San Libero – 128

L’Italia, come sapete, è invasa dai marrocchini e dagli albanesi. Per questo noi italiani, che abbiamo paura, ci siamo buttati a destra. Per legittima difesa o – dicono i communisti – per “razzismo”. Ma è davvero per questo che votiamo Berlusconi? (o Haider o Le Pen, o quel povero olandese dal nome impronunciabile, razzista gay, ammazzato alla fine da un animalista?).
Può darsi che, in realtà, tutta ‘sta faccenda degli immigrati sia solo un test, una specie di esame a cui senza saperlo ci stiamo sottoponendo. Lo stesso esame, a dire il vero, l’avevamo già fatto quarant’anni fa, al tempo del Nord-Sud anni Sessanta. Vale la pena di ricordarcelo, e fare qualche paragone.
* * *
Negli anni Sessanta, quando i meridionali cominciarono a prendere i treni per buttarsi su Torino e Milano, gli immigrati erano veramente tanti. Adesso, da questo punto di vista, siamo i meno invasi d’Europa. Allora, nel giro di pochi anni, mezza Sicilia e mezza Puglia e mezza Napoli – milioni e milioni di persone – si riversarono in massa al nord. Cifre sicure non ce ne sono, ma credo che si possa parlare di quattro-cinque milioni di persone su una popolazione che non superava i cinquanta milioni.
* * *
Il marocchino e il rumeno, oggigiorno, più o meno capiscono l’italiano; e in realtà, bisogna dire, anche gli italiani alla fine si sono abituati a parlare in italiano. Allora no. Metà della popolazione passava la vita parlando quasi esclusivamente in dialetto. Immaginate il dialogo fra uno di Canicattì e uno di Torino Porta Nuova: “Cerea!”. “Ssabbenerica!”. Eppure si parlavano, chissà come. Adesso, con gl’immigrati non si parla.
* * *
Coi siciliani e i calabresi, a quei tempi, arrivò una delinquenza che non ti dico. La Stampa, prima di loro, in cronaca aveva si e no un paio di omicidi l’anno (più gli operai suicidatisi causa licenziamento: ma questo non si scriveva). Con l’arrivo dei meridionali, arrivò anche la mafia e la camorra. Nessuno ci faceva caso più di tanto (la prima commissione antimafia, la Cattanei, alla fine concluse che la mafia non è un problema) e soprattutto nessuno ne approfittava per prendersela congl’immigrati in generale.
Adesso, se uno si prende la briga di vedere le relazioni dei procuratori all’inizio dell’anno giudiziario, vede che in realtà i reati commessi dalle varie comunità d’immigrati sono più o meno gli stessi (e a volte anche di meno) da quelli commessi dagli italiani. Gli albanesi, un po’ di più; i rumeni, un po’ di meno; i filippini, nessuno. Eppure, dopo tre o quattro anni di propaganda dei giornali (l’albanese di Erika; l’altro albanese immaginario invocato dalla tizia che aveva cercato coll’amante, di assassinare il marito; la banda dei feroci rapinatori, risultati poi tutti milanesi; e così via) la gente è convinta che la delinquenza in Italia sia stata introdotta via nave.
* * *
Allora l’operaio siciliano – potenzialmente crumiro, reclutato dalla Fiat e dai preti – veniva portato su proprio per levare il lavoro ai (troppo sindacalizzati) torinesi. È vero che Gasparazzo, alla fine, deluse padroni e preti e finì col diventare il più rivoluzionario di tutti: ma questo all’inizio non si sapeva. Eppure non ci fu nessuna sollevazione razzista contro i meridionali. Adesso, nel più sperduto paesino del Veneto, dove hanno visto un senegalese due anni fa che vendeva accendini, tutti sono fermamente convinti che “gl’immigrati ci levano il lavoro a noi italiani”.
* * *
Allora la gente faceva una cosa arcaica: lavorava. Lavorare non era andare in giro a imbrogliarsi l’un l’altro col cosiddetto “terziario avanzato” o con le bolle di Borsa della “nuova economia”. No, lavorare era proprio lavorare: olio di gomito. Mio padre, che faceva il maestro, faceva tre ore di motocicletta per arrivare a una frazione sperduta, con la scuola in un granaio ripulito. Marcello faceva l’apprendista, il padre di Marcello l’operaio. Il signor Padalino, che aveva una bottega, apriva alle sei e mezza e passava le prime due ore a ripulirla. Non c’erano nè manager nè veline. Non c’era il “posto di lavoro”: c’era il mestiere.
In queste parole – mestiere, lavorare, lavoratori – credevano pressocchè tutti, ed erano parole vere. È stato allora, non adesso, che si è costruita davvero l’economia. E su queste parole ci si capiva: terroni, polentoni, immigrati, milanesi – la parola “lavoro” rimescolava tutti. Adesso, a Roma, l’edile col cappello di carta è un rumeno. Il contadino è nigeriano, l’operaio maghrebino. Solo occasionalmente gli italiani doc fanno ancora un “lavoro” vero. Dice che non comunicano, con gl’immigrati. E capirai.
* * *
Allora c’era una cultura, che partiva dal contadinello che faticosamente imparava le quattro operazioni e arrivava a gente come Moravia o Italo Calvino; passando per il maestro Manzi e la Rai di Bernabei. Adesso c’è Sgarbi, e noi tutti felici lo mandiamo in giro all’estero a rappresentarci nella cultura. “Buonaseeeera!”: ed ecco uno degli artisti più popolari fra la massa degli italiani di ora.
* * *
Allora gli italiani erano giovani. Ora sono gente sulla quarantina, con problemi di grasso, diffidenti. Porte blindate, vacanze alle Maldive e fuoristrada. Ma vita vera, niente. Niente avventure nella vita, niente autostop da ragazzi, niente adolescenze sfrontate. Due ore d’automobile al giorno, e tre di telecomando: e in mezzo, noiosissima, la “vita”.
* * *
Tutto qui. Serve un nemico, per non ammattire del tutto e far finta d’essere ancora vivi. Ieri gli ebrei, oggi gli emigranti. In realtà, nessuno dei due ha importanza di per sè, materialmente. Entrambi però – gli ebrei spiriti liberi negli anni trenta, gli immigrati sporchi di lavoro adesso – sono lo specchio di ciò che avremmo potuto essere, e non siamo. Ci rimproverano in continuazione, con la loro semplice esistenza.
Non è razzismo, tecnicamente, quello che sporca l’Italia adesso: è solo la reazione automatica di un popolo imbolsito dalla troppa pennichella, che non ha il coraggio di stropicciarsi gli occhi e alzarsi in piedi. E quindi, fa brutti sogni. Speriamo di non svegliarci troppo all’improvviso.

________________________________________

Sono finalmente finite le celebrazioni di Falcone. Adesso ci resta solo da sopportarci quelle di Borsellino, e poi se dio vuole la smetteranno di prenderci per il culo. Durante le celebrazioni proseguono peraltro alacremente le trattative, ormai ufficiali, con Cosa Nostra (“Noi ce ne stiamo zitti, e voi levateci di galera”) e quelle, altrettanto ufficiali ma meno pubblicizzate, per la spartizione dei 65mila miliardi di contributi della comunità europea per la Sicilia.
Sono gli ultimi soldi che ci arrivano dall’Europa: dall’anno prossimo non siamo più una regione sottosviluppata, i soldi andranno ai nuovi euroassistiti dell’Est Europa, e noialtri siciliani dovremo addirittura metterci a lavorare. Su questi 65mila, perciò, stanno tutti attentissimi a non commettere errori, a non ammazzarsi l’un l’altro col rischio di fare un casino e a dividerseli zitti e buoni da bravi fratellini. Anzi da bravi “fratelli”, visto che P2 e massonerie varie non sono mai state potenti come ora.
* * *
Uno che indagava su P2 e logge varie, fra cui la Camea di Sindona legata a Cosa Nostra, ai miei tempi era il commissario Montalbano di Trapani (non quello di Camilleri, uno vero: ma altrettanto bravo). Adesso, leggo dai giornali che l’hanno fatto dimettere dalla polizia, e che probabilmente finirà a fare il capo dei viigili in un paesino siciliano.
* * *
“Sono orgoglioso di essere siciliano”. Questa scritta, grandissima, l’ho vista alla facoltà di lettere dell’università di Roma, dieci anni fa, durante l’occupazione. Era il tempo della Pantera, e il movimento della Pantera era nato a Palermo e di là, a macchia d’olio, s’era esteso in tutt’Italia. A Roma, a Camerino, a Bologna, dappertutto entravi in una facoltà occupata e trovavi quei tre o quattro ragazzi siciliani (occhiali, sacco a pelo, grandi riccioli neri se ragazza) affaccendati a spiegare ai compagni come l’università del futuro sarebbe stata.
Ora, i siciliani sono quelli che scendono in piazza in folla per difendere la villa abusiva del sindaco di Agrigento, e che viceversa se ne fregano altamente di andare alla manifestazione per l’acqua, sempre a Agrigento. Va bene: c’è l’acqua minerale, e il “posto” che ti promette il politicante mafioso. Però scritte del genere, fuori della Sicilia, non ne vedremo più.
* * *
(Quelle ragazze e quei ragazzi del novantadue-novantatrè: col mondo in pugno, l’intelligenza negli occhi, e la Sicilia e l’Italia aperti a sorridere davanti a loro. Ho tutti i loro numeri nella mia agenda: ma sono cifre inutili, non rispondono più. Io ricordo quei visi, ad uno ad uno. Ricordo i tre che si uccisero, un anno dopo l’altro, man mano che il loro mondo si stringeva e l’Italia, invecchiando, li sputava via. Ragazzi traditi, dolcissimi, che non sopravvissero all’inverno del Paese: e sono solo io a ricordarli, vivi in un popolo di morti, adesso).

________________________________________

A proposito. Il poliziotto romano di cui ci siamo occupati un paio di settimane fa (dirotta un autobus, spara all’autista, e alla fine viene scarcerato) apparteneva o è appartenuto in passato, secondo informazioni che ci sono giunte ora, al Nucleo Scorte del Viminale.

________________________________________

America. Crisi occupazionale all’interno di Cosa Nostra. I responsabili delle cinque principali Famiglie di New York hanno quindi lanciato una campagna di reclutamento fra i giovani disoccupati. L’iniziativa, fin qui coronata da successo, ha fruttato alcune centinaia di nuove adesioni, che sono state ufficializzate col tradizionale rituale d’assunzione (giuramento d’omertà, firma col sangue, ecc.).

________________________________________

Triangoli rosa. Quelli che distinguevano le divise a righe degli omosessuali, nei lager hitleriani. Dopo sessant’anni, la Germania ha fatto una legge per “riabilitare” quegli omosessuali. Hanno votato contro destra e democristiani.

________________________________________

Tokio. Un veterinario non si è accorto in tempo di un caso di mucca pazza. “Ho messo involontariamente in pericolo la salute dei miei concittadini” ha scritto in un’ultima lettera. E ha fatto harakiri.

________________________________________

Frasi storiche. “Attenti con gli sbirri” (da una telefonata, intercettata, dell’assessore siciliano Bartolo Pellegrini)

________________________________________

Italia. Eh, la classe è classe. Nella politica, sicuramente. I due veri partiti in lotta risultano sempre di più non quelli ufficiali ma quelli direttamente espressi dalla società: da un lato la Confindustria (che in Venezuela è andata al governo anche formalmente, pur se per pochi giorni) e dall’altro il Sindacato. Tutti gli altri si aggregano più o meno rapidamente intorno all’uno o all’altro di questi due (veri) poli. Forse quell’animale dello zio Carlo non aveva tutti i torti, a pensarci bene.

________________________________________

Palestina-Israele. È uscito dal governo, per contrasti economici con Sharon, il partito degli integralisti ultraortodossi, lo Shas. Nell’occasione, i quotidiani italiani hanno dato conto quasi per la prima volta dell’esistenza di questo strano – e importante – partito di fanatici religiosi, il cui appoggio è stato determinante per la svolta a destra della politica israeliana e che per disumanità, razzismo e ferocia “religiosa” non ha mai avuto nulla da invidiare al suo corrispettivo islamico, Hamas.
Il capo di Shas, il rabbino Ovadia Yosef, si rese noto poco più d’un anno fa per aver dichiarato che in realtà l’Olocausto non era stata che la punizione inflitta agli Ebrei da un dio adirato con loro per la loro mancanza di spirito religioso. Questa singolare affermazione, antisemita e negazionista quanto quelle dei più criminali antisemiti, non ha impedito a questo mascalzone e ai suoi accoliti di restare a pieno titolo nel governo israeliano, di soffiare nel fuoco della reciproca strage e di distribuire a valanga milioni di dollari agli insediamenti illegali dei “coloni” per accaparrarsene i voti.
(Dopo le Due Torri, in America, un radiopredicatore integralista “cristiano” commentò che l’ira di dio aveva punito un New York anticristiana e corrotta. E anche costui conta molto in politica, e muove molti voti).
* * *
Intanto, i fanatici delle due parti continuano ad assassinare bambini. Titoli sui giornali per quelli ammazzati dai fanatici A (bombe nei luoghi affollati). Tre righe a fondo pagina per quelli ammazzati dai fanatici B (“Il bambino di 7 anni è stato ucciso mentre si recava a pregare col padre in una moschea…”).

________________________________________

“Ascolta, Israele…”. Gli uomini della Quinta Legione sgozzavano uomini e donne fin sui gradini dell’altare; le trombe di guerra suonavano; ed il Tempio bruciava. Le fiamme, da miglia e miglia, annunciavano la fine d’Israele.
Ma non agli uomini pii. Costoro sapevano che il Tempio materiale crollava, non quello vero. Il Tempio nel cuore degli uomini, quello resisteva. Attraversando i secoli invulnerabile, nei villaggi polacchi, sulle strade di Spagna, nei rioni di Roma: le legioni sarebbero diventate polvere, ma il Tempio avrebbe continuato ad ergersi, bianco di umanità e di sapienza, in mezzo al deserto della Storia.
Ma ora il Tempio è crollato, è crollato davvero. In un giorno e in un luogo imprecisato di questi mesi, davanti a un gesto che non sappiamo – il calcio di un soldato che butta giù una porta, il colpo di pala d’un bulldozer; chissà.
Il Tempio, era quella casupola palestinese, con quella donna atterrita e quei bambini sporchi di terra; là abitava lo spirito del dio d’Israele; se un dio c’è, è là che è stato ucciso. Inconsapevolmente.
* * *
Il palestinese e l’ebreo insieme con le loro bandiere a Campo dè Fiori. Lea e Ridah che impaginano insieme l’inserto arabo dei Siciliani, “Siqqillya”. L’ebreo comunista Terracini, all’alba della mia storia. I redattori di “Window”, due anni fa in Israele-Palestina, col loro giornaletto di ragazzi arabi e israeliani che lavorano insieme. La foto del ragazzino di Varsavia, con le braccia alzate, e quella del ragazzo Omar morto annegato per salvare il bambino Gosha, uno arabo e l’altro ebreo. Non ho che queste esili figure da opporre ai generali e agli sceicchi. Figure di creature isolate, di perdenti.
* * *
E perchè non accettare il piano di pace saudita? O quello di Clinton, qualche anno fa? Perchè scatenare una guerra a morte per difendere gli insediamenti abusivi di cento o duecentomila fanatici religiosi? Perchè buttare nel cesso i miliardi di dollari del petrolio invece di usarli per dare una vita decente ai palestinesi? Perchè distruggere un’economia investendo, anzichè in computer, in cacciabombardieri? Perchè ostinarsi a invocare – da lontano – la fine d’Israele per compattare le folle disperate e sfruttate sulle cui spalle si campa da sceicchi? Perchè non discutere, invece di ammazzare i bambini? Perchè non chiamare un mediatore saggio e attendibile come, ad esempio, un Mandela?
Io non riesco più a distinguere le accuse che rivolgiamo – i pochi che ancora ragionano – ai capi delle due parti. I crimini e i machiavellismi degli uni si sommano, non si contrappongono, a quelli degli altri. È un esercizio retorico, distinguerli fra di loro.
* * *
I giornali ne parleranno sempre meno. Ed anzi, a un certo momento, innesterano i toni dell’ottimismo encomiastico. “I colloqui di pace…”. Ma noi sapremo. Sapremo che sotto quei toni falsi e ipocriti la gente di Palestina-Israele, in realtà, continuerà ad essere morta, e a morire. La morte e l’odio piantati in questi mesi non si cancelleranno nel corso della nostra vita. Illudersi, sarebbe un crimine ulteriore.

________________________________________

Cronaca. Napoli. Brillante intervento di un giovane politico locale alla manifestazione di Forza Italia in vista delle amministrative di Castellammare di Stabia. Il promettente ragazzo (il cui impegno politico risale ai tempi di Pasquale o Malommo e Vicenziell’o Guappo, nell’indimenticabile Dc anni Sessanta) si chiama Antonio Gava e, secondo i competenti, farà molta strada

________________________________________

Cronaca. Napoli. Condannato a quattro mesi il cardinal Giordano. La sentenza parla di abuso edilizio Era stato assolto da reati molto più gravi, l’anno scorso, e questa gli investigatori non debbono averla digerita. Uno di loro, al cinema, ha visto un film su Al Capone, il boss di Chicago che nessuno riusciva mai a incastrare finchè qualcuno non ha avuto l’idea geniale di incriminarlo… per evasione fiscale. Uscito dal cinema, il nostro investigatore è corso direttamente in questura, ha aperto la porta e ha annunciato: “Colleghi, ho un’idea…”.

________________________________________

Cronaca. Napoli. Molta paura ma nessun danno fisico per il manager-cardinale Michele Giordano, aggredito ieri dentro alla cattedrale da un esaltato (un giovane capellone sulla trentina che indossava una lunga tunica bianca) che, dopo averlo preso a cinghiate, l’ha afferrato per un braccio e, fra gli applausi dei fedeli, l’ha gettato fuori dal tempio.

________________________________________

Cronaca. Lancaster. Il vescovo cattolico di Lancaster ha messo invendita la sua residenza ufficiale, dal valore di circa ottocentomila sterline. “Questo palazzo è troppo ricco per me. Potremo aiutare un sacco di poveretti, con ottocentomila sterline”.

________________________________________

Cronaca. Biella. Arresti domiciliari per la titolare della ditta Aiazzone, accusata di bancarotta. Aiazzone fu il primo a inventare le televendite e la televisione “commerciale”, prima di Berlusconi. Era popolarissimo nei tardi anni Settanta, coi suoi happening serali che promuovevano mirabolanti offerte di camere da letto a prezzi stracciati. Poi è morto in un incidente e l’attività è stata continuata dalla vedova: fino a questa triste conclusione. Nè Aiazzone nè sua moglie hanno mai pensato a iscriversi alla P2, farsi dare soldi da Craxi, assumere guardaspalle mafiosi e infine buttarsi in politica per “salvare l’Italia dal communismo”. Se l’avessero fatto, altro che bancarotta.

________________________________________

Persone. La liceale di Ragusa che, accortasi di aspettare un bambino, non è corsa dietro alle “nozze riparatrici” col coglionazzo che se lè svignata ma ha scelto di crescersi il bambino da sola, orgogliosamente: ragazza-madre. Il preside del liceo che, quando lei ha chiesto di portarsi il bambino a scuola, ha fatto un sorriso e ha detto “Va bene”. I suoi compagni di classe che anzichè fare battute stronze hanno adottato mamma e bambino, le portano i regalini a scuola e aiutano quando c’è da cambiare i pannolini. Dolce Sicilia, che ancora da qualche parte sei ancora viva.

________________________________________

Franco wrote:
< Hai visto che comincia ad avverarsi il nostro sogno di avere in uno stesso fiume dai ragazzi dei centri sociali ai borghesi perbene? purtroppo è solo a causa dei maiali che ci governano, ma questa è la storia, ci si riunisce dopo le cazzate, e quando la paura prende il sopravvento. Ora però lavoriamo perchè vengano smussati gli angoli più estremisti dei noglobal, o dei giustizialisti (io sono fra questi, per intenderci), e di tutti, e si prepari una cultura, per il momento una cultura, da Cln. Che Scalzone vaneggi dal suo esilio, mi fa pena ma lo perdono (ha detto che i giudici si sono “accaniti” contro Berlusconi, ha fatto i complimenti a Cossiga), ma che Erri Deluca firmi il vaneggiamento e sfotta i Nanni e le ballerine, mi dà il segno di quanto l’estremismo parolaio di questi intellettuali senza macchia sia tremendo. Lavoriamo per il Cln. Abbracci Franco >

________________________________________

Spot. Una nuova rivista online. Si chiama Itaca e quindi immagino che avrà a che fare con guerre amori e odissee. C’è dentro Claudio Fava, quello “ossessionato dalla mafia” che adesso vuole portare le sue giacobbinate fin qui sulla rete. Lui dice che non si parlerà solo di mafia: boh, staremo a vedere. (Capace di sì, visto che oltre che il militare a Cuneo lui ha fatto anche il reporter a Medellin, in Eritrea, a Managua e altre strane parti del mondo).
(Bookmark: http://www. itacanews.it)

________________________________________

Spot. Se ti sbrighi trovi ancora in giro il numero speciale di Antimafia 2000 su Falcone e compagni. Fino a questo momento, leggere Antimafia non è reato: domani, non si sa. Quindi meglio che te lo leggi ora.
(Bookmark: http://www.antimafiaduemila.com)

________________________________________

Sebastiano Gulisano wrote:
< Caro Riccardo, se ogni tanto avessi l’umiltà d’ascoltare, forse nelle tue pontificazioni saresti più cauto, più equilibrato. Ma capisco: equilibrio e cautela non sono cose da rivoluzionari. Va da sè che io non sono un rivoluzionario. Cosa sono? Non lo so. Probabilmente, solo un giornalista disoccupato. Io reputo un fatto positivo che, dopo diciotto anni dall’omicidio, per la prima volta, a Catania, sia stata organizzata una “giornata di studi dedicata a Giuseppe Fava” e che a farlo sia stata l’Università, su iniziativa di una giovane dottoranda, Marzia Finocchiaro. Tra un attimo ti spiego perchè.
Prima d’andare avanti ti dico che sono d’accordo con te sul fatto che lì ci fossero almeno due persone che poco o nulla c’entravano con Fava: il giornalista e l’intellettuale. E condivido anche i tuoi motivi. Con l’intellettuale, poi, io ce l’ho anche per fatto personale (ricordi quando cercò d’intervenire su “Avvenimenti”, per conto dell’architetto Leone, affinchè il giornale scaricasse Gianfranco e me, dopo l’inchiesta su viale Africa?).
Per quanto mi riguarda, il trauma della presenza di Barcellona l’ho assorbito il 5 gennaio, quando la Fondazione Fava me lo ha fatto trovare come relatore il giorno del diciottesimo anniversario dell’omicidio, a un convegno dal titolo “La memoria maggiorenne”. Ho pensato che gli organizzatori, per primi, fossero smemorati. Insomma: Barcellona lo ha legittimato la Fondazione. Il che non significa che io abbia cambiato idea su di lui. Il giornalista, poi, ricordo che ha scritto di essere stato lui a denunciare lo scandalo di viale Africa.
Ora, non è che me ne fotta granchè delle primogeniture, ma ricordo anche che fummo Gianfranco e io a denunciare, su “Avvenimenti”, tutta la vicenda (per fortuna i giornali portano la data). Ricordo le querele che beccammo (assolti), ricordo gli insulti, ricordo la solitudine, ricordo i sofismi della cosiddetta società civile catanese (“formalmente è tutto a posto”, ci dissero a Città Insieme). Ricordo, caro Riccardo. Non sono smemorato. Ricordo e so. So di avere scritto dodici cartelle sulla vicenda Scidà, in cui raccontavo tutto, con nomi e cognomi. Non sono riuscito a pubblicarle. C’era un nome di troppo, in quell’inchiesta, quello dell’ex presidente dell’Anm Giuseppe Gennaro, “eroe nazionale” per meriti antiberlusconiani.
So anche delle divisioni della sinistra catanese, so di come Claudio Fava venga additato come “traditore”. Io non condivido tutto quello che Claudio fa e dice, però qualcuno deve spiegarmi perchè in Sicilia, due anni fa, ci fu (per fortuna!) il famoso contraribaltone che poi ha prodotto il 61-0 delle politiche; e perchè Claudio è stato cacciato dalla segreteria regionale dei Ds.
Qualcuno deve spiegarmi perchè quelli del Centrodestra non perdano occasione di aggredirlo, anche quando non ce ne sarebbe motivo. Secondo me, perchè Claudio è incompatibile coi sistemi di potere catanese, siciliano e italiano. Ma, forse, sono solo un ingenuo. E, per cortesia, non venitemi a raccontare che ha fatto patti con Mario Ciancio: sono cazzate!
So dell’incontro alla Festa dell’Unità di due anni fa, me lo racconto quella stessa sera (casualmente, ero a Catania) una collega, Patrizia Abbate, entusiasta di come Claudio avesse strapazzato Ciancio, spuntato lì a sorpresa. Io considero un errore l’adesione di Claudio ai Ds, su quel partito (specie su quello siciliano) ci passarei con le ruspe e poi ci spargerei il sale, come Roma con Cartagine.
Detto questo, io al convegno su Giuseppe Fava ci sono andato. Per curiosità. E perchè era organizzato dall’Università. M’incuriosiva, anche se ero diffidente, l’entusiasmo di Marzia Finocchiaro, la dottoranda che ha avuto l’idea del convegno (considero la sua relazione la più bella della giornata). Un’idea che, in diciotto anni, non è venuta a nessun compagno e a nessun movimento. E se a qualcuno è venuta, se l’è tenuta per sè.
M’incuriosiva il fatto che, dopo diciott’anni, si cominciasse ad analizzare l’opera di Fava nella sua complessità: la letteratura, la pittura, il cinema, il teatro, il giornalismo. E mi sentivo anche garantito dal fatto che il preside di Lingue non si chiama Giuseppe Giarrizzo ma Antonio Pioletti. Che io considero un compagno, tu non so. Qual è il problema? Non è un’idea tua e nemmeno dei “compagni” di Catania?
Il punto, caro Riccardo, forse è che a Catania non c’è un soggetto come il Centro Impastato. E, quindi, la giornata, l’hanno organizzata l’Università e la neonata Fondazione. Sarebbe stato più bello se i promotori fossero stati Pioletti, in qualità di direttore di “Città d’utopia” e la Fondazione? Pioletti direttore, purtroppo, non ha i fondi di Pioletti preside. E, allora, ben venga l’Università. O, forse, dobbiamo smettere di mandarci i nostri figli, all’Università? E, visto che ci siamo, smettiamo di mandarli anche alle elementari, alle medie, e alle superiori. Così Fava se lo faranno leggere anzichè leggerlo.
Anche a me, comunque, sarebbe piaciuto di più che Fava fosse stato ricordato come Peppino a Cinisi. Così come mi piacerebbe che, in Sicilia, ogni tanto qualcuno si ricordasse di me. Ma non se ne ricordano nemmeno quando la Carovana Antimafia di Libera e dell’Arci passa dal mio paese (quando io denunciavo gli intrecci tra mafia e politica, al mio paese, mi davano tutti del pazzo, compresi i miei amici e compagni; dieci anni dopo mi sono sentito dire, in privato, tornado da villeggiante, che dieci anni prima avevo ragione e che la situazione è diventata insostenibile). Con ciò, non sputo sulla Carovana Antimafia. Nè su Libera, nè sull’Arci. Per fortuna esistono.
Io caro Riccardo, dalla Sicilia sono stato espulso, come te e come altri. Continuerò a tornarci da villeggiante o da giornalista (vado, raccolgo storie e me ne torno via per scriverle. anche se poi non me le pubblicano) ma non a fare giornali lì. È per questo che sono stato espulso. Ed è per questo che, probabilmente, un giorno dovrò tornarci al soggiorno obbligato, come i mafiosi. Già: quando sarà dichiarato il fallimento dei “Siciliani sas” sarà decretato anche il mio, di fallimento, e, in questi casi, la legge prescrive, appunto, la residenza coatta nel luogo del delitto. Dovranno rinchiudermi a piazza Lanza per farmici stare. Ma questa è un’altra storia. Torniamo a noi.
Il 13 maggio, nessuno ha cercato di trasformare Giuseppe Fava in “un innocuo e simpatico personaggio come questi di ora”. Fava è stato paragonato a Pasolini, è stato riconosciuto il suo spessore europeo, sono state lette pagine della sentenza della Corte d’Assise sul movente dell’omicidio (i cavalieri, la politica, l’informazione, la mafia); ho sentito con le mie orecchie i nomi di Zermo e di Ciancio rimbombare nella sala della biblioteca in cui De Roberto scrisse “I vicerè”; ho sentito parlare di monopolio dell’informazione a Catania; ho sentito che la Procura di oggi non è meglio della Procura di allora.
Ho ridacchiato quando ho visto il rettore, Ferdinando Latteri, spuntare alle 11, un’ora in cui era certo di non incontrare Claudio Fava, impegnato in una conferenza stampa sulla nuova giunta catanese (manca solo Pippo Ferlito, in quella giunta, ma la caratura degli altri non è dissimile dalla sua). E ho sghignazzato alla fine dei cinque minuti di “saluto” di Latteri. Il suo breve intervento è stato un capolavoro di democristianità; nel taccuino ho annotato: “è riuscito a non dire nulla e, soprattutto, a non nominare Fava”. Non è cosa da poco, in un convegno su Fava. Resterà agli atti.
Atti che t’invito a leggere, quando saranno pubblicati. E chissà che non ti capiti di valutare diversamente lo sforzo fatto da Marzia. Non dico apprezzare – per carità! – Marzia non va in giro con le pezze al culo come te e me, quindi non la si può apprezzare, dal tuo punto di vista. E, una volta tanto, sei d’accordo con Ciancio. Già, perchè nel resoconto della “Sicilia”, il giorno dopo, sono stati tagliati tre relatori e il sunto dei loro interventi: Marzia Finocchiaro, Resì Fichera e Antonio Roccuzzo.
Resì parlava della Fondazione e della possibilità di accedere agli atti del processo (tra qualche giorno lo si potrà fare anche on line), e i lettori del quotidiano catanese non devono sapere che esiste la Fondazione e, meno che mai, che qualcuno possa andare a leggere quegli atti e le insulse e reticenti testimonianze di Ciancio e Zermo; Roccuzzo dei “Siciliani”, un nome che i computer della “Sicilia” sono programmati a cancellare automaticamente qualora a qualche redattore scappi di scriverlo. Perchè manchi pure il nome di Marzia non so, forse il pezzo era lungo.
Consentimi l’ultima cattiveria. Dopo l’omicidio di Giuseppe Fava, la provincia di Catania istituì un premio giornalistico intitolato alla sua memoria. Nei primi anni c’era sempre qualcuno dei “carusi di Fava” a ritirare l’assegno-premio. Quei soldi servivano, forse, per cambiarsi le pezze al culo e, quindi, li si poteva prendere?
Con immutato affetto, Sebastiano
p.s.: So di avere scritto assai, ma ti sarei grato se anche i lettori della “Catena di Sanlibero” leggessero, integralmente, queste mie elucubrazioni. Cosciente che replicherai. >

* * *
Caro Sebastiano, grazie di essere intervenuto. Mi piacerebbe che fossimo ancora tutti uniti, nel lottare contro i vecchi e i nuovi cavalieri. Ma sai che – non parlo per te – non è così. Non perchè alcuni siano diventati stronzi ed altri invece siano rimasti “rivoluzionari” o magari si divertano a girare con le pezze al culo. No, è una questione di potere, e di status sociale. Per alcuni di noi l’antimafia è stata una lotta eroica, individuale. Per altri un’umile costruzione collettiva, un movimento in cui tutti sono importanti e non è indispensabile nessuno.
Col tempo, questa differenza pesa. Non ho critiche *personali* da fare a Marzia, Pioletti e agli altri organizzatori. Ho critiche politiche, a cui però nessuno risponde. Sinteticamente: invitare il giornalista di palazzo, ma famoso, e non invitare il giornalista antimafioso, ma sconosciuto, non è un particolare secondario: è l’errore (politico) classico e decisivo, che permette a Ciancio di inglobare l’evento nella propria egemonia culturale e dunque di sostenerlo sul suo giornale. Eliminando magari gli interventi più critici, che però a quel punto sono facilmente eliminabili perchè il contesto non è critico affatto.
Con me e con i Siciliani, Ciancio semplicemente censurava, perchè sapeva benissimo che non di carini dibattiti si trattava, ma di lotta a morte. Quella lotta è stata interrotta, a un certo punto, per l’estremo logoramento a cui i compagni – nel loro eroismo – erano disumanamente sottoposti, e anche perchè molti di loro a un certo punto hanno ingenuamente considerato più “realistico” entrare nel gioco politico ufficiale. Umanamente, non li critico e ho sempre il massimo rispetto per loro. Ma politicamente è stato un disastro: lo dico (affettuosamente) ora e lo dicevo (molto incazzato) allora, quando si poteva ancora tornare indietro.
Con i (volenterosi) “antimafiosi” di ora il potere può permettersi di giocare sul suo terreno, e dunque di vincere facilmente. È una vecchia storia, per la Sicilia: i ribelli (magari “critici”) ricevuti a Palazzo, e quindi alla fine digeriti. Io non ci sto. Ma non se ne offenda nessuno, visto che in fondo sono solo un vecchio pazzo – lo sono da più di vent’anni – e non un compagno perbene. Sarei onorato di tornare a lottare insieme a te. Ma non con gli intellettuali catanesi, vecchi e giovani. Di loro, ne ho le tasche piene. (r.o.)

________________________________________

2 Giugno
<terracini@libero.it> wrote:

La nostra è una Città in cui si lavora:
a comandare, è il popolo e la Legge.
Ciascuno di noi tutti ha dei diritti,
quand’è insieme con altri, e quando è solo;
ciascuno di noi tutti ha dei doveri.
Nella Città non c’è uomo nè donna,
miscredente o fedele, bianco o nero.
I cittadini sono uguali. Tutti
vivano nella loro dignità,
nè miseri, nè troppo ricchi: a ognuno
fraterna dia il suo aiuto la Città.
Chi pensa, chi produce, chi lavora,
ognuno dia una mano alla Città:
lei vuole che nessun rimanga fuori
per la pigrizia o per la povertà.
È una la Città, ma il cittadino
è diverso un dall’altro, al suo paese,
nel suo nord, nel suo sud, nel suo dialetto:
la Città non ci vuole fatti a schiera.
Legge di dei non è legge civile:
qui, ciascuno rispetti il dio d’altrui.
I boschi, l’aria libera, i poeti,
i maestri che insegnano, il sapere
sono il nostro tesoro: la Città
per tutti loro è vita e libertà.
Non barbari, ma uomini civili
noi rispettiamo ogni altra città.
Ma chi fugge dai barbari, qui trovi
casa fraterna, asilo e carità:
guai a chi lo scaccia! Offende tutti noi.
Non sia guerra fra umani, uomini!, mai.
Ragionate piuttosto: noi vogliamo
essere i primi a ragionare, e andiamo
nel mondo in amicizia e libertà.
Nei giorni duri, abbiamo una bandiera
che ci ricorda: siamo una Città.