San Libero – 387

Lo stato, in Italia, ha sempre trattato con la mafia. Ha trattato ai tempi di Giolitti (“camorrista” per Salvemini), di Mussolini (la fine del povero Mori), del’Amgot (Calò Vizzini, Lucky Luciano), di Scelba (Giuliano e Pisciotta) e, naturalmente, di Andreotti.Quest’ultimo, come si sa, si incontrava con boss come Spatola che, con Badalamenti e Inzerillo, formava il triumvirato della mafia di allora. Sia Spatola che Inzerillo furono uccisi dai “Nuovi”, i corleonesi. Badalamenti scappò in Brasile, e l’uomo di cui si fidava era Tommaso Buscetta. Falcone, mediante Buscetta, aveva l’obiettivo preciso di far parlare Badalamenti. Non ci riuscì.

Che cosa avrebbe potuto dire – e provare – Badalamenti, se Falcone fosse vissuto abbastanza da convincerlo? Che l’onorevole Giulio Andreotti, capo del governo italiano, aveva come interlocutori industriali, prelati, politici, e anche i boss di Cosa Nostra. Adesso la cosa non farebbe granché scalpore, perché è una storia vecchia, e perché l’opinione pubblica non è più quella di prima. Ma nel ’93, o anche qualche anno prima, sapere ufficialmente che un politico aveva commesso il “reato di partecipazione all’associazione per delinquere” Cosa Nostra, “concretamente”, “fino alla primavera 1980” avrebbe fatto saltare per aria l’Italia. Altro che Mani Pulite.

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Per questo Falcone è morto e per questo è morto Borsellino. Ovvio che ci siano entrati (come rozzamente si dice) “i servizi”, pezzi di stato. Deviati, ma fino a un certo punto. In certi anni, erano quasi ufficiali.

I rapporti fra Andreotti e Spatola – ossia, fuor di metafora, fra mafia e stato – non erano finalizzati a assassinii (tranne che di comunisti, che allora giuridicamente non erano esseri umani) , né ponevano a rischio l’autonomia dello stato. Erano rapporti periferici, asimmetrici, localizzati. Il mafioso, ai tempi di Spatola, al politico chiedeva cose circoscritte e locali, e il politico gli rispondeva su questo terreno. Al  massimo poteva chiedergli una strage di contadini, seppellibili in fretta e senza troppo casino.

E’ il tipo di rapporto che un ufficiale americano può avere oggi con questo o quel warlord afgano, di cui si conoscono benissimo le atrocità, ma che tutto sommato torna utile per tenere il territorio.

“Datemi i voti – diceva alla mafia lo stato – ammazzatemi un po’ di comunisti e fate  quel che cazzo volete nella vostra isola di merda”.

Poi, verso la fine degli anni ’70, i signori della guerra si sono impadroniti di testate nucleari. Cioè, oltre metafora, i mafiosi hanno messo le mani sulla totalità del traffico mandiale di eroina e sono diventati dei grossissimi imprenditori.

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A questo punto i rapporti di forza si sono squilibrati. “Col cazzo che restiamo a fare qualche affare di merda quaggiù in Sicilia! Vogliamo contare dappertutto, vogliamo avere la nostra fetta d’Italia esattamente come tutti i vostri imprenditori”.

Si aggiunge, proprio in quegli anni, una diciamo così infiltrazione. Ad esempio, gli ultimi 150 inscritti alla P2  stanno in Sicilia o sono siciliani. All’estero (“golpe” Sindona) Cosa Nostra comincia a essere un interlocutore a livello altso.

Quindi la partita cambia completamente. Quelli come Andreotti si spaventano, cercano di tirarsi fuori. Però è un po’ tardi, anche perchè se hai aiutato il talebano a rubare una vacca e ammazzare un paio di comunisti, quello ti ricatta per il resto della tua vita e pretende, pretende, pretende…

Mr Stato dice: va bene, adesso ti aiuto a rubare anche un paio di capre. Miss Mafia dice: Col cazzo. Voglio il culo della regina Vittoria, se no dò al Times le foto di te che rubi le vacche e ammazzi i comunisti insieme a me. E il ciclo ricomincia e continua, sempre più incontrollabile e sempre più in alto a ogni giro. Sta continuando tuttora.

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Ci vuole un altro Pertini. E forse c’è

Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare…

Cinquant’anni fa di questi tempi avevamo il governo più fascista che ci sia stato fra Mussolini e Berlusconi, un centrodestra Dc-Msi che per prima cosa provvide a “revisionare” – come si dice ora – la storia italiana facendo occupare Genova dagli ex repubblichini di Salò.

Genova insorse e anche nel resto d’Italia ci furono manifestazioni contro il governo. Nel sud si mescolarono con quelle per l’acqua e per l’occupazione.

La polizia, in perfetto stile sovietico (ma i “comunisti” qui erano gli sparati) , sparò sulla folla in diverse città: a Reggio Emilia uccise cinque operai, a Licata (Agrigento) restarono per terra venticinque manifestanti (uno morto), a Palermo furono uccisi  un anziano sindacalista, un precario diciottenne e una donna che stava alla finestra. A Catania massacrarono un ragazzo a manganellate (Salvatore Novembre, 19 anni) e lo lasciarono a morire in piazza Stesicoro, dove ora la gente passeggia senza sapere.

Nei giorni successivi il governo crollò, travolto dalle proteste (allora la gente si ribellava). Ma al sud e specialmente in Sicilia la vita rimase quelle di prima, cioè disoccupazione e miseria e mafia per i contadini: mancava ancora un sacco di tempo per il Sessantotto.

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Da allora molte cose sono cambiat e alcune sono rimaste le stesse. La polizia, dopo Falcone e gli altri, non sparerebbe più sulla folla. Ci sono più telefonini, ma meno allegria. Lavoro continua a non essercene, e ora non solo al sud. Invece c’è sempre la mafia, che ha ancora più amici nei partiti di governo.

E proprio a questo proposito, c’è una differenza importantissima: adesso,della mafia, nessuno fra i politici si accorge più. Allora i partiti di sinistra (i “socialcomunisti” che poi si scissero, uno al governo l’altro all’opposizione: ma sempre restando di sinistra fino a tutti gli anni’70), se una cosa sapevano, è che con la mafia non si discute e che la mafia sempre si combatte. Persero pià di cento compagni (un’altra cosa che ora non vi raccontano) combattendo i mafiosi, fra il ’43 e gli anni Sessanta). Avevano mille difetti, ma non di fare compromessi coi mafiosi.

E ora? Adesso lo vedete: condannano un politico fondamentale (un fondatore di Forza Italia, un braccio destro di Berlusconi) per mafia, e una settimana dopo tutti se lo sono già dimenticato. Non è che non protestino, non facciano begli articoli, non siano – per alcuni giorni – virtuosamente indignati: ma tutto si ferma lì. Poi arriva la “politica” dei politici, e tutto ritorna normale.

Per ora, nella sinistra “normale”, fervono le trattative e le avances (allearsi con Fini? con Micciché in Sicilia? con Calderoli e Bossi?), con strategie complessissime, degne di Sun Tzu o  Napoleone. Peccato che falliscano sempre. E quanto agli assetti interni: chi sarà il candidato finale, alle elezioni? Bersani, Vendola? Di Pietro? Oppure – tocchiamo ferro – un D’Alema o un Veltroni? O l’abilissimo Letta? E chi appoggiato da chi, che schieramenti interni, che alleati? Manovre complicatissime, degne di Giulio Cesare o Machiavelli.

E anche queste regolarmente finiscono col pugno di mosche in mano. Finirà che dalla crisi verrà fuori un governo Tremonti (che in effetti c’è già) o un Tremonti-Fini, o un Fini-Calderoli-allargato (tutto è possibile) o… E tutto, in nome dell’emergenza, con l’appoggio pià o meno esplicito della sinistra.

Da un canto è divertentissimo vedere gli schieramenti che si compongono, le congiure reciproche, i tradimenti dei ras (non a caso fra poco è venticinque luglio…), dall’altro noi popolo di ogni giorno in tutto ciò ci guadagniamo proprio niente. Rischiamo un governo Berlusconi  senza di lui, che duri altri vent’anni e che sia sempre e altrettanto padronale. Un otto settembre che non finisce mai.

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Quanto a noi, che di “politica” non ne mastichiamo, abbiamo poche idee e tutte fuori moda. Primo, coi mafiosi non si tratta, neanche per un istante. Secondo, se governo di emergenza ha da esserci, che sia di emergenza vera, e cioè in primissimo luogo antimafioso. Abbiamo un candidato, persino,  – a sua insaputa, ovviamente… – ed è un giudice antimafioso.

Volete un governo unitario, che gestisca il dopo-Berlusconi e prepari (diciamo, nel giro di un anno) le elezioni? Benissimo. Eccolo qua. Caselli.

A Berlusconi (e a Dell’Utri) non va bene, ovviamente. Ma a tutti gli altri? E’ democratico. E’ settentrionale. E’ anche siciliano, in un certo senso. Non è di destra. Non è di sinistra. E’ più istituzionale della carta bollata.   Non si è mai immischiato di politica (a volte la politica se l’è presa con  lui) e sempre fatto seriamente ed efficacemente quel che l’Italia gli chiedeva, combattere i terroristi o stangare i mafiosi.

E’ giovane e pimpante, soprattutto, almeno quanto Pertini. E infatti rischierebbe d’essere proprio un altro Pertini.

Chi ha paura di un altro Pertini? Chi ce lo farebbe, un pensierino?

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O’ Sistema e chi non ci sta

A Napoli, come sapete, si paga il pizzo. Il camorrista va dal commerciante e gli fa: “O paghi o ti faccio saltare in aria”. Il commerciante liberamente decide che pagare è molto meglio di saltare per aria. “Bravo – gli fa la camorra – tu sì che sei un uomo saggio e perspicace”.  

I napoletani che hanno la disgrazia di essere anche operai di fabbrica, tuttavia, il pizzo lo pagano due volte. La prima volta alla camorra, secondo le democratiche modalità sopra indicate. E la seconda alla Fiat, sempre in maniera libera e nel pieno rispetto della democrazia. “O paghi – gli fa la Fiat – e cioè mi vendi il tuo lavoro per un pezzo di pane, o ti levo la fabbrica e ti riduco alla fame. E l’operaio – non tutti – liberamente e democraticamente paga.

Tutto questo per dire che è anche per questo che Saviano e alcuni altri, invece di parlare semplicemente di camorra, parlano di Sistema. Il Sistema comprende la camorra, e comprende la Fiat. La Fiat, man mano che ammazza Keynes, si fa camorra; e la camorra, man mano che reinveste i soldi, si fa Fiat. Sempre più evanescenti le differenze fra l’una e l’altra, e tendenti a sparire. Onde è saggio e scientifico considerarle come un tutto unico, il vecchio Establishment, modernamente ‘O Sistema.

‘O Sistema ha un governo che caccia i giudici (vedi Caselli) minaccia d’ammazzamento i pentiti (vedi Spatuzza), ruba ai produttori le fabbriche (vedi Pomigliano). Tutto ciò è tuttavia secondario, non essendo ormai più da tempo – come lucidamente previsto dal Vecchio Maggiore della Fattoria – il governo che una specie di stanza in cui i rappresentanti della Fiat, della camorra e degli altri poteri ogni tanto si siedono per dirimere fra amici i  loro affari.

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Quanto a noi, sono sempre le stesse due cose che s’intrecciano, qui: da un lato una storia fortissima, veramente alternativa (I Siciliani, Siciliani/Giovani, Avvenimenti, l’Alba, Casablanca, poi Ucuntu, poi la rete di Lavori in corso, poi chissà cosa, sempre nell’antimafia e nel collettivo), dall’altro una serietà “professionale” e tecnica che ci fa scoprire prima degli altri le ricadute pratiche (e “politiche”) di ogni tecnologia.

Se guardate l’ultimo menù di Repubblica.it, per esempio, trovate un “giornale elettronico” (pdf, tecnica Issuu, web sfogliabile, ecc.) che è esattamente un Ucuntu molto più in grande: ma due anni dopo…

Rete e tecnologie invadono sempre più il giornalismo, e noi non ne abbiamo paura; anzi. Un internet di esseri umani – non di semplici macchine, e men che mai di mercato – è quello dentro cui navighiamo. E tanto si estenderà, grazie a noi e a tutti gli altri, che alla fine – alla faccia di ‘O Sistema – cambierà il Paese.

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(Alcuni di questi pezzi sono già usciti su Ucuntu – www.ucuntu.org – e li ripropongo qui perché, in un momento un po’ difficile, non riesco a scriverne di nuovi apposta. Siate indulgenti se li avevate letti…).

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Pino Finocchiaro wrote:

UN PENSIERO DALLA SICILIA

< Poi penso a quei brigadieri e ispettori

che trascrivono quelle oscene discussioni.

E che pensano e ripensano

che se davvero funziona così,

soldi in cambio di voti,

il mio voto, il nostro voto non vale un cazzo,

ma non si scoraggiano,

ascoltano file,

trascrivono maialate politiche,

mandano informative ai magistrati

che poi informano i ministri

che poi si indignano

ma mai cazzo quanto ci indignamo io

e quel cristo di carabiniere

che vorrebbe un futuro

di lavoro e prosperità per il figlio

senza dover andare a baciare

l’anello a don Rafé

o al baruneddu di Torrescalla… >

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Per collaborare a questa e-zine, o per criticarla o anche semplicemente per liberarsene, basta scrivere a riccardoorioles@gmail.com — Fa’ girare.

“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)

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