Un irriducibile rivoluzionario

 

a cura di Elio Camilleri

Girolamo Giuffrida, detto “Cutugno”, cioè calzolaio, fu un catanese di quelli che non riuscivano neppure a pensare alla possibilità di sopportare soprusi, ingiustizie dei potenti e dei prepotenti, sia che essi fossero locali o venuti da lontano.

In segno di protesta contro la classe dirigente aveva minacciato di dare fuoco a tre gigantesche pire nella piazza della fiera, poi fu arrestato assieme al figlio Giuseppe il 5 agosto 1647: per tre giorni padre e figlio furono terribilmente torturati e, quindi, furono gettati in una cella ad aspettare il giorno dell’impiccagione.

Tre mesi dopo, l’8 ottobre, Girolamo Giuffrida, detto “Cutugno”, cioè calzolaio, suo figlio Giuseppe ed altri sei ribelli sarebbero stati impiccati se non fosse arrivato all’improvviso un acquazzone di quelli che capitano una volta ogni cent’anni e allora gli otto condannati tornarono a vivere.

Lui, il Cutugno, continuò la sua battaglia civile per la parità dei diritti per tutti i cittadini, ma furono messe in giro delle calunnie su una sua presun- ta intenzione di cacciare gli spagnoli dalla Sicilia e allora non ebbe paura di partire per Palemo per spiegare tutto al Viceré: portava con sé un crocifisso e un cappio come a voler dire che era innocente come Gesù e che, se fosse stato dimostrato il contrario, era disposto a farsi impiccare.

Fu intercettato dalle parti di Adrano e ricondotto a Catania ed incarcerato. Appena tornato in libertà riprese con immutato vigore la sua battaglia contro i soliti potenti. E forse fu proprio la difesa di due venditori ambulanti le cui bancarelle erano state urtate dalla carrozza del Principe di San Giuliano che determinò la decisiva e definitiva condanna a morte. In quel tafferuglio, il 10 febbraio 1648, gli sgherri del principe furono messi in fuga dal Cutugno e dai suoi amici ed il capitano Giovanbattista Guerrera pensò bene di fare di tutto per accompagnare alla forca il Cutugno, il figlio Giuseppe e altri due. Ci riuscì il 14 gennaio del 1649.