Era di maggio

di Giovanni Caruso

foto archivio Giovanni Caruso

Terracini, “radio Aut” 9 maggio 1978

Peppino saluta i compagni: “Ci vediamo più tardi” e si mette alla guida della sua fiat 127 per recarsi a Cinisi.

Arrivato vicino la ferrovia, un gruppo di persone lo ferma e aperto lo sportello lo tirano giù dall’auto in modo violento, lo uccidono a sassate e poi lo imbottiscono di tritolo. Infine mettono il corpo sui binari e lo fanno saltare in aria.

Sarà ritrovato dilaniato dall’esplosione.

Da quel momento e per l’opinione pubblica, Peppino Impastato è un terrorista. Ma i suoi compagni capiscono subito che è stato ucciso dalla mafia. A causa dei depistaggi da parte dei carabinieri e non solo, la verità tarda ad arrivare.

I compagni e sopratutto Felicia Bartolotta, mamma di Peppino Impastato, lottano per lunghi anni e ottengono giustizia. A ordinare l’uccisione di Peppino fu il boss di Cinisi, Tano Badalamenti.

Peppino non doveva diventare consigliere comunale nelle liste di “Democrazia Proletaria”, ma da morto fu eletto.

Per quarantuno anni i ragazzi e le ragazze il 9 maggio si incontrano a Cinisi e la parola d’ordine è una sola: “Peppino è vivo e lotta insieme a noi!”

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Palermo, 23 maggio 1992.

Giovanni Falcone e la moglie Francesca Mordillo sono attesi a Palermo, perciò appena arrivati all’aeroporto di Punta Raisi vengono prelevati dalla scorta.

Falcone si mette alla guida della fiat Croma bianca blindata e va sull’autostrada che li porterà a Palermo.

All’altezza di Capaci, una terribile esplosione.

La strada e le auto, dove Falcone e la sua scorta viaggiavano, volano in alto per duecento metri verso quel cielo di primavera.

Un vero attentato terroristico che ricorda la guerra in Libano di dieci anni prima.
Giovanni Falcone, sua moglie e tre uomini della scorta muoiono dilaniati da quella esplosione.

Dalla collina che guarda quel pezzo di autostrada, sconvolta e devastata, qualcuno ha azionato un telecomando facendo innescare i mille chili di tritolo.
La mafia punisce chi aveva istruito il maxi processo del 1986.

Lo Stato è sconfitto.

Ai funerali lo Stato e i rappresentanti del governo sono fischiati e contestati dal popolo di Palermo.

Seguono molti processi per arrivare alla verità, che arriva solo nell’aprile 2018.
Un pezzo dello Stato, carabinieri e servizi segreti, hanno trattato con la mafia.

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Un mese dopo la strage di Capaci, i ragazzi e le ragazze del Gapa decidono di dare un forte segnale contro la violenza mafiosa e abitano la scuola Doria per settantacinque giorni.
Disobbediscono a uno Stato assente nel quartiere di San Cristoforo.

Le aule della scuola diventano laboratori di animazione, dove si gioca con i bambini e le bambine, si organizzano manifestazioni di protesta e si promuove cittadinanza attiva con gli uomini e le donne del quartiere.

Mai a Catania si era vista una protesta così! Per questo dedichiamo a tutti e tutte voi due poesie di Peppino Impastato.

Appartiene al suo sorriso

l’ansia dell’uomo che muore

al suo sguardo confuso chiede un po’ d’attenzione

alle sue labbra di rosso corallo un ingenuo abbandono

vuol sentire sul petto il suo respiro affannoso:

è un uomo che muore.

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Lunga è la notte e senza tempo.

Il cielo gonfio di pioggia non consente agli occhi di vedere le stelle.

Non sarà il gelido vento a riportare la luce,

né il canto del gallo,

né il pianto di un bimbo.

Troppo lunga è la notte,

senza tempo,

infinita.