San Libero – 369

20 settembre 2008 n. 369

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Notizie vere, notizie false

Un avviso di garanzia ai sensi dell’articolo 656 del Codice Penale è stato inviato ieri dalla Procura di Catania al direttore del quotidiano locale La Sicilia, Mario Ciancio. La decisione dei magistrati catanesi sarebbe motivata dalla “notizia”, pubblicata con grande evidenza dal quotidiano catanese nel maggio scorso, di un presunto tentativo di rapimento perpetrato da zingari all’uscita di un supermercato.

Nel particolare clima di quel momento – si osserva negli ambienti della Procura etnea – una “notizia” del genere per altro priva di ogni riscontro) avrebbe potuto facilmente dar luogo a incidenti anche molto gravi, particolarmente ai danni di elementi della comunità rom; è pertanto da ritenersi largamente violato il disposto dell’art.636 che vieta la “pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l`ordine pubblico”.

“La decisione della Procura di Catania – ha dichiarato poco più tardi il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Franco Nicastro – è ineccepibile e abbiamo già provveduto a titolo cautelativo a sospendere dall’Ordine il nostro iscritto Mario Ciancio. Non si pubblicano con leggerezza notizie così gravi e completamente prive di ogni supporto giornalistico”. “A questo proposito – ha aggiunto Nicastro – voglio congratularmi con i ragazzi del sito universitario Step1 che sono stati i soli a comportarsi da giornalisti in quest’occasione, andando immediatamente a cercare le fonti sul campo e denunciando quindi l’assoluta inconsistenza dell’accusa, formalizzata adesso anche dalla piena assoluzione dei due giovani zingari ingiustamente accusati. Bravi ragazzi, continuate così”

Di parere diverso (“Inammissibile ingerenza di una magistratura politicizzata”) il segretario dell’Associazione Siciliana della Stampa, che ha fatto pervenire un “rispettoso e solidale” messaggio al collega Ciancio. “Sono sempre stato il primo a difendere gli zingari e questa assoluzione è tutto merito mio” ha dichiarato infine, su consiglio dell’agenzia che cura la sua immagine, l’onnipresente teatrale Antonio Fiumefreddo.

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Heimat

Sant’Angelo di Brolo è un comunello di quattromila abitanti nell’interno della provincia di Messina e il miglior modo di arrivarci è, o almeno era una volta, la motocicletta; e precisamente la Bianchi 125 su cui mio padre, molti anni fa, andava a raggiungere la scuola di montagna dove insegnava, con me bambino accovacciato sul serbatoio e alberi e fiori che sfilavano allegri ai margini della trazzera. Il paese, che allora era molto povero, era composto quasi esclusivamente di bambini e donne, la maggior parte degli uomini essendo a quell’epoca emigrati in Belgio, in Germania o al nord; mandavano, ogni mese, quasi tutta la paga nelle “librette” delle famiglie rimaste a casa e per questo inghiottivano molti duri bocconi dai tedeschi, dai belgi, dai “non si affitta a meridionali”.

E’ uno dei posti del mondo a cui voglio bene. L’ho rivisto per caso l’altro giorno, alla tivvù. Niente di straordinario, per fortuna: era solo il tiggì regionale e non era una notizia d’importanza. Pare che le autorità abbiano deciso di mettere da quelle parti un campo provvisorio per emigranti (algerini, tunisini, neri, gente sopravvissuta a stento al mare estivo e ai suoi annegamenti). E, siccome anche Sant’Angelo di Brolo ormai avrà pure lui i suoi bravi fascisti, qualcuno ha organizzato una piccola manifestazione contro gli emigranti. “Non li vogliamo qui!”, “Fuori da casa nostra!”, “Via gli stranieri!”.

I cartelli e le grida (queste ultime non troppo forti, da razzisti alle prime armi) erano quelli regolamentari, e così pure le interviste che i giornalisti del Ministero andavano prendendo in giro. La gente, davanti al microfono, parlava con timidezza, un po’ per la non-abitudine, un po’ per la vecchia buona educazione montanara; ma insomma, sia pure senza gridare, diceva quel si voleva che dicesse. Solo qualcuno, fra i giovani, cercava di fare la faccia feroce, ma senza riuscirci poi tanto. Il tiggì andava, e io rivedevo la moto di mio padre, e i santangiolesi di allora,  e quella povera scuola degli anni Cinquanta.

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Dibattito fra italiani su un ammazzato

“Purtroppo gli stranieri – anche se italianizzati come mr. Abba – non si sentono soggetti agli stessi “doveri” dei “nativi” e in molti casi hanno scelto l’Italia come nuova patria perchè qui è tutto permesso, non c’è Forza Pubblica che tenga e se vengono presi escono subito grazie ad una magistratura tollerante (o forse perchè le carceri sono sovraffollate). Nel caso non solo i tre hanno rubato, ma – inseguiti – hanno ritenuto di opporsi alle loro vittime. Caso ha voluto che è morto un ladro, ma se la sprangata avesse spaccato la testa al derubato quanti avrebbero espresso la loro pelosa solidarietà al provero italiano bianco? Avrebbero detto: se l’è cercata!! Principal”.
(dal forum di corriere.it)

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Giornalisti antimafia

In Sicilia, dal 1960 ad oggi, sono morti ammazzati otto giornalisti che avevano scritto e detto cose “sbagliate”: Cosimo Cristina, Mauro de Mauro, Giovanni Spampinato, Mario Francese, Peppino Impastato, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno e Giuseppe Alfano. Solo tre di loro erano giornalisti professionisti, mentre Alfano, Impastato e Rostagno sono stati iscritti all’albo solo dopo la morte. Tutti loro avevano scritto e parlato di mafia, ma ad ucciderli è stata anche la loro solitudine e l’indifferenza a cui li ha condannati la “gente perbene”.

A volte il silenzio è più pericoloso della lupara, ma oggi c’è chi ha deciso di parlare, e per giunta davanti alle telecamere. Per non abbandonare al rischio della solitudine il giornalista Pino Maniaci di Telejato (aggredito il 29 gennaio scorso dal figlio minorenne del boss Vito Vitale) un gruppo di associazioni siciliane ha invitato la cittadinanza a leggere al posto di Pino il notiziario dell’emittente di Partinico. “Siamo tutti Pino Maniaci – ha detto don Luigi Ciotti – perché Pino non deve sentirsi solo, e perché abbiamo bisogno di un giornalismo fatto d’impegno civile che ci aiuti a non essere distratti o indifferenti”. Anche Rita Borsellino ha aderito all’iniziativa, “perché, come diceva Peppino Impastato, voglio insegnare il valore della bellezza ai giovani”.

I video dei “cronisti per un giorno”, per tutta l’estata, sono raccolti sul sito dell’associazione Rita Atria. Persone impegnate in parrocchie, sindacati, associazioni, comitati, ma anche singoli cittadini e perfino giornalisti hanno trovato in questa iniziativa il coraggio della denuncia, che è più facile quando non si è da soli. I cittadini si stringono attorno all’informazione antimafia, che esce dal suo pericoloso isolamento: l’efficacia di questo patto virtuoso tra giornalisti e cittadini va ben oltre i confini di Partinico. La politica nazionale è sorda a questi problemi, talmente impegnata nelle commemorazioni delle vittime da ignorare chi viene minacciato da vivo. Nel frattempo, sul sito dell’Ordine dei Giornalisti della Sicilia, Pino continua ad essere “invisibile” e non compare tra i nomi degli iscritti: sicuramente si tratta di una svista.
[carlo gubitosa]
Info: www.ritaatria.it – www.telejato.it

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La ritirata

C’è un dato che deve preoccupare la sinistra più della sconfitta elettorale: dopo il crollo politico, sta perdendo anche la battaglia culturale. Lo vediamo ogni giorno in tv, lo verifichiamo nei bar, sugli autobus: la cultura di sinistra sta battendo in ritirata, i suoi valori sembrano scomparire, la marea della cultura di destra, che dalla marcia su Roma in poi coincide sostanzialmente con la subcultura fascista, monta in modo spaventoso e rischia di sommergerci tutti, fino ad impedirci di esprimere la nostra opinione. Se la sinistra dovesse perdere la “guerra civile” della cultura, l’Italia entrerebbe in un tunnel paragonabile al franchismo.

Non è difficile accorgersi che, mentre gli esponenti del centro-sinistra tendono addirittura ad autocensurarsi, l’obiettivo della destra (di governo ed extraparlamentare) è l’egemonia culturale. L’offensiva sul terreno della scuola, dell’università, del cinema, dello spettacolo, dei mezzi di comunicazione, televisione in primis, è massiccia. Il metodo è quello della propaganda “a spallate”. Ci prova Alemanno, forte della sua posizione di sindaco della Capitale, a riportare indietro le lancette dell’orologio di An, sostenendo che il fascismo non è stato il male assoluto. Lo segue a ruota La Russa, che da ministro della Difesa difende i valori e gli uomini della Repubblica di Salò!

Con le spallate qualcosa passa, le coscienze fasciste si rallegrano e non è sufficiente a raffreddarle neppure il richiamo di Fini, che chiede ai militanti di destra di riconoscersi nei valori antifascisti. È chiaro che c’è una lotta interna ad An per il controllo del partito, ma è altrettanto chiaro che la base è schierata con i nostalgici di Almirante: persino il capo di Azione giovani di Roma, tal Iadicicco, che conta come il due di picche, si è permesso di rispondere al leader del suo partito che “i ragazzi di Azione giovani non possono, non vogliono e non saranno mai antifascisti”.

Nel frattempo, quelli di Forza Nuova e di altre non meglio identificate sigle, che prima si riunivano nel sottosuolo, ora vanno in giro a vantarsi della loro “appartenenza”: tra un raid a Villa Ada, un pestaggio di giovani usciti da un concerto e un oltraggio alle lapidi in memoria dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, tengono pubbliche conferenze, fanno pubbliche manifestazioni (autorizzate). Come prevedibile, i fascisti sono tornati, vogliono l’uomo forte e carismatico, vogliono credere, obbedire e combattere. Il loro unico problema è che l’uomo forte non c’è: delusi da Fini, non possono virilmente identificarsi con quella macchietta di Storace, né tantomeno con la Santanchè, che è donna.

Il Pd protesta per le frasi di Alemanno e La Russa, ma è poco credibile. È quello stesso Pd che ha mantenuto, dopo il recente restauro, l’incisione “Mussolini dux” sull’obelisco d’epoca fascista dello stadio Olimpico di Roma. La battaglia della cultura si perde anche su questo terreno. Zapatero, da quando è premier, ha fatto portar via, nonostante gli strilli del partito popolare di Aznar, tutti i simboli del franchismo, a partire dai monumenti. Allora non ci si deve sorprendere se, una volta disperso il patrimonio dei valori della sinistra, un commerciante milanese uccide un cittadino di pelle nera urlandogli “sporco negro”. Nè se il questore di Milano e lo stesso pm sostengono che non c’è l’aggravante del razzismo. Né, ancora, se un dirigente del Catania consiglia di dare bastonate sui denti agli avversari.
[riccardo de gennaro]

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C’è un giudice a Berlino (ma a Catania?)

La catastrofica decadenza della città di Catania, ormai riconosciuta da tutti, deriva essenzialmente dal legame strettissimo, che ha  più di trent’anni, fra le strutture mafiose e quelle (talora coincidenti) dell’imprenditoria. Subito dopo vi sono due concause che meriterebbero trattazione più approfondita ma che si possono riassumere nell’ inadeguatezza dei due presidi fondamentali di ogni società occidentale, l’informazione giornalistica e la magistratura.

Della prima, abbiamo scritto tante volte che sarebbe noioso ripetere. L’unica scuola giornalistica libera, quella di Pippo Fava, è stata consapevolmente distrutta prima con l’assassinio del fondatore e poi col  sistematico silenziamento di tutti i suoi allievi della prima e della seconda generazione.
Quanto alla magistratura, il suo ruolo nella storia della città – salvo  benemerite, ma isolate, eccezioni – non è stato complessivamente positivo, e men che mai paragonabile, sul piano civile, a quello di Palermo. Non solo e non tanto per i casi di corruzione esplicita (che non sono mancati), nè di aperto connubio col sistema di potere (vedi Grassi, oggi presidente in Cassazione).  No: quel che ha più pesato nell’infelice esito del notabilato giudiziario in questa città è probabilmente un fattore metatecnico, più propriamente culturale.

Molti magistrati catanesi, che pure operano “in nome del popolo” e nel quadro di una Costituzione, non hanno mai realmente metabolizzato i principi  fondanti dell’ordinamento, né sul piano della garanzia dei diritti né  su quello della lotta alla mafia. Hanno spesso operato, e operano sovente tuttora, come se anziché Magistrati della Repubblica in un’ importante città a forte presenza mafiosa fossero Regi Uditori borbonici in qualche borgo  dell’Ottocento. Applicando  le leggi a volte poco, a volte male, a volte svogliatamente, e spesso lasciandosi guidare dai propri personali (notabilari) pregiudizi.

Due casi gravissimi, quest’estate. Il primo, l’inusuale invio al macero  d’un giornaletto locale che relazionava sulle attività d’un tal notabile catanese, Fiumefreddo; la solidarietà di casta è scattata immediata col sequestro del foglio.

Il secondo, ancora più deplorevole perché coinvolgente un minore, lo strappo di un adolescente alla madre e la sua consegna manu militari al padre separato (e cliente lombardiano): perché frequentava i comunisti. Scritto nero su bianco sul rapporto di una funzionaria dei servizi sociali (che continua a rubare la paga alla collettività per il servizio così infedelmente svolto), che il magistrato non ha  saputo, per sua insufficienza culturale, trattare come avrebbe dovuto.

Che Catania fosse città fascista (con strade intitolate a gerarchi mandanti di assassinio, e non a purissime eroine  resistenziali) lo si sapeva, e il sindaco s’è compiaciuto di ricordarlo apertamente appena insediato. Che Catania fosse città mafiosa, in cui dei grandi affari non si può e non si deve parlare, si sapeva;  come pure che qui nemico è il comunista Pio La Torre, e amico invece il supportatore di mafia Cuffaro (commissario catanese dell’Udc). Ora si sa anche che non saranno  i magistrati, a Catania, coloro cui ci si potrà affidare per contrastare tutto ciò. Se ancora esiste, dovrebbe intervenire il Csm.

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Sempre più si diffonde, “in tale e tanto corrotta città” l’idea di uscirne a musiche e balli, magari al seguito di qualche notabile riciclando. Fiumefreddo, ad esempio, ha affidato a un’agenzia di Pr l’incarico di “costruirgli” a freddo  un’immagine kennediana, antimafiosa (qualcuno dell’antimafia-bene non manca di collaborarvi, in cambio di piccoli poteri). E’ un’idea divertente. Ma davvero sono convinti che funzionerà?

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Hotel Mafia

A dodici anni di distanza dalla dichiarazione di insolvenza del marzo 1996 vanno all’ asta due immobili dell’ex impero Costanzo: il complesso industriale Proter a Misterbianco e l’hotel residence La Perla Ionica di Acireale. La base d’ asta è stata fissata in 66,3 milioni di euro per la Proter e in 76,2 milioni per la Perla Ionica. I commissari liquidatori (Sebastiano Leonardi, Diego Montanari e Carmela Silvestri hanno fissato una cauzione del 10% che, sommando i due asset in vendita, raggiunge la cifra di 14,2 milioni di euro. I fratelli Carmelo (morto nel 1990) e Pasquale Costanzo erano alla guida della decima impresa italiana di costruzioni quando vennero colpiti da una serie di indagini per le loro collusioni con la criminalità organizzata. Alla fine del 1993 la Proter (prefabbricati in cemento) finiva in crisi e smetteva di pagare gli stipendi. Quanto alla Perla ionica, conosceva una fama sgradita per avere ospitato a lungo nel 1982 il boss catanese Nitto Santapaola, al tempo ricercato per l’eccidio della circonvallazione di Palermo. Il lotto dei possibili interessati su base locale è ora fatto dei soliti nomi: l’ editore con interessi alberghieri Mario Ciancio Sanfilippo, il presidente del Catania calcio Antonino Pulvirenti e Francesco Bellavista Caltagirone, proprietario dell’ Excelsior di Catania e del San Domenico di Taormina. [i.p.]

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Il podestà

Giovanni Caruso wrote:

< “Sindaco, ma manco un saluto fascista per festeggiare? Per Alemanno a Roma è stata tutta un’altra coreografia” fa il giornalista. ”Guardate che l’unico fascista – risponde – qua sono io. Là fuori avete visto quanti ragazzi,ragazze,amici di Forza Italia… Però – aggiunge serio – una cosa voglio dirla: dedico questa mia vittoria a uomini autentici della destra catanese, a Pecorino, Santag, La Russa, Filetti…”. E’ la prima volta che si legge una dichiarazione così esplicita da parte di un sindaco che si prepara a governare una città della Repubblica italiana che come tutti sappiamo si fonda sui principi della resistenza e della liberazione dal nazifascismo. Ogni manifestazione di fascismo, in Italia, stando alla legge costituisce reato (apologia del fascismo).
Il sindaco Stancanelli si definisce con orgoglio fascista e dedica la sua vittoria a quelli che lui chiama “i padri della destra catanese”: ma ci sono documenti precisi che indicano alcuni di quei “padri” come mandanti di aggressioni e altri reati agli inizi degli anni ’70. La nostra città vive un momento drammatico: ingiustizia sociale, disoccupazione, crisi delle scuole, raccolta dei rifiuti, un piano regolatore approvato da un commissario senza consultare il consiglio comunale nè la città. A queste piaghe non vorremmo aggiungere le derive nazifasciste che a Catania già si esprimono con atti di violenza e aggressioni.
Signor prefetto, ecco perché mi appello a lei e lo faccio con la Costituzione in mano e con la speranza che richiami il nuovo sindaco alle sue responsabilità, ricordandogli che non è il podestà di Catania, ma solo il sindaco >

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Roberta wrote:

< Io non mi voglio arrendere, non lo farò mai, non esiste, ma oggi non mi sento polemica, non mi sento e basta, poi oggi è così, magari domani si torna alla lotta… pensavo che le passioni se ben coltivate e portate avanti avrebbero fatto avverare i sogni, e invece non è così. Dire “la prossima volta” la “prossima volta ci sarà giustizia”, la prossima… si… la prossima sarà migliore… Ho difeso a denti stretti la mia giustizia, ho cercato di far raffiorare la speranza in chi era sfiduciato, ho cercato di dare un senso a certe cose, a certi ideali e certi uomini e oggi cerco un senso in un’ingiustizia. Avevo 2 anni quando hanno fatto saltare in aria l’autostrada, come in un gioco di guerra, avevo due anni quando hanno fatto saltare in aria quella maledetta macchina in via d’Amelio e oggi mi sembra di aver perso una vita intera >
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http://www.giornalismi.info/ip
http://www.ucuntu.org
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Persone

Matteo Moraci era un buon compagno di Lotta Continua, un buon fotografo, un buon maestro di judo e un ottimo insegnante. Amava discutere, vivere, opporsi alle prepotenze e i lunghi viaggi in moto. Abbiamo avuto foto sue ad Avvenimenti e a Casablanca. Bello essere stati amici suoi, bello il mondo in cui lui c’era ancora.

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Matteo Moraci wrote:

Vivere il mattino
< Franky sa vivere il mattino
che odora di buon caffè
Una finestra sul mare
il pigiama sull’azzurrino
marmellata e notizie radio
fresche camicie nell’armadio >

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All’infinito
< Potremmo star qui
all’infinito
a guardare l’Atlantico
bevendo vino bianco
ed aspettare
che la smetta
di agitarsi tanto >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)