San Libero – 227

20 aprile 2004 n. 227

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Fra un anno, probabilmente, l’Italia avrà stabilizzato i propri rapporti con l’Iraq: saranno state ritirate le truppe, e saranno stati consolidati invece i rapporti economici e, in larga misura, clientelari. Avremo un rapporto abbastanza buono con la nuova classe dirigente locale (quella che si sta facendo i soldi sotto l’occupazione), saremo molto più simpatici e civili degli americani (che a quell’epoca saranno asserragliati in tre o quattro città del paese) e saremo insomma in grado di fare delle richieste con buone probabilità che vengano accolte. In quel momento – pensarci sempre e non parlarne mai – dovremo ricordarci di Quattrocchi. Il giorno in cui potremo chiedere qualcosa, chiederemo la consegna dei suoi assassini, perché siano regolarmente e legalmente processati da noi. E questo è quanto. Altre parole adesso sono inutili, o strumentali, o dannose.
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Fra un anno, probabilmente, l’America sarà tornata ad essere civile e si porrà la questione matura dei suoi rapporti reali con l’Europa. Noi ancora abbiamo in Italia, residuo di una fase che s’è conclusa, le basi di un esercito che non è il nostro. Quando saremo in grado di parlare nuovamente con l’America – senza servilismi da un lato, e senza patologie dall’altro – dovremo chiedere che queste basi vengano restituite. Non all’Italia, che di per sè è troppo piccola per aver bisogno di basi. Ma all’esercito del Paese di cui l’Italia ormai è una regione, all’esercito europeo. Quest’ultimo, fra un anno, sarà una realtà tecnica ed anzi il risultato maggiore dell’intera crisi irachena.
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Fra un anno, il terrorismo non sarà stato affatto sconfitto – visto che non è stato ancora seriamente combattuto – e continuerà a minacciare, come tutti gli altri, anche il nostro paese. A quel tempo, però, probabilmente saremo liberi di cominciare a vederlo come un problema da risolvere e non come un pretesto per i giochi politici di chiunque altro. A meno che, nel frattempo, dovessimo esserci di fatto abituati ad esso: attentato, dibattito, utilizzo politico, nuovo attentato. Noi siamo il paese che è riuscito ad abituarsi a convivere con la mafia. Il problema del terrorismo è identico a quello della mafia, su cui già come italiani ci siamo arresi.
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Fra un anno, almeno una parte delle forze politiche che verosimilmente andranno al governo avranno la possibilità materiale di riprendere le vecchie idee di Falcone, di Chinnici, di Borsellino e di tutti gli altri servitori del popolo che tentarono di porre fine alla mafia. Queste idee, che sono state vergognosamente tradite dalla destra e da buona parte della sinistra, si concentrano in una sola: controlli bancari e trasparenza dell’economia. Ciò implica una trasformazione radicale della società italiana, basata non sul capitalismo ma su un insieme di omertà vischiose che, nel corso degli anni, hanno prodotto i Sindona e i Tanzi. Sconfiggeremo il terrorismo, se tratteremo Al Qaeda come Chinnici trattò Cosa Nostra. Tradiremo i morti del terrorismo, come abbiamo traditi quelli della mafia, se ci comporteremo diversamente.
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Fra un anno, l’Europa sarà molto più forte e unita di ora (e già adesso non è debole nè disunita) e all’interno di questa Europa l’Italia avrà di nuovo un peso non indifferente. Un paese più piccolo, come la Spagna, in queste settimane è riuscito “improvvisamente” a far tendenza sull’intera Europa. L’Italia, quando – fra un anno – tornerà libera di fare una politica nazionale, potrà far tendenza ancor di più. Potrà gettare sul piatto iniziative diplomatiche tali da aggregare attorno ad esse l’Europa e da rendere più difficile ogni ulteriore avventura “imperiale”. Per esempio, recidere pubblicamente ogni rapporto coi paesi che in realtà hanno alimentato il terrorismo, e cioè l’Arabia Saudita e il Pakistan, entrambi semiprotettorati americani. Questo significherebbe isolare la lobby saudita in America (il gruppo Bush-Cheney non è altro), interloquire coi settori conservatori dell’establishment Usa (Kissinger denunciò le responsabilità saudite pochi mesi dopo l’11 settembre) e, in prospettiva, rimettere in movimento l’intero quadro politico del Medio Oriente. In prospettiva ulteriore, sarebbe l’assetto energetico-tecnologico del pianeta ad esserne drasticamente modificato.

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Israele/Palestina. Non c’è un erede di Arafat, fra i palestinesi “laici”, e solo un qualche risultato ottenuto per vie pacifiche avrebbe potuto concedere all’Olp il tempo necessario per la crescita di un gruppo dirigente in grado di contrastare gli islamisti. La destra israeliana ha deciso di non concedere questo tempo. E questo, forse, non tanto per oltranzismo preconcetto quanto perché sottoposta essa stessa alla pressione crescente dei propri integralisti. Integralisti, anche in questo caso, vuol dire semplicemente emarginati. La società israeliana non è più una società di ceti medi economicamente e culturalmente coesi ma, come in tutto il Medio Oriente, consiste ormai di due strati diversissimi fra loro, che prendono identità apparentemente da tematiche religiose ma in realtà da ragioni strutturali. Allo strato più nuovo e più povero della società israeliana la destra e Sharon hanno dovuto gettare un pezzo di carne dopo l’altro. Infine, non potendola controllare, hanno deciso di far precipitare a freddo la crisi – il che è avvenuto con la famosa provocazione di Sharon alla Spianata – per governarne almeno i tempi e gestirla, per quanto possibile, chirurgicamente.
L’elemento drammatico dello scenario, nella mente di Sharon (che è un ebreo del dopo-Auschwitz, non un politico europeo o americano) e in generale di tutta l’elite israeliana, è l’incertezza sui termini della superiorità convenzionale di Israele. Già nel 73 (quando a un certo punto gli americani dovettero congelare il conflitto) essa era molto meno indiscussa di quanto si volesse far credere. Oggigiorno, nessuno sa se in definitiva essa esista ancora. Lo stato della tecnica militare, dall’altro lato del fronte, non è più quello di prima. Gli armamenti moderni, attraverso l’Iran e forniti dalla Cina, sono ormai disponibili per tutti. Se oggi Israele, come cultura militare, vale dieci, gli altri sono arrivati almeno a quattro, probabilmente a cinque e forse anche a sei.
Mentre, fra Israele e arabi, diminuisce la disparità militare, la distanza ideologica aumenta sempre più. I Nasser e gli Arafat erano dei laici, dei progressisti riformatori. E dunque, in un mondo possibile, dei possibili interlocutori. I leader arabi della prossima generazione, e in parte già di questa (chi succederà alla famiglia saudita? Chi emergerà in Iraq alla fine della crisi?) saranno prima islamici e poi qualunque altra cosa. Nella prossima fase, accesamente “popolare”, essi non avranno alcun interesse ad alcun dialogo, anzi useranno la questione palestinese-israeliana come loro specifico mito di fondazione.
In questa situazione drammaticissima, in cui l’esistenza dello Stato di Israele torna ad essere in pericolo esattamente come nel ’48, il gruppo dirigente israeliano si muove come può, senza illusioni ma con determinazione: nessuno può dire oggi, e nemmeno lo stesso Sharon, fino a che punto questa determinazione possa spingersi nella prossima crisi.
Questo gruppo dirigente è molto più lucido del paese che l’ha eletto, e infinitamente più consapevole della posta in gioco. La percezione che gli israeliani hanno del problema palestinese, ci sembra di capire da qui, è molto più “sociale”, da ceto medio occidentale rispetto a una massa di “extracomunitari”, che geopolitica. Per questo, hanno gettato via senza accorgersene gli enormi risultati conseguti dai governi di sinistra, che erano sostanzialmente riusciti – con pochissime concessioni – a implementare Arafat e tutta la dirigenza palestinese “laica” nella conservazione di Israele. Il mandato popolare a chiudere ogni dialogo e ad arroccarsi a occhi chiusi è stato senza remore, ingenuo e fiducioso. E anche questa discrepanza fra la superficialità dell’opinione pubblica e la drammatica lucidità dell’elite è una novità per Israele, e non mancherà di indurre trasformazioni ulteriori nella sua identità profonda, nel trasferire ulteriormente la sua cultura nel Medio Oriente e fuori dall’Europa.
Si annunciano tempi gravissimi, per gli amici degli ebrei – per tutte, vale a dire, le persone civili europee. Fino a un paio d’anni fa, il pericolo da cui esse dovevano guardare i loro fratelli d’Israele era quello di commettere ingiustizia verso altri esseri umani. Oggi, è quello di perdere il loro Stato.

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Numeri 1. Il lavoro in fabbrica (la “produttività”) è aumentato parecchio dal ’95 in poi (Prodi, D’Alema), ma nello stesso periodo il potere d’acquisto dei salari è rimasto più o meno lo stesso. La produttività è aumentata ancora dal 2002 in poi (Berlusconi, Tremonti), ma il potere d’acquisto non solo non è ancora aumentato, ma è diminuito. Questo non si è affatto verificato nel resto d’Europa, dove il salario reale è invece progressivamente cresciuto: del 10 per cento in Germania, del 20 per cento in Inghilterra e del 23 per cento in Francia.

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Numeri 2. L’intervento umanitario italiano in Iraq (ospedale di Bagdad) è costato 21 milioni 554 mila euri. L’intervento militare italiano in Iraq (base di Nassirya) è costato 232 milioni 451 mila euri.

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Numeri 3. Secondo la Camera di commercio di Milano, nell’ultimo anno l’export di armi dall’Italia è aumentato di circa il dieci per cento. Le armi italiane vengono vendute indifferentemente a paesi democratici (Grecia, Polonia, Danimarca) e non (Arabia Saudita, Pakistan, Cina).

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Numeri 4. Le riserve di petrolio nel territorio di Nassiriya sono state valutate dall’Eni a circa 2,5 miliardi di barili. Questa cifra, secondo quanto dichiarato dall’ex dirigente Eni Benito Li Vigni, sarebbe stata iscrivibile nel bilancio Eni perché “i contratti seguivano una formula molto vantaggiosa che consente di considerare come propria riserva una quota della produzione”.

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Kein Gegenstaende. Su questo treno è vietato pensare al di fuori degli appositi scompartimenti pensatori.

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Chi ha mai vinto una guerra?

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Ah, se Cristoforo Colombo invece dell’America avesse scoperto Napoli.

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Elezioni. “Vogliamo dei ladri onesti!”

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“Devi conquistare la totalità dell’Asia e dell’Africa”. “L’Europa, il Sudamerica e un terzo continente a scelta”. “Distruggere tutte le armate rosse”.

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Libri. Il processo del secolo. (Lino Jannuzzi, Mondadori). Il processo Andreotti visto dalla parte del governo. Pentiti e miliardi investiti all’unico scopo di portare Andreotti sotto processo. Già in precedenza i communisti avevano cercato di calunniare galantuomini come Lima (difeso da Jannuzzi in un altro memorabile libro) per bassi motivi politici: per non parlare dei poveri Salvo e Ciancimino.
Bookmark: www.cuntrastamu.org

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Pechino. “Fulmine di primavera” è il nome dell’operazione, annunciata dalle autorità, con cui il governo si propone di debellare lo scambio di file musicali fra gli utenti cinesi dell’internet. La rete, in quel Paese, è stata fin dall’origine considerata con sospetto per le incontrollabili possibilità d’interscambio che offre ai cittadini. “La lotta alla pirateria è una delle priorità di quest’anno”.

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L’oro del Po. La sabbia del Po, dal punto di vista edilizio, vale il doppio delle altre: 20-22 euro a tonnellata. A differenza di quella scavate nelle cave, infatto, è quasi pronta per l’utilizzo immediato in edilizia; ilprelievo non è controllabile, e quindi praticamente illimitato. Peccato che è vietato estrarla: si può spostarla dai canali navigabili, scavarla in piccola percentuale delle zone golenali autorizzate, e basta. Tuttavia, da due anni le procure di Reggio Emilia, Mantova e Rovigo indagano su reati legati all’estrazione abusiva. A Mantova c’è un esposto della provincia che parla di disastro ambientale. A Reggio sono sotto indagine quasi tutti i cavatori della provincia, dai privati alle “coop rosse”. Nel 2001 il Tg1 riuscì a filmare una nave che a a Boretto scavava sabbia dal Po, di notte; le Iene poche settimane fa hanno mandato in onda un servizio (sempre da Boretto) sullo stesso argomento. Intanto il letto del fiume è sprofondato di quattro metri, lasciando le fondamenta dei ponti allo scoperto. Fenomeno nuovo? No. L’allarme risale almeno al ’79, al convegno di Idraulica Padana di Parma: “Si sta verificando un progressivo abbassamento degli alvei fluviali la cui causa prevalente è da ricercare nelle massicce e spesso disordinate estrazioni di materiali litoidi dai fiumi”. E infatti l’abbassamento del letto del Po ha provocato l’innalzamento delle golene, con l’interramento delle zone umide che fungevano da casse d’espansione durante le piene e da riserve d’acqua durante le magre. (da Reggio Emilia)

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Uno sconosciuto patriota wrote (ma perché proprio a me?):
< America’s Most Patriotic Radio Network: listen live on the internet today! They’ve had 2 million hits during their first week of broadcasting! Check out Air America Radio today! >

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Fausto Caffarelli wrote:
<La guerra umanitaria non ha umanizzato. La guerra preventiva non ha prevenuto. La guerra pacificatrice non ha pacificato. Ci vuole ancora molto per capire che il problema non è l’aggettivo? >

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Pasquale wrote:
< Non ho visto il film di Mel Gibson, e non so se andrò a vederlo, ma trovo interessante la risposta che Corrado Augias ha dato su Repubblica, là dove elenca le religioni che, oltre a quella Cristiana, hanno assunto Gesù come uno dei loro simboli. Nell’elenco, a parer mio, potrebbero trovare posto anche quei laici (agnostici, o, addirittura, atei) che vedono in Cristo il simbolo della Ragione, da sempre perseguitata e messa in croce dall’oscurantismo. Gesù, infatti, per quei laici, è il primo uomo condannato, torturato ed ucciso per le sue idee. Idee di Giustizia, di Fratellanza, di Uguaglianza, che dovevano essere terrificanti per i berlusconidi dell’epoca, che sia a Roma che in Palestina vivevano nel culto della società divisa in padroni, servi e schiavi. Non erano molto dissimili da quelli attuali che ancor oggi, a Roma, in Palestina e altrove, vedono un comunista pericoloso in chiunque professi con convinzione idee di Giustizia e di Uguaglianza. (Ma non ditelo al Cavaliere: costui, per fare un dispetto ai comunisti che, anche se agnotici o atei, hanno Gesù in simpatia e lo considerano un compagno crocefisso, appunto, per le sue idee, potrebbe far cancellate dal calendario le feste di Natale e Pasqua) >

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Enzo wrote:
< C’è una mailing list di amici a cui ho inviato, ogni tanto, mail in diretta dalla Colombia, dalla Birmania o da Timor Est. Se vuoi ricevere delle mail anche sull’Irak (e poi dall’Irak, se riusciamo ad arrivarci) ne sarei felice. Comincerò inviando aggiornamenti che arrivano in diretta da una Ong che sta in Irak da anni, da personale della Croce Rossa e da qualche altro: è possibile che vengano fuori cose che sui giornali non arrivano. Basta inviare una mail vuota e senza soggetto a: enzob-subscribe@yahoogroups.com >
Enzo

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AntonellaConsoli <libera@libera.it> wrote:

Nascita della scrittura

< Dormiva la tribù
nella caverna silenziosa.
Nel buio il fuoco
illuminava i loro sogni.
Il Taciturno solo li vedeva.
Così tracciava un segno nella roccia,
danzava con le mani
lo spettro dei pensieri:
i sogni devon esser duraturi,
rosso su nero
dal fuoco illuminati >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)