Arvëdse e n’gamb!

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Arriverderci e in gamba!

Daniela Calcaterra

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Un’esperienza bella la si vuole sempre trasmettere, condividere con chi ci sta vicino. Condividere, sembra semplice ma non lo è per niente! Condividere ciò che ci rende felici, così da far felice anche chi ci sta accanto. Questo è quello che hanno provato a fare i ragazzi che dal Piemonte hanno vissuto per una settimana in Sicilia e i ragazzi che dalla Sicilia hanno vissuto per una settimana in Piemonte.

Si sono scambiati ciò che di bello ognuno aveva da offrire, partendo da molto vicino, il quotidiano. I ragazzi di Favria hanno avuto modo di conoscere una città come Catania, con tutte le sue differenze, schizofrenie e nello specifico la vita in un quartiere, San Cristoforo, confrontandosi con la realtà dell’associazionismo che, facendo rete, oppone resistenza alla mafia.

I nostri ragazzi hanno sicuramente vissuto un’esperienza indimenticabile, fin dal primo momento, per molti di loro era il primo volo! Al momento del decollo hanno urlato tutti insieme “woooow”! tenendosi ben saldi ai braccioli dei sedili, poi una risata liberatoria lascia intendere che la paura era stata superata.

Al nostro arrivo ci accolgono i ragazzi dell’associazione Favria giovani, Francesco e Alessandro. Al parcheggio dell’aeroporto notiamo subito un mezzo della Croce rossa e ci chiediamo che ci fa fermo lì, scopriamo subito che quello sarebbe stato il nostro mezzo di trasporto per tutta la settimana di permanenza nel Canevese.

“Queste sono ottime per allenarmi al pakour!” dice Madalina saltando subito da una panchina all’altra mentre Agata corre sul prato e si guarda intorno ancora incredula, proprio di fronte alla sede dell’associazione c’è un parco, oltre il quale si intravede la scuola.

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Avranno modo di sperimentare per una settimana la vita di un paese a dimensione umana. Quello che i ragazzi notano subito è il verde, l’ordine ma soprattutto il silenzio, non ci sono auto che corrono per le strade, qui si usano le bici, non c’è gente che urla da una parte all’altra, si salutano quando si incontrano ed i bambini sono felici!

Ma oggi non possiamo più credere alla bella favola di un Nord esente da certe problematiche, rischiamo di finire anche noi dentro al “barcone della speranza”!

Dall’esperienza raccolta emerge chiaramente che le problematiche di un territorio non sono diverse da altre, che il tanto ligio ed integerrimo Nord deve far i conti con una mafia diffusa ad alti poteri, ma soprattutto che deve prendere coscienza di quanto sta accadendo: “perché non è altro da noi!” Questo lo abbiamo visto e sentito durante i nostri incontri per le scuole del Canavese, parlando con i ragazzi e gli insegnanti, che fanno fatica a percepire la pesante mano della criminalità. Ma c’è anche chi, per fortuna, riesce a vedere e non ci sta’, come ad esempio il vicesindaco di Feletto, Loretta Garello, che ha voluto condividere la sua esperienza con noi, una donna che guarda avanti nonostante le minacce subite dalla ‘ndràngheta.

Lo scambio ha permesso di far comprendere come le mafie occupano tutti i livelli produttivi, amministrativi e decisionali in un territorio, ma soprattutto che non è un problema del sud Italia ma qualcosa che bisogna combattere insieme. Il confronto si è basato su esperienze personali: “Lo spaccio, c’è anche qui, ad esempio ad Ivrea, soprattutto nelle stazioni, se i carabinieri andassero lì potrebbero beccare molte persone e invece li vedi che stanno con le mani in mano, mentre ci sono altri che magari si muovono, ma sono pochi”.

selezione-favria-7796Un altro ragazzo interviene dicendo che: “Lo spaccio non è organizzato da persone che hanno potere, piuttosto è il ragazzino che incomincia a fare queste cose… più che altro per interesse proprio”. Il confronto su questa realtà continua con le parole di Andrea Contratto di Libera: “Quello che è emerso dai processi di ‘ndràngheta, con Minotauro, e che lo spaccio è affidato ai piccoli spacciatori e basta! Tutta la roba che arriva qua è veicolata dalla ‘ndràngheta. Ci sono le grandi famiglie ‘ndranghetiste che da decenni portano la droga, ad esempio Volpiano detta per questo la Platì del Nord. Tutta la droga che gira, è data ai piccoli spacciatori, che non hanno un collegamento diretto con il mafioso, ma con un intermediario, che non è un “mafioso”, nel senso che i mafiosi sono le famiglie di ‘ndranghetisti che gestiscono direttamente i rapporti con i narcotrafficanti su tutto il territorio italiano”.

Abbiamo raccontato che la mafia è un cancro, inizialmente non ti rendi conto, pensi di stare bene, ma il male si è già insinuato, quando esplode è già tardi perché l’economia di quel territorio è distrutta, come il caso del comune di Feletto dove il consiglio comunale è stato sciolto per mafia perché truccavano gli appalti e sentire parole come: “quando c’era la mafia si lavorava!” oppure “mio padre non lavora perché hanno arrestato il suo capo” è un bruttissimo déjà vu sappiamo, infatti, che l’asservimento del popolo segna il declino della dignità e la vittoria del cancro mafia.

Abbiamo conosciuto una famiglia di allevatori di bovini, da tre generazioni le donne di questa famiglia lottano per non perdere ciò che hanno costruito, visitando altre aziende la voce era più o meno sempre la stessa: “le tasse ci stanno divorando!”

Abbiamo raccontato l’esperienza del GAPA, abbiamo parlato a lungo di mafia e di antimafia sociale, delle difficoltà che un cittadino incontra quando prova a vivere dignitosamente. Di quanto sia importante avere un’amministrazione comunale limpida e in relazione con le esigenze di tutti i cittadini senza distinzione di classe. Abbiamo parlato di diritti negati, di dispersione scolastica, di corse clandestine con i cavalli, di stalle abusive, di piazze in mano allo spaccio, di “gente” che minaccia e di gente che non ci stà!

Ho visto a Favria dei ragazzi che si fanno in quattro per racimolare uno stipendio, ho pensato ai tanti giovani di San Cristoforo che si fanno in quattro per cercare un lavoro. Ho visto una scuola con tantissimi bambini che si rincorrono sul prato, ho visto una palestra, dei laboratori di teatro, di arte applicata, con dentro degli insegnanti soddisfatti e tanti ragazzi. Ho sentito dire orgogliosamente: “questo l’ho fatto io, qui abbiamo ridipinto le pareti…” ho pensato ai tanti bambini di San Cristoforo che non vanno a scuola e quei pochi che ci vanno sono costretti a vivere in quelle poche strutture fatiscenti.

Voglio concludere con la candida domanda di un bambino di sette anni: “ma perché non parlate con questi che vi fanno del male, così capiscono che sbagliano, e non lo fanno più?”

Arvëdse e n’gamb!