Patronati bollenti

foto Giuseppe ScatàM’hanno detto che ci sono patronati ovunque e che a ridosso delle elezioni ne hanno aperti a decine. E infatti sia a destra che a sinistra, salendo lentamente, ne comincio a contare quattro. Sono tutti chiusi. E’ sabato. In una sala di videopoker un ragazzo mi indica un ferramenta di fronte. Lì un uomo sta comprando dei chiodi “Sì, lo gestico io”, “Ma lei lo sa che nei patronati non si può fare campagna elettorale, né mettere manifesti”, domando. “Sì”, mi dice, “Ma s’è fatto sempre. Tutti lo fanno qui, e non solo qui. Comunque deve parlare con chi se ne occupa veramente. Non con me”.
Non è un patronato per davvero. E’ un Caf (centro assistenza fiscale), ma lo chiamano “Patronato” evidentemente per dargli subito riconoscibilità. Guardo in faccia i candidati sui manifesti: Pdl, Stancanelli sindaco: “Tra la gente con dignità” , dice uno di questi.  Scatto delle foto.
Sudore. Caldo asfissiante. Mi sembra di camminare dentro un forno a legna, e quando sto per toccare con le dita una pizza capricciosa con doppio formaggio un uomo mi urla dietro. Nascondo la macchina. “Chi vota lei? Glielo dà il voto a quella ragazza? È pure una bella ragazza!”. È in lista Bianco per Burtone Sindaco. Gli dico che sono già impegnato. Lui capisce subito. Gli chiedo che cerco dei patronati. Mi dice che su via Plebiscito, e dentro San Cristoforo, ce n’è a iosa: “Devi sburugghiari faccenni? Vediamoci martedì qui davanti. Ti ci porto io. Sono di amici miei. Non c’è problema”
Entro per via delle Salette. Si sente il campanaccio del gelataio, e nei cortili i ragazzini inseguono palloni e provano azioni da campionato europeo, con rovesciate e colpi di tacco. Il campanaccio continua a rimbombare per tutta la via. Un pò di giorni fa proprio su questa via  un ragazzo che spacciava è stato inseguito dalla polizia. Ha urlato aiuto, e la gente è scesa per bloccare la polizia e nasconderlo. Ma gli è andata male. L’hanno acciuffato. “Non sono tutti così, c’è molta gente onesta qui, che è costretta a subire tutto questo”, mi disse una volta un macellaio del mercato di via Belfiore. E io ci credetti, e ci credo tuttora. Arrivo in piazza, davanti alla chiesa dei Salesiani. Un uomo col grembiule insegue un ragazzino. “Dammi la bicicletta. Non è tua”, gli dice. Ho contato due patronati, tutti e due chiusi. Mi dirigo verso il quartiere Angeli Custodi. Passo davanti alla Scuola statale Andrea Doria e alla Livio Tempesta, entrambe a rischio sgombero esattamente un anno fa. Accanto alla scuola materna ed elementare Livio Tempesta c’è una discarica, da un paio di anni. Arrivo su via Plaia, la strada che porta alla lunga spiaggia di Catania, e che i catanesi chiamano proprio così, alla spagnola: Plaia. Subito mi ferma un ragazzo. Mi chiede se sto cercando qualcosa. E’ infatti uno dei  maggiori punti di spaccio della zona. Gli dico che cerco solo dei patronati e lui si calma. Me ne indica un paio. Cammino e becco una bottega tappezzata di manifesti di Salvo Pogliese, candidato per le regionali di metà Maggio (dunque un mese e mezzo fa) e ora deputato all’Ars grazie a migliaia di voti. “Siamo aperti da poco e non è un patronato, ma dopo le elezioni lo saremo. Io aiuto la gente del quartiere. Se hanno problemi coi documenti, o se devono cambiare una lampadina, o se si deve riparare la fognatura, io mi metto a fare telefonate, mi do da fare. Ci andiamo sotto, non credere”, mi dice il gestore. E’ giovane, ex consigliere di quartiere e nuovamente candidato alla prima municipalità. Allora, se ci va sotto, gli chiedo perché lo fa. “Perché si conosce gente. E poi perché è l’unico modo per conoscere i problemi della gente”. “Ma non potrebbero andare direttamente alla sede del consiglio di quartiere?”, “No, lì la gente non va. Lì si discute, che c’entra”. C’è anche una bandiera appesa: FORZA CATANIA. “Io poi chiedo il voto. Ma le persone sono libere. Se me lo vogliono dare me lo danno”. Gli chiedo come mai lui e il consiglio di quartiere uscente non si è mai fatti vivi quando volevano sfrattare la scuola Doria. “Ne parlavamo sempre. Ma è giusto che il Comune spenda quei soldi per un edificio in affitto? I soldi del Comune sono soldi nostri”, “E allora buttiamo i ragazzi per strada, proprio in questo quartiere?”, gli domando, “No, c’è la scuola di via Case Sante”, “Non è pronta”, gli dico, “L’hanno lasciata a metà”. “Io provai a parlare con le mamme che occupavano e mi hanno aggredito, io ci ho provato”, “Certo, erano molto arrabbiate”, gli dico, “Quelli non sono voti persi?”. “Lo so”, mi risponde. Poi cambia discorso e mi dice che la sua famiglia ha un altro patronato, in via Vittorio Emanuele: “E lì non ce n’è manifesti vero?”,”No”. Allora gli chiedo il numero civico, perché vorrei andarci. Deglutisce. Poi mi stringe le mani più volte, mi prega di non parlare male di lui, che fa del bene, si prende il mio nome e il mio numero di telefono, mi ristringe la mano, mi dice che se c’è qualche problema alla sede del Gapa sistema tutto lui, anche per le strade, ci pensa lui.
Mi dicono che in via Stella polare ce né quattro di patronati. Entro nel primo. Ci sono candidati per il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo (Stancanelli sindaco). Ci sono due uomini, uno con la tuta da lavoro. “Lo gestiamo noi. Non abbiamo banco alimentare e non diamo pasta. Quella è per la gente disperata. Qui la gente ha bisogno di lavorare e questi candidati sono brave persone. Possono fare del bene per il quartiere, e darci un lavoro. E voi sapete che fanno i ragazzi qui. Loro se avessero un lavoro non andrebbero per strada per finire in galera”, “Non c’è lavoro. Qui non c’è niente. Siamo abbandonati”, mi fa l’altro signore, in camicia, “I ragazzi non lo fanno per avere soldi. La gente è disperata qui. Devono portare il pane a casa o no?”. Gli chiedo se sanno che è vietato appendere manifesti e fare campagne elettorali in un patronato, “Lo sappiamo. Ma questo non è un patronato”, “Ma fuori c’è scritto così”, “E’ uno sbaglio. Lo dobbiamo togliere. Alla fine delle elezioni togliamo tutto e diventa patronato per davvero”. Esco. Si soffoca. Il caldo ti prende per i collo e l’umidità ti entra fino alle mutande e non ti lascia scampo. Mi rifugio dall’altra parte della strada, dove c’è un po’ di ombra. Alle mie spalle c’è un enorme bottega tappezzata di volti, con il simbolo Pdl sotto, e degli slogan brillanti. Così brillanti che, probabilmente per il caldo, non riesco a capirli. Mi sembrano tutti uguali. Nelle frasi e nelle facce.
Mi appoggio al muro. Chiedo a un ragazzo che sta spazzando se è un patronato. “No”, mi fa lui. “Avrà ragione”, penso io, non possono esserci così tanti. Allora mi prendo di coraggio e ricomincio a riattraversare tutta San Cristoforo. Quando sento in lontananza il campanaccio del gelataio. Sembra la campana di una chiesa. “Ancora qualche sforzo e ti fai una granita gigante mandorla e caffè”, dico tra me e me, “Ancora qualche sforzo”.

Giuseppe Scatà