San Libero – 141

Mutanti. Fra le novità di questi anni c’è l’apparizione, per la prima volta nella storia, di un tipo nuovo e mutante di siciliano: il siciliano vigliacco. Esempi: le numerose (circa duecento) famiglie palermitane che non hanno mosso un dito per proteggere i loro figli venduti ai pedofili; i numerosi passanti (almeno una ventina) che hanno assistito tranquillamente allo spettacolo di un bambino strappato in pieno mercato alla mamma e usato come scudo umano da uno spacciatore; il “Comitato contro le esagerazioni nel ricordo delle vittime della mafia” recentemente costituitosi a Brancaccio contro il monumento a padre Puglisi; e il comandante del peschereccio di Vigata “Buon Oriente” che ha lasciato senza soccorso un barcone con sessantanove poveracci a bordo, disidratati, semivivi e in pericolo di finire annegati in mare.
Quest’ultimo episodio di vigliaccheria è stato giustificato con la paura di “passare guai” con le autorità, che a quanto pare non hanno simpatia per i poveracci che s’incontrano in mare. “Sono impegnato in una battuta di pesca con le reti a strascico e quindi non posso soccorrere nessuno”, ha comunicato via radio il padrone del “Buon Oriente”. E quindi ha tirato diritto, soddisfatto di sè (“iu mi facciu i cazzi miei”) e cittadino esemplare (“la legge è legge, e io non voglio guai”). Non credo che sarà punito, come pure prevederebbe il codice della navigazione, per omissione di soccorso in mare. Ma forse avrà qualche difficoltà, d’ora in avanti, a farsi offrire da bere dagli altri marinai al bar del porto.
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La giustizia è stata svelta, invece, a confiscare il peschereccio di padron Corrado di Portopalo. Quando il “Ciro” ha incrociato la carretta dei disperati (un’altra: il nostro mare brulica di crocieristi del dolore) padron Corrado non ha esitato un istante ad affiancarsi allo scafo, a gettare una gomena e a rimorchiarselo dietro fino a Portopalo. Adesso è in un mare di guai, poichè il procuratore Platania (che non ricordiamo di aver mai incontrato in qualche inchiesta contro la mafia) ha deciso che forse padron Corrado fa parte di una pericolosa organizzazione di anti-Bossi e, in attesa delle indagini, sequestrargli la barca è il meno che gli si possa fare.
Sul molo di Portopalo, adesso, padron Corrado va su e giù senza dire niente a nessuno. Solo una volta è sbottato: “Erano degli esseri umani, quei poveretti, non degli animali!”. Poi non ha detto più nulla, e in particolare ha evitato di esprimere la sua opinione su queste leggi moderne che lasciano annegare i poveretti per ordine dei signori.
E sono centinaia e centinaia, nel fondo del mare di Sicilia, i corpi dei poveretti annegati dai signori. Quattrocento, probabilmente, erano a bordo della sola “Iohan”, colata a picco a Natale del ’96 con tutto il suo carico umano. Nè il procuratore Platania né alcuna altra autorità dello stato dissero niente allora, né aprirono un’inchiesta né trovarono niente d’anormale. Furono i pescatori di Portopalo, con un paio di giornalisti coraggiosi, a far ritrovare il relitto e a denunciare al mondo il caso.
Ci sono alcune leggi che non debbono essere rispettate. Ce n’era una contro gli schiavi fuggiaschi, in America, poco più di cent’anni fa; ce n’era una contro gli ebrei, in Europa, poco più di cinquant’anni fa. Rispettare queste leggi è vergognoso. Padron Corrado non lo può dire: ma i marinai siciliani – meno i vigliacchi – lo sanno bene, loro che da sempre appartengono all’internazionale del mare.

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Il ragionier Fantozzi, al ritorno dalle vacanze, ha abbassato il finestrino della Bianchina, ha sporto il braccio per prendere il biglietto dal casello… e se l’è sentita afferrare da una mano ferrea. “Agente Mc Pherson della Compagnia Assicurazioni! Lei è Fantozzi Ugo?”.
“S-sì”.
“Ah ah! Lei è ricercato per evasione assicurativa! Brigadiere, proceda!”. E immediatamente un altro energumeno ha aperto il bagagliaio della Bianchina e s’è preso pinne, maschera, giornali pornografici, radioregistratore e canna da pesca, tutti gli oggetti cioè che costituivano il corredo da beach-enterteinment di Fantozzi.
“Confiscati! Le saranno restituiti quando avrà pagato il nuovo aumento della Rca auto! Vadi, vadi!”.
E fu così che il ragionier Fantozzi seppe che a partire da settembre 2002 l’assicurazione della Bianchina era aumentata del quattrocento per cento, allo scopo di pagare le vacanze dei megamanager delle Assicurazioni Generose.
Tornato a casa, Fantozzi trovò sotto la porta una cortese lettera dell’Unità Sanitaria Locale (“Da oggi gli antireumatici si pagano!”), una della sua banca – che non osò aprire – ed una dell’Enel privatizzata che gli comunicava il taglio della luce.
“Siamo senza luce! – gridò Fantozzi alla signora Pina – E stasera c’è la partita!”. Afferrò convulsamente il vassoio d’argento dono di matrimonio della zia Pia, il Bot e le quattro azioni della New Financing comprati all’inizio del governo Prodi, due carciofi acquistati a suo tempo a scopo di speculazione e si fiondò fuori di casa. Riuscì a piazzare il vassoio al monte dei pegni, il Bot a un cieco che chiedeva l’elemosina a piazza Duomo, fu preso a cazzotti nei denti da un broker a cui aveva cercato di piazzare le azioni che ormai valevano un cent l’una, ed ebbe un vero colpo di culo coi carciofi: a porta Venezia, uno spacciatore gli offrì per i due vegetali mezzo chilo di cocaina purissima (il prezzo dei carciofi era ormai alle stelle) che Fantozzi rivendè poco dopo a un ministro a cui avevano arrestato il pusher che riforniva abitualmente il ministero.
Fantozzi riuscì ad arrivare agli sportelli dell’Enel esattamente alle 13.25. “Ecco… qui c’è la bolletta! La prego, mi riattacchi la luce! Stasera c’è la partita!”.
L’impiegato lo squadrò con disprezzo. “Fa… ottantamila lire, cioè sessanta euri”.
“Ecco… Ma scusi, ottantamila… Ottantamila lire sono quaranta euri, no? L’ha detto il Governo!”.
L’impiegato non lo degnò d’una risposta e si limitò a indicargli la tabella appesa alla parete. “Nuove disposizioni. Ecco il resto. Anzi no, non c’è resto”. E abbassò il vetro.
Fantozzi guardò la tabella. C’era scritto: “Conversione lire-euro” e, in basso e più in piccolo: “Ad uso dei poveracci”. “Ecco, vediamo… – lesse faticosamente Fantozzi – dunque… Un miliardo di lire, uguale un milione di euri… Un milione di lire, uguale cinquecento euri… Centomila lire, uguale settantacinque euri…. Cinquantamila lire, uguale cinquanta euri… Mille lire, uguale un euro… Cinquecento lire, uguale mezzo cent e un bottone…”. Più in basso ancora c’era scritto: “a partire da gennaio, le pensioni saranno pagate in patacones”, ma questo era scritto in caratteri così piccoli che Fantozzi, essendo anche miope, non riuscì a leggerli per niente. D’altra parte, era così eccitato e impaziente al pensiero della partita che non lesse nemmeno tutto il resto del manifesto.
La sera, a casa, alle ore venti e venticinque esatte, Fantozzi era sprofondato nella sua solita poltrona, con un pacchetto di patatine pronte all’uso a destra, la coca-cola a sinistra, un’enorme bandiera tricolore fra le braccia, un fischietto, una raganella e un piccolo petardo da mezzo chilo da lanciare dalla finestra al momento del gol decisivo.
Si giocava Italia-Tonga, valevole per la semiqualificazione ai Mondiali: l’Italia schierava Vieri, Totti, Luca da Montezemolo, Sabrina Ferilli, Sgarbi ed altri quindici famosissimi calciatori pagati quaranta milioni (di euri) al minuto; il Tonga schierava undici giocatori due dei quali avevano già visto almeno una volta una palla (però da tennis) nel corso della loro vita.
“I-ta-lia I-ta-lia”. Alle venti e ventinove Fantozzi aveva già cominciato a fare il tifo. Alle venti e trenta il video s’illuminò sinistramente e apparve un’annunciatrice.
“A causa dei contrasti emersi fra la lega calcio e la televisione, la partita di questa sera non verrà trasmessa. Andrà in onda invece il documentario: Gli etruschi, antico popolo del mistero”.
“Aaaarg!”. Da tutte le finestre del condominio si alzarono grida di panico, singulti strozzati e ululati, più un colpo d’arma da fuoco (il geometra Spirito, del settimo piano, che aveva trascorso le vacanze sulla poltrona per prepararsi meglio alla partita e ora per lo sconforto aveva cercato di suicidarsi con la pistola lanciarazzi).
“Non possono farci questo! Non possono!”. Improvvisamente, sullo schermo televisivo di Fantozzi e degli altri centocinquanta abitanti del condominio (e di altri cinquantacinque milioni di italiani che nello stesso momento stavano sbraitando la stessa cosa) si materializzò la figura severa del Supermegamanager Grand’Uff. Min.degli Est. Gran Propriet. SuperPresidente d’Italia.
“Cosa, non possiamo, Fantozzi?”.
“No… ecco… Io volevo dire… io pensavo..”.
“Lei pensa, Fantozzi? Lei vorrebbe pensare?”.
“No, ecco… Io… io non mi permetterei… non mi permetterei mai, Eccellenza…”.
“Volevo ben dire!” fece l’immagine sullo schermo. E si dissolse.
Quella notte, attraverso il tam-tam clandestino, gli inquilini del condominio vennero a sapere che il Tonga aveva battuto l’Italia per sette a zero; in premio, il centravanti del Tonga aveva ricevuto una piroga nuova. L’allenatore dell’Italia aveva immediatamente fatto una conferenza stampa per proclamare il proprio diritto alla riconoscenza della nazione. Alcuni dei condomini (quelli che riuscirono a trovare delle dosi a credito) si dettero alla droga. Altri si arruolarono nelle brigate rosse (ma prima dovettero firmare un modulo presso la più vicina sede del Sisde). Altri ancora, seguendo il ragionier Visentin dell’ottavo piano, andarono a cercar fortuna nelle lontane Americhe, e più precisamente in Argentina.
Fantozzi vagò da solo per tutta la notte blaterando parole sconnesse (“Avevano ragione gli studenti! Bisogna fare un sessantotto, bisogna!”). Alla fine però la sua educazione cattolica ebbe il sopravvento: si infilò in una chiesa per chiedere perdono al Signore dei suoi pensieri sovversivi. “Scusi, dov’è la fermata del tram?” gli chiese una vecchietta mentre entrava. E Fantozzi: “Là!”.
Purtroppo, una pattuglia di vigilantes della Militia Christi equivocò la risposta di Fantozzi: “Ha invocato Allah!”. “E’ un estremista islamico!”. “Vuol fare saltare la chiesa con tutto il cardinale!”.
Fantozzi fu sottratto a stento all’ira popolare, consegnato alle Guardie Padane e da queste all’ambasciata americana, che provvide a tradurlo a Guantanamo. Là ogni giorno un marine grande e grosso lo interroga: “You taleban?”.

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“Praga è sola”. Era il titolo di un vecchissimo articolo del Manifesto, più di trent’anni fa. I carri armati di Breznev avevano invaso la Cecoslovacchia. Come una calamità naturale, imperscrutabile, da affrontare – nella rimozione generale – da soli. Due generazioni dopo, non sono le sagome dei carri armati che campeggiano fra il Castello e la Moldava. E’ l’acqua del fiume impazzito (la macchina del clima s’è rotta) che occupa le vie e le piazze, con una regolarità capricciosa e ostile che fa pensare a una vera e propria occupazione militare. L’occupante, stavolta, non è il “comunismo” stolido dei gerarchi russi ma il “globalismo” irresponsabile di quelli americani. Mentre l’acqua ricopre il centreuropa (ma già due anni fa, in Francia, c’erano stati prodromi di alluvione) una grande e sinistra nube gialla percorre l’Asia; ed è già calato di un decimo il raccolto del riso; e intanto i potenti della terra si riuniscono per decidere che per il clima non faranno niente. “Tagliate gli alberi, casomai” decreta l’imperatore da Washington. Il titolo, ancora una volta, è: “Praga è sola”.

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Titolo di giornale.
< Il coordinatore regionale uccelli acquatici:
“La nostra passione non è contro natura” >
(tema: convegno sul birdwatching).

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Altro titolo di giornale.
< Allarme terrorismo: video di ricognizione girato
dentro la Basilica. Coinvolto uno storico dell’arte
BOLOGNA: QUATTRO ARABI E UN ITALIANO
PROGETTAVANO UN ATTENTATO >
(tema: brillante operazione contro il terrorismo islamico)

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Altro titolo ancora:
< Perchè bisogna moderare i toni della politica
MORI (SISDE): “IN AUTUNNO PERICOLO:
GRUPPUSCOLI VICINI ALLE BR” >
(tema: dibattito su sindacati e politica al convegno di CL)

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Informazione. Non è stato ucciso dalla raffica tirata al suo indirizzo da un carro armato – comunica l’esercito israeliano – il fotoreporter Raffaele Ciriello, ucciso con la videocamera in mano mentre filmava i blindati israeliani a Ramallah. Il comando militare non precisa i particolari balistici che suffragherebbero la sua opinione. Probabilmente la raffica della mitragliatrice, sparata in aria, è stata deviata da un sasso (sicuramente tirato da qualche palestinese) e ha infine colpito, per tragica fatalità, il povero Ciriello.

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Cronaca. Catania. Il sindaco Umberto Scapagnini vuole intitolare una strade a Filippo Anfuso, l’ambasciatore di Mussolini presso Hitler. Con Galeazzo Ciano si occupò dell’assassinio dei fratelli Rosselli, leader antifascisti all’estero uccisi a Parigi dai sicari dei servizi segreti italiani. Un criminale, insomma, oltre che un fascista. A Catania non mancherebbero personaggi onesti e chiari cui intitolare le vie: la maestrina Graziella Giuffrida, torturata e uccisa dai nazisti a 22 anni a Genova nel ’43; il commissario Beppe Montana, assassinato dai mafiosi a Palermo nell’85.
Info: anpicatania@yahoo.it

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Cronaca. Pavia. “Mi scusi signora, ma devo rapinarla”. Il rapinatore, un giovane sui vent’anni, ha tirato fuori con aria poco convinta un coltello, ha rastrellato alcune decine di euri che si trovavano sul bancone della tabaccheria, s’è avviato all’ingresso, s’è scusato ancora – “Sa, ho proprio bisogno di soldi” – e s’è dileguato nelle stradine circostanti.

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Cronaca. Devoluscion. In Sicilia la scuola comincia quindici giorni dopo (“Fa caldo”). A Messina, però, comincia quindici giorni prima (“Noi non riconosciamo gli ordini della regione”). Fa eccezione il Morgana (“La regione ha ragione”) che comincia quindici giorni dopo.

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Concetta wrote:
< Vorrei capire perché l’Unità Sanitaria Locale n.3 di Catania ha deciso di investire non tanto nella cura dei malati, dove materiali e strutture mancano, ma nell’informazione degli stessi: visto che da qualche mese tutti gli ospiti dell’Ospedale, compresi quelli in coma, ricevono insieme alla flebo una copia fresca di stampa de “La Sicilia”. Vorrei che qualcuno ci spiegasse perché questo uso improprio dei soldi dei contribuenti.
Perchè il dentista dell’Ambulatorio di Randazzo ha dovuto aspettare anni prima che il servizio di manutenzione riparasse un banale guasto alle apparechiature per la pulizia dei denti, e tutti noi abbiamo dovuto pagare costose sedute presso privati per una cura elementare? E perché l’oculista del mio Ambulatorio è costretto a comprare le lampadine per la lavagna luminosa di tasca sua? >

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Vincent wrote:
< Sono uno studente di ingegneria informatica di Bari di 20. Stamattina, 20/08/02, mentre facevo colazione guardando il Tg5 delle 8 ho sentito a sapere che il “governatore” della Puglia, sig. Raffaele Fitto, nella giornata di ieri era rimasto bloccato nella sua “auto blu” per 2 ore da una folla di manifestanti a Terlizzi, un paesino vicino Bari. In realtà, l’auto era stata bloccata da alcune persone che le si erano distese davanti. Il telegiornale si riferiva ai manifestanti come “No-global”. Ma chi c’era ha visto che quelle persone non erano affatto no-global: erano “normali” cittadini, uomini donne e anziani, che protestavano contro la chiusura dell’ospedale di Terlizzi ordinata dal governatore. >

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Al Garante per la Satira, via Pasquino e Marforio 4, Roma. < Il sottoscritto (cognome e nome del denunciante) O. R., nato a…, residente a…, ecc., denuncia alla S.V. i comportamenti sistematicamente posti in essere in violazione del Protocollo sulla Satira dal signor (cognome e nome del denunciato) Governo Italiano. Costui, incurante del danno economico e professionale arrecato al sottoscritto e a tutti gli altri autori satirici italiani, si vale della propria posizione di preminenza per esercitare illecitamente la satira sopra se stesso mediante comportamenti palesemente caricaturali. Sniffa coca dentro il ministero, corrompe i testimoni dei processi per bombe e stragi, protegge i boss mafiosi, picchia i ragazzini per strada e tira i codici in testa ai magistrati. Tutti questi comportamenti non vengono esercitati, com’è consuetudine dei governi, con accortezza e riserbo nei luoghi a ciò deputati, ma vengono posti in atto ostentatamente e in pubblico, persino in presenza di minori. Ne risulta un intralcio non piccolo al nostro lavoro di satiri, che consiste nel disvelamento delle occulte magagne governative e nel loro sprezzante additamento alla pubblica opinione. Il che non è evidentemente possibile se dette magagne, anzichè occultate, vengono consumate pubblicamente fra rutti e sghignazzi.
Per Questi Motivi il ricorrente chiede alla S.V. di voler disporre, ai sensi del protocollo citato, le pene previste per Esercizio Abusivo della Satira a carico del sig. Governo Italiano, e di volere obbligare quest’ultimo a un comportamento correttamente ipocrita e confacente alla categoria merceologica da esso commercializzata.
Con osservanza, ecc. (firma)

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I vecchi non bevono Coca-Cola

“Ehi, Clementina, quand’è che si mangia?” gridò il vecchio (veramente, lo sussurrò soltanto, per via della tracheotomia. Ma sembrò che l’avesse detto forte, e allegro).Clementina riempì ancora il bicchiere, bevve, si riavviò meccanicamente i capelli e cominciò a trafficare fra l’acquaio e i cassetti. L’ombra della donna si muoveva snella e veloce nel terrazzo e solo la luce della lampada illuminava, quando lei si voltava, le rughe agli angoli della bocca. Nessuno gliene darebbe settantacinque, pensò il vecchio, e forse nemmeno a me, in fondo.
Cenarono sotto il pergolato, sul cartellone pubblicitario che il vecchio aveva ridipinto, munito di due cavalletti e trasformato in tavolo. erano l’una di fronte all’altro, e lei riempì compostamente il proprio bicchiere e quello del vecchio. “Forse dovresti bere di meno – disse lui – Forse anch’io”. Lei alzò il bicchiere, ammiccando: “Già”.
“Forse dovremmo sposarci, un giorno o l’altro – disse ancora il vecchio dopo un pò – Sposarci sul serio, voglio dire. Coi testimoni e i documenti e il resto”. Lei sorrise impercettibilmente. “Sai che ai ragazzi piacerebbe” insistè lui. I ragazzi avevano figli grandi, adesso, e molti affari molto lontani da là. “Balle” disse lei sempre sorridendo. “Già”.
Continuarono a mangiare in silenzio, sotto la luce che oscillava dalle rughe di lui a quelle di lei e ad un tratto si spense. Il vecchio si alzò faticosamente, si stirò in punta di piedi e riavvitò la lampadina, stringendola molto forte e respirando pesantemente mentre faceva questo. “Dovrei cambiare anche il filo, una volta o l’altra – disse quando si fu riseduto – Domani lo cambierò certamente”. Ora la luce illuminava di nuovo la tavola di compensato e i bicchieri e i vecchi che mangiavano e le foglie verdi in alto.
La bottiglia era finita ma erano già alla frutta. Clementina si alzò e tornò con la bottiglia del porto e il brandy. Aveva portato anche il ghiaccio e il vecchio approvò con un cenno. Rimasero in silenzio, bevendo. Il vecchio tirò fuori la pipa e l’accese con cura con un fiammifero di legno. “Ti dà fastidio il fumo?”. “Ma no, lo sai. Vado a prendermi una sigaretta”. La città, lontano, scintillava di fronte al mare. Ancora più in là, c’era la luce del faro. Il vecchio non rimpiangeva la città. Forse, il mare. Ma non quello che vedeva ora, là in basso: il mare vero, l’Atlantico. L’Atlantico che non si vedeva, dal ponte della nave quando non c’era luna, ma sapevi che era là, davanti dietro e ai fianchi della nave, fin dove potevi pensarlo. L’Atlantico al quindicesimo giorno, quando tutto era andato bene e c’era solo da badare ai ghiacciai sottocosta e, avendo gli occhi buoni, potevi distinguere i primi gabbiani all’orizzonte. Tranne che uno, naturalmente, non faceva caso ai gabbiani, e a molte altre cose. Buffo che tornassero in mente adesso, che non servivano più a niente.
La nave, l’avevano bombardata i tedeschi a Trieste, nel quarantatrè. Era una nave lunga e bianca, prima che la mascherassero con le mimetiche per adibirla a trasporto truppe, e a quei tempi la traversata durava diciotto giorni e mezzo: loro la facevano in sedici, e una volta anche in quattordici giorni e diciotto ore. Lui era su quella nave quando questo era accaduto e quando il comandante del Bremen era venuto a bordo a congratularsi con gli italiani. Quello del Bremen poi era finito nel primo anno di guerra, nei sommergibili come Marchetti e Sfameni, mentre Foggiani era finito col Bolzano e Colombo sotto una bomba, in porto.
Sulla strada, adesso, si muovevano due coppie di fari. Si avvicinavano veloci, e dopo un pò i vecchi sentirono il rumore dei motori e le portiere sbattute e le voci dei ragazzi che risalivano il viottolo e le scale. “Mi piace ballare – disse Clementina – Pensi che ce la faremmo con quei balli moderni che si usano ora?”. Il vecchio soffiò uno sbuffo di fumo e rimase a guardare il fumo che si allontanava. “Una volta sì – disse infine – una volta ce l’avremmo fatta certamente”. “Mi piaceva molto ballare – ripetè lei – Sarebbe molto bello poter ricominciare”. “Già”. Rimasero in silenzio ad ascoltare i ragazzi che salivano e le luci della villa vicina si accesero e ci furono risate e voci e poi le luci si spensero e ci fu di nuovo silenzio.
“Per quando hanno detto che bisogna farlo?” chiese lei senza guardarlo. “Ieri è venuto uno di quei ragazzi dei Marino – disse il vecchio sorridendo – Un bravo ragazzo. Ha voluto uno dei quadri, quello con gli scogli e la tempesta”. “Era un bel quadro – disse lei – Ci hai lavorato tutta l’estate passata”. “Ma no che non era un bel quadro. Un bel quadro dovrebbe essere… Però era allegro da vedere. Gli è piaciuto. Ah, gli ho regalato anche una pipa. Credo che gli serva per darsi arie con la ragazzina”. “Anche tu ti davi le arie – disse lei – Con la pipa la barba e quel berretto in testa anche di notte. Il perfetto lupo di mare”. “Però tu ci sei cascata” sogghignò il vecchio. “Già – ammise lei – ci sono cascata”. E bevve ancora.
“Hanno detto che sarà per settembre – disse lui – Ancora due settimane”. Lei non disse niente. “Due settimane sono tante – disse ancora il vecchio – E se va bene potrebbe durare ancora sei mesi. Forse otto. Il brandy non è granchè. Dovremmo farcelo mandare da Marcello, invece. Quello sì che si poteva bere”. “Già – disse lei – Quello si poteva bere”.

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Wolfgang <goethe@sizilien.de> wrote:

< Bello fare il poeta, però costa:
più versi faccio e meno soldi ho in tasca>

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< “Perchè così insolenti, voi epigrammmi?”
“Noi titoliamo i libri della vita”.>

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< E rieccoci in Italia: bella gente,
turisti spennacchiati, e così via.
Chiasso ne trovi, trovi anche allegria
da villaggio turistico: serietà, niente.
Ognuno pensa a sè e ai suoi affari (tanti)
e più di tutti gli altri i governanti. >