San Cristoforo: gli antichi mestieri

Il signor Castorina, uno degli ultimi fabbri

testo e foto di Paolo Parisi

Ne è passato tanto di tempo da quando camminando per le strade del quartiere si percepiva che era una zona industriale con tante fabbriche. Prima per eccellenza la Manifattura Tabacchi, poi le due industrie di liquirizia, le industrie conserviere di acciughe, di pomodori, le fabbriche di sedie, e poi i tantissimi artigiani che gelosamente portavano avanti i loro lavori, come il falegname, il panettiere, il barbiere, il maniscalco, il calzolaio, la sarta, il fabbro, e tante altre attività produttive che gradualmente stanno scomparendo o sono già scomparsi. Di tutto questo restano dei capannoni vuoti e malandati.

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Uno dei pochi mestieri che ancora esiste a San Cristoforo è la bottega artigianale del fabbro. Avviandoci nel cuore del quartiere in una strada simbolo, via Belfiore, troviamo la bottega artigianale di lavorazione del ferro del signor Castorina Francesco. Un grande portone di ingresso e subito dopo vedi grandi banchi di lavoro sui quali operai giovani o meno giovani realizzano ringhiere, telai, porte, ed altri oggetti. Le luci bianche delle saldature effettuate dagli operatori nel portare avanti la propria opera spiccano nella penombra dell’officina e ti abbagliano.

castorina1“Io faccio questo mestiere sin da bambino,” dice il signor Castorina “la mattina andavo a scuola ed il pomeriggio mi recavo a lavorare ‘ndo mastru, e dopo avere completato la scuola media, all’età di 14 anni sono andato definitivamente a lavorare con la stessa passione che avevo da bambino. Questo tipo di lavoro per me era affascinante perché mi permetteva di creare oggetti dal niente, nonostante sia un lavoro che ti sporca tanto. Ed è bello fare il lavoro che ami per tutta la vita!”

Chiedo se questo mestiere è un lavoro difficile ed egli mi risponde: “Tutto è difficile e tutto diventa facile, mi ricordo la prima volta che ho realizzato una scala a chiocciola ho trovato una certa difficoltà ma ho risolto tutto matematicamente con il 3,14. Mentre loro lo facevano conficcando un chiodo a terra e tracciando il cerchio con uno spago. I vecchi maestri erano gelosi del proprio mestiere infatti dovevi rubare l’arte perché loro non te la concedevano. Quando si allontanavano per andare in bagno o per fare qualcos’altro noi giovani approfittavamo per prendere gli attrezzi e cercare di continuare il lavoro che avevano lasciato i maestri o realizzare qualcosa noi. Però appena tornavano e si accorgevano di quello che noi garzoni avevamo realizzato ci inseguivano minacciando di darci dei ceffoni. Facevano questo anche se il nostro lavoro era stato eseguito bene, non ci davano la soddisfazione che si può dare a chi ha svolto un buon lavoro. Infatti la difficoltà della realizzazione della scala a chiocciola, come ho detto prima, l’ho avuta perché tutte le volte che ne realizzavamo una i maestri artigiani non ci spiegavano niente, mentre io cerco di insegnare tutti i trucchi del mestiere ai miei collaboratori”.

Gli chiedo se nella sua famiglia c’è stato qualcuno che ha fatto questo lavoro, ed egli risponde: “Nella mia famiglia nessuno ha svolto questa attività, però uno dei miei figli è a fianco a me a portare avanti questa officina”.

castorina2Alla domanda che tipo di lavori esegue, risponde: “Spesso si realizzano opere di sicurezza, specialmente in questo periodo, porte corazzate, cancelli, portoni, ed altre opere di protezione, naturalmente effettuiamo anche tante altre tipologie di lavori, su disegni di ingegneri o architetti ed a volte anche su nostre proposte che facciamo ai clienti”.

“Comunque adesso il lavoro è più facile rispetto a come si lavorava una volta” continua il signor Castorina “non si fanno più i lavori in ferro battuto, non si accende più la forgia, strumento indispensabile per far diventare incandescente il ferro e renderlo lavorabile, non si batte più sull’incudine con il martello per dare la forma desiderata. Per millenni il ferro si è lavorato in questo modo, adesso invece i lavori si realizzano con prodotti predefiniti che arrivano dall’industria per ridurre i costi, a danno dell’opera d’arte”.

Conclude: “Però in questo periodo con la crisi che c’è la gente non ha soldi e non ti paga oppure rinuncia a ordinare i lavori. Non sono momenti felici!”