Il bambino di San Cristoforo

di Riccardo Orioles e Giovanni Caruso

Il bambino di San Cristoforo non è come gli altri bambini. Cioè: è come tutti i bambini di tutt’Italia (forse anche più intelligente: avete mai provato a guardarlo negli occhi?) però fra dieci anni sarà ancora per strada, mentre gli altri avranno dei giochi e dei libri. Fra venti sarà ad arrangiarsi, o in carcere, mentre gli altri saranno a fare i bei discorsi sulla destra e la sinistra. Avrà gli occhi di adesso, forse, ma sorriderà molto meno. Alle volte, a guardarlo, per un attimo avrà l’espressione di un vecchio.

Ma qual è la malattia, la maledizione, la condanna? Cos’ha avuto di meno, cosa gli hanno rubato un anno dopo l’altro? Chi è stato?
Non giriamoci intorno: due persone precise, sono state, e continuano a derubarlo anche ora. Una si chiama il Politico, l’altra è il signor Mafioso. (Spesso le stesse persone: oggi il più potente della città è a processo come amico dei mafiosi).

Belle parole, teorie? No: vita di ogni giorno. Uno ha ville e palazzi, l’altro i milioni nascosti e i rubinetti d’oro: tutto spremendo la gente dei quartieri poveri, e soprattutto i bambini. Niente scuole, niente spazi di gioco, niente vita tranquilla, niente istruzione. Qualche soldo, più in là, potranno forse vederlo portando ai catanesi perbene un po’ di droga. E poi sulla stessa strada, sempre più disperati, rischiando sempre di più. A vent’anni sarà già difficile tornare indietro. A trenta, sarà già tanto restare vivi. L’unica via di scampo, per i più fortunati, scappare via: lasciare la loro città e la loro terra, diventare – come si dice ora – altrettanti “migranti”. Più di un milione di giovani sono partiti via dal Sud, in questi pochi anni. A noi del Gapa tocca continuare la resistenza, tornando agli antichi ideali, all’unità, al rispetto della diversità: a ciò che da trentun anni ci vede ancora qui a sfidare le vecchie e nuove prepotenze, consapevoli dei cambiamenti ma senza rinunciare a una lotta anch’essa antica.

Usciamo dalle mura che ci proteggono, per conoscere la città, e soprattutto i quartieri, il quartiere. Liberiamo da sentinelle e spacciatori i luoghi, con la forza del gioco, di strada e dello sport, come quello fatto al Gapa. Riapriamo la strada a quel bambino che mafia e politica mafiosa vogliono povero e senza istruzione, servo di un consumismo cinico e spietato. Non siamo politicanti, noi del Gapa, ma crediamo nella politica che nasce dal basso: perciò ci siamo spesso ritrovati a sostituire le istituzioni utilizzando il potere della parola e della scrittura. Lottiamo al posto dello stato, che chissà dov’è. Al posto della scuola, che qui in questi quartieri è sempre chiusa. Al posto – a volte – anche dei più anziani, che dopo una vita così non sempre hanno la forza di evitare il proprio destino ai propri figli.

Cerchiamo di insegnare parecchie cose – il doposcuola, la lotta, danza, cucito – ma soprattutto vogliamo che quel bambino impari i suoi diritti. Come conoscerli, come utilizzarli, come usarli ogni giorno per una vita migliore: solo così potrà difendersi dai ladri di vita, dal politico corrotto e dal “signor mafioso”.
Il giorno che non insegneremo questi diritti – o per dimenticanza o per stanchezza – sarà una giornata persa, in cui in realtà non s’è insegnato niente. Se qualche giorno così ci sarà (nessuno, nemmeno noi, è perfetto), sarà subito superato da quelli in cui con chiarezza e coraggio risuonano le parole “antimafia”, “giustizia”, “diritti nostri” sotto il tetto del Gapa, sotto il cielo e sulle strade di San Cristoforo.

Con queste parole e questa volontà andiamo avanti. Uniti, tutti insieme, fra noi e con tutte le altre organizzazioni sociali, sorelle e fratelli, che aiutano le donne e gli uomini del quartiere. Mai insuperbiti, mai divisi, seguendo i nostri bambini e bambine non per comandarli ma per capire e seguire i loro sogni e desideri.
Lavorare per dare coscienza ai bambini e bambine e i loro genitori ce lo ha insegnato, già dal 1992, il presidente del tribunale per i minori di Catania, Gianbattista Scidà.

E a lui che dedichiamo con immensa gratitudine, il nostro lavoro per la giustizia sociale.