrati sdruigatori
diafani stornellano
nel vastre vostre coopratato
rullirono rombranti
spaccelliando zimbrellate
le mordelle spallazzate
in gergale sublime
stuff staff ognato
grufò sticco pacco
occhi prodenti
fuochi ardenti
sticcò l’altere
attrafolando >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)