Il padrone mafioso e il soldato

di Alberto Incarbone

foto di Alberto Incarbone

«Come siamo combinati, Saro? »
«Mali – risponde l’amico – stamu tirannu ‘na vacca pisanti»
Saro si è svegliato da poco e ha i capelli ancora all’aria. I due stanno sotto gli archi della Marina, dentro villa Pacini, dove c’è il solito di gruppo coppole e bastoni che gioca a carte attorno a un tavolino. In quel momento uno dei vecchi porta in alto l’asso di coppe e subito lo butta violento sul tavolo di plastica, come se volesse romperlo, mentre gli altri compari gridano e sopra di loro fischia il treno per Siracusa.

Saro dà un’ultimo tiro alla sigaretta, poi lascia cadere a terra il mozzicone, spinge le mani dentro il giubbotto e dice: «Catania va mali e nun c’è travagghiu. Qualche volta faccio il muratore, ma sono cose di due tre giorni. Per Sant’Agata ho fatto il torrone, ma semu sempri ddocu. E forse il prossimo mese arriva la cassa edile di un anno fa. Ma tu che mi cunti Turi?»

«Che ti cuntu – dice l’altro, più giovane e spensierato – Sono stato ad Amsterdam, in Olanda. Pareva un altro mondo, cercavano personale unn’e gghiè. Per ogni ristorante c’era scritto “cercasi cameriere”! Lo sai quanti italiani ci sono? Masculu, fimmini, tutti carusi» Turi si ferma e si passa una mano sulla barba ridendo: «Macari i buttani parranu italiano»
«Vabbè – fa Turi, agitando la mano – Amuninni ca si fici taddu, torniamo indietro che Rosaria mi ha chiamato».

I due amici lasciano i vecchi a giocare e gridare ed escono dalla villa verso piazza Alcalá. Nello spiazzale ci sono pochi autobus, sotto la pensilina due signore e un indiano aspettano il bus che li porterà a casa e in fondo, nella cabina di plastica dell’Amt, un uomo col borsello e le gambe accavallate sta seduto e legge i volantini del supermercato. Turi e Saro tagliano verso il Mc Donald e fanno la salita di basolato per tornare in via Plebiscito.
«Talía ddocu» dice Saro con sorpresa e guarda un auto posteggiata.
«Che hai visto? »

Saro risponde: «Quella macchina ha lo sportello aperto» e punta col dito una Renault bianca, vecchia e con le ruote consumate.
«Non ci pinsari o frati» dice Turi in fretta e riprende a camminare.
«E come non ci pensare?» dice Saro sconsolato. «Io ci penso ogni giorno Turi. Arruvai ca macari m’affruntu quando mi figlio mi chiede un panino, perché non glielo posso comprare. E che faccio, torno a rubare? Mancu u pozzu fari. Nel quartiere ci sono le telecamere, iddi ssu ca, aspettunu e cuntrollunu. Il giorno prima di Natale ci hanno sequestro un bordello di cose a Salvatore Nizza».

Salvatore Nizza, fonte web

Saro esce una mano dalla tasca e inizia a contare. «Unu, dui, tri…» Esce pure l’altra per aiutarsi e dice: «Sei appartamenti, due macchine, in totale un milione e mezzo di euro. Era uscito su CataniaToday. Nenti, c’è troppu cuntrollu»

«Saro – dice Turi – parannu ccu tìa, c’è una cosa che mi fa impazzire». I due risalgono via Plebiscito e incontrano la confusione babba della domenica prima di pranzo, quando la poca gente che c’è nei marciapiedi si infila nei panifici e la strada sembra vuota. Turi continua: «’Sta cosa non è la prima volta che succede. Santapaola, Nizza, sti cristiani dicunu ca su ddo quatteri, ma iè u quatteri ca è ddo so. Un milione e mezzo di euro… Ma te lo immagini? Con tutti i soldi che hanno San Cristoforo potrebbe essere Corso Italia, i cristiani putissiru vivere bene»

«E io che ti devo dire – risponde Saro guardando avanti – Pensunu sulu a iddi»
«Non capisci? – insiste Turi – È una catena: loro vendono cocaina, fanno i soldi, tu ti fai attaccari e accussí a ripetiri»
«L’amu fattu milli voti stu discussu – dice Saro seccato – Non mi interessa di loro, io vorrei solo un lavoro, farimi a spisa. Essiri autonomo va’»
«Non puoi dire che non ti interessa, Saro– dice serio l’amico – tu ‘na vota spacciavi»
Saro si ferma e guarda Turi in faccia, anche via Plebiscito si ferma e tutti guardano Turi: «Tagghila cu stu discussu».

Dura solo un attimo e dopo che Saro smette di parlare, via Plebiscito riprende a vivere. Turi sta immobile invece, mentre vede Saro di spalle che se ne va e gli fa “ciao” con la mano, tutt’e due le braccia ficcate nel giubbotto senza maniche, le gambe secche che si muovono veloci e svoltano l’angolo per via Grimaldi, al Castello Ursino. I soldi dei mafiosi alla gente, che idea assurda.