San Libero – 266

11 gennaio 2005 n. 266

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Mettiamo che se ne sia salvato uno, anzi più d’uno, una barca intera, pescatori. Mettiamo che questa barca, sola, con pochi viveri, senza bussola, senza radio, abbia girovagato alla cieca per l’oceano, con un pesce ogni tanto, bevendo acqua piovana. Mettiamo che siano sfuggiti alle ricerche, via via sempre più fiacche (navi e elicotteri prima o poi dovevano tornare ai loro compiti ordinari). Mettiamo che nel frattempo, mentre essi navigavano, il loro paese d’origine sia passato progressivamente dalla prima pagina a quelle interne, dai titoli a nove colonne ai dibattiti pacati. Mettiamo che nel frattempo la tv abbia avuto il tempo per ricominciare a occuparsi regolarmente (cioè per tutto il tempo) di Calderoli e Casini, di campionato di calcio, di libri di Bruno Vespa, di veline. Mettiamo che dopo un periodo lungo ma ragionevole – il diluvio infine durò solo quaranta giorni – essi siano riusciti ancora, benché isolati dal mondo, a mantenersi vivi. Che abbiano attraversato oceani, circumnavigato afriche, traversato stretti. E che alla fine, all’alba di una mattina come tante altre, uno di essi – il vecchio a prua, quello che li ha guidati, quello che incredibilmente non ha mai perduto fede – improvvisamente si scuota, e gracchi la parola stentata che nella loro lingua significa “Isola! Un’isola là all’orizzonte!”. E che l’isola sia là davvero, e sia italiana, e sia Pantelleria.

I sopravvissuti al diluvio la guardano come non hanno guardato mai nessuno. Bevono l’ultima acqua, e si buttano ai remi. E in quel preciso momento una motovedetta armata si appresta (“Allarme clandestini!”) a salpare da qualche base. E una nuova camerata viene apprestata in qualche lager. E un nuovo articolo contro l’immigrazione clandestina viene frettolosamente vergato in qualche giornale. E tutto questo è per loro, poiché la tecnologia è efficiente e veloce, e già da qualche ora un radar li seguiva. Ma essi, che non lo sanno, fanno forza sui remi.

Peccato che siano giunti così tardi. Se fossero arrivati prima, ci saremmo commossi anche per loro.

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Binari. A Messina era impossibile trovare il binario del treno per Catania. Infatti: il tabellone era guasto; gli indicatori ai binari non funzionavano, sul pannello degli orari su carta c’era solo un foglio a pennarello “rivolgersi all’ufficio informazioni”. Qui: “Non è colpa nostra – spiegavano gentilmente – E’ che gli orari su carta non ce li hanno ancora mandati”. Stessa cosa a Catania. A Villa San Giovanni, la scala mobile che porta ai binari (vecchia e strettissima) è ferma come sempre; l’ultima volta che l’ho vista funzionare sarà stato nel ’96 o ’97. Sul traghetto hanno chiuso il bar, per risparmiare personale, e i marinai-ferrovieri sono tutti piuttosto anziani. In treno i posti prenotati non sono segnati da nessuna parte: si fa affidamento sulla cortesia dei viaggiatori perché cedano il posto a chi è prenotato, ma non ci sono i soldi per stampare gli appositi avvisi. Il treno è modernissimo, “completamente rinnovato” (recita il depliant) e con “nuovissime toilettes separate per i viaggiatori e le viaggiatrici”. Il rinnovamento consiste nel cambio delle fodere dei sedili. Le toilettes separate consistono in due adesivi di plastica “uomini” e “donne”. Coi soli soldi dei depliant avrebbero potuto almeno cambiare, se non altro, qualche arredo. A Roma la stazione nuova è scintillante, ma molti treni sono annunciati all’ultimo minuto. Vecchietti con valige e bagagli vari arrancano da un binario all’altro seguendo altoparlanti improvvisi. Le boutique, in compenso, sono molte e fanno affari. Se perdi qualcosa non c’è più un ufficio oggetti smarriti (sempre per risparmiare personale) ma devi rivolgerti a un ufficio del comune di Roma in periferia. Se non hai fatto il biglietto via internet la fila, qui come dappertutto, è molto lunga: di solito è aperto uno sportello su tre. E’ lunga persino a Bologna dove, in compenso, hanno aperto due McDonald’s alla stazione.

Gli incidenti sono l’aspetto finale della crisi della ferrovia: una crisi prima filosofica, di mentalità, e poi tecnica e professionale. Sul piano culturale, ideologia delle grandi opere invece del minuto funzionamento quotidiano. Sul piano tecnico, illusione di cavarsela coi ponti sullo stretto quando il problema vero è di rimettere in moto la scala mobile di Villa (per non parlare dei dispositivi antinebbia).

Colpa di Berlusconi, maledetto. Certo: ha inventato Previti, Dell’Utri e Lunardi. Ma lo sfascio era cominciato già prima, con Burlando, con l’alta velocità mitizzata e usata come alibi per ghettizzare i pendolari.

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Padri fondatori. Cassazione. Confermato il divieto d’espatrio per Vanna Marchi, una dei tre grandi protagonisti della prima emittenza “libera” italiana. Degli altri due, uno (Aiazzone) è morto in un incidente e l’altro (Berlusconi) ha fatto una discreta carriera.

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Giustizia. S’è tenuto a Catania un convegno su “Diritto di critica e libertà del cittadino”. Il dibattito, organizzato dai gruppi della società civile a Città Insieme, verteva sulla storia dell’avvocato Colonna, che da alcuni anni in qua è impegnato nella denuncia di alcune irregolarità nella gestione delle Procure di Reggio di Calabria, Catania e Messina. Per legge, un magistrato non può essere mai indagato da colleghi della sua città (il che è un bene), ma da quelli di una circoscrizione vicina, che però è sempre la stessa. Così, Catania viene indagata da Messina, Messina da Reggio e Reggio da Catania. Un circuito non sano, visto che i poteri d’indagine si bilanciano e, nei casi peggiori, possono ammortizzarsi a vicenda.

Di “casi peggiori” se ne sono verificati diversi e in particolare a Catania, dove i dubbi sui discutibili rapporti di qualche magistrato (peraltro tradizionali in quella città) sono stati sollevati da più parti: fra l’altro, e non precisamente a bassa voce, dallo stesso Colonna. Il quale dunque si era reso molesto a vari magistrati locali, fra cui alcuni calabresi. Questi ultimi, nel corso di una (meritoria) operazione antimafia, hanno “approfittato” dell’occasione per arrestare l’avvocato Colonna. Dico “approfittato” pesando bene la parola, visto che al riesame è emerso che l’arresto era stato motivato esclusivamente da reati d’opinione (le critiche giudici) senza alcuna connessione con i delitti indagati.

Una vicenda gravissima, di cui peraltro pochi si sono occcupati (il garantismo, in Italia, è privilegio nobiliare). La gravità non sta solo nell’episodio in sè, ma anche nel fatto che coloro che se ne sono resi responsabili hanno bene operato, in altri momenti e per altro verso, in altre cose. Come se Falcone, dopo avere denunciato i mafiosi, avesse approfittato del momento per “togliersi dei sassolini” e arrestare, poniamo, il tizio che gli aveva detto “brutto comunista”. Non tutti i magistrati, anche fra quelli impegnati, sono al livello professionale, responsabile e di cultura democratica e civile del nostro vecchio pool di Palermo. E questo, in prospettiva, ferisce più di un Castelli.

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E i giornalisti? Niente: se n’è occupato il solito Benanti. Il quale è ancora là, solo, senza sindacato e senza colleghi. La solidarietà di questi ultimi, localmente, si è manifestata sotto forma di lettera (“Basta con le mistificazioni”) di uno di loro, purtroppo di centrosinistra. Piantala di lamentarti, gli ha scritto, mica hanno trattato così solo te. E poi, di che inchieste parli? Poche chiacchiere, amico! Perché non guardi piuttosto le inchieste mie?

Ecco: a imbavagliare Colonna è stato un giudice che dall’altro lato, rozzamente, cerca di combattere i mafiosi. A reimbavagliare Benanti è stato un collega che in altri tempi ha fatto delle belle inchieste, e le ha pagate. I polli di Renzo, o una mutazione profonda?

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Intervista. “Congratulazioni, onorevole, l’hanno appena nominato sottosegretario. E’ un premio per aver proposto le legge salva-Previti?”. “Non ho condotto in porto solo la salva-Previti! Ho lavorato anche al falso in bilancio, a tanti altri provvedimenti!” (dai giornali).

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Prodi. Intanto Repubblica comincia a scrivere che in Italia il personaggio più ammirato dagli italiani di centrosinistra è Luca di Montezemolo (14 per cento, contro il 4 per cento di Prodi). E dagli italiani di destra? Fini, naturalmente, sopravanzando Berlusconi. Il tutto, in un “sondaggio”: ma potrebbe anche essere un ballon d’essai.

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Ds. Annullato per irregolarità manifeste il tesseramento della provincia di Enna (quella, per intenderci, dominata da quel Vladimiro Caminiti che scambiava cortesi telefonate con mafiosi). Il partito reagisce, non gliela lascia passare: buono. Falsi tesseramenti nella sinistra, come nella Dc anni Sessanta: no buono.

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“Ma lo chiamavan Drago”. L’ingenuo senatore Di Pietro s’incazza (e pretenderebbe che s’incazzasse anche Ciampi) perché hanno fatto sottosegretario Giuseppe Drago, condannato a tre anni per peculato (s’era appropriato fondi della regione). “Gratuite dissertazioni” commenta Drago, che è siciliano come la cassata, Cuffaro, il Palermo in serie A e Ciancimino.

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Campagna antifumo. Tutti liberi al processo dell’amianto (circa settanta morti fra gli ex operai delle Fucine Breda). Dei dodici dirigenti industriali imputati di omicidio colposo tre sono sono stati assolti e nove lasciati impuniti per prescrizione.

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Cronaca italiana. Una bambina morta di fame in un quartiere. Un barbone ammazzato dal camion in un cassone di rifiuti. Un emigrante carbonizzato nella baracca alla Casilina. Un piccolo di due mesi morto di freddo in uin campo Rom. La settimana prima c’era stata la neonata messa in vendita dai genitori poverissimi, a Roma: questa è finita “bene” perché un capo-zingaro avutone sentore s’è attivato, ha indagato e alla fine ha fatto arrivare la polizia. “Bene” significa che la piccola crescerà senza genitori e che i genitori passeranno qualche tempo in galera prima d’essere riconsegnati alla loro miseria abituale.

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Milano. Niente documenti, niente letto: vietato proprio ai più bisognosi l’ingresso nei dormitori comunali. Succede che i barboni “in regola” sono pochi, per cui molti letti restano vuoti mentre fuori c’è un sacco di gente che dorme sul marciapiede. Proteste delle associazioni assistenziali (City Angels, Fratelli di san Francesco ecc.) e sberleffi dell’assessore: prima le carte e dopo le persone. Sennò, dove vanno a finire Ordine und Disciplina?

L’assessore, però, è una compagna. O meglio, un’ex compagna (del manifesto, delle femministe, di rifondazione), quella Tiziana Maiolo che a un certo punto, da “proletaria” che era, si è scoperta “signora. Coi proletari ha fatto carriera politica, fregandogli i voti (“Io sono a sinistra di tutti gli altri!”) per farsi un nome, e scaricandoli quando il nome ormai se l’era fatto ed era tempo di passare all’incasso. Da “potere a chi lavora” a “grazie per averci dato Silvio” (alla mamma di Berlusconi). Ok, così va il mondo. Mica è la prima. Su queste cose, del resto, noi siamo vittorhughiani (Fantine, che vende il corpo, non è colpevole ma vittima della società: e dunque anche Tiziana, che di se stessa ha venduto molto di più). Soltanto, ci manca un Porta che le dedichi un sonetto (“Donna Fabia Fabion de Fabiann…”).

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Informazione. Acchiappano uno dei più grossi industriali di Reggio Calabria, “Ninì” Mauro, per usura. Il giornale locale, la Gazzetta del Sud, alla fine deve dare la notizia. Titolo: “Ma era obbligatoria la detenzione?”. Pezzo: “Ci si interroga sui contraccolpi commerciali per l’azienda simbolo dell’attività imprenditoriale reggina. E per questo sono sorti interrogativi sulla “mano pesante” dellamagistratura…”. Ecc. ecc. Proposta per l’ordine dei giornalisti: ma per un anno, a titolo sperimentale, almeno in Calabria, non si potrebbero mandare i giornalisti a fare il recupero crediti nei negozi e i picciotti a scrivere i pezzi sui giornali?

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Sicilia. Il record dei nuovi poveri è siciliano: il 25,5 per cento delle famiglie dell’isola (Italia: 10, 6 per cento) vive sotto il livello di povertà. La Sicilia è anche l’unica regione italiana dove sono calate le spese *alimentari* delle famiglie.

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Terrorismo. Ancora un rapimento di giornalisti pacifisti (o volontari pacifisti, o funzionari Ong pacifisti, ecc.) in Iraq. Florence Aubenais, di Liberation, stava lavorando fra l’altro su Falluja.

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stella <giopal84@tin.it> wrote:
< INFANZIA, PATRIMONIO DELL’UMANITA’
Occorre proteggere tutta l’INFANZIA del mondo perchè essa è “Il cuore del Sacro” Tutte le politiche devono convergere verso questo obiettivo. Noi sottoscritti CHIEDIAMO, a partire dal 30 dicembre 2004, che l’INFANZIA sia dichiarata “PATRIMONIO DELL’UMANITA'” e la sua tutela, a cura di tutte le nazioni del mondo, dovra’ essere anteposta a qualsiasi altra tutela di beni materiali e immateriali >
Bookmark:

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tillneuburg@virgilio.it wrote:
< Nonostante le notizie che ci arrivano da lontano, qui a Milano e dintorni c’era oggi un sole splendido. Pertanto ti mando un pensiero il più solare possibile. Desidero che durante i prossimi 365 giorni, la nostra amicizia sia premiata da bei momenti. Che si possa sorridere qualche volta, rimanere stupiti da idee belle, che in tranquillo silenzio ci sia consentito di ascoltare e guardare persone, cose, suoni, animali, piante, cieli e eventi che ci portano chissà dove. Con la testa, con le gambe, con la panza >

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nelik@tin.it wrote:
< “L’ultimo personaggio analogo in un paese democratico e occidentale si chiamava Lavrenti Berja ed e’ stato istituito nel 1936”. Tutto si può dire tranne che la Russia del ’36 fosse un Paese democratico >

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Ma davvero? :-)

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Paolo G. wrote:
< Mi sono trovato questa cosa: “Non è la libertà che manca: mancano gli uomini liberi”. Credo sia di Leo Longanesi. Ciao >

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Fabio wrote:
< Ciao! Io sono di destra ma credo fermamente nelle libertà e nel giornalismo, quindi vorrei ricevere la tua ezine >

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Questa settimana è impossibile pubblicare altre lettere: ne sono arrivate centodieci, la maggior parte di lettori di Clarence che vogliono essere iscritti alla e-zine, e non sono assolutamente riuscito a selezionare le più significative (Fabio: tu magari non lo sai, ma ragioni esattamente come uno dei peggio communisti, Voltaire). Grazie anche a tutti gli altri, anzi non un grazie ma una stretta di mano; e andiamo avanti.

Quest’anno, cercheremo di fare qualcosa in più oltre alla Catena, di ricominciare a lavorare anche per il famoso nuovo “giornale” di cui parliamo da tempo (sulla lista “lavori in corso” e poi in varie altre occasioni, alcune anche abbastanza operative).

Un giornale? Di carta? Un pdf? Carta e web? Ogni quanto? Perché? Che prodotto? Con chi? Con che soldi? Sono tutte domande che ci poniamo abbastanza seriamente da molto tempo (sono state anzi il filo conduttore degli ultimi dieci anni), come sanno gli amici che hanno avuto più strettamente a che fare con le nostre mattane. Adesso, credo che sia arrivato il momento di riprovare a quagliare un poco, nel corso di quest’anno, poiché la domanda è matura, sono in tanti a porsela e sono maturi sia il mercato che la tecnologia. Personalmente, la cosa mi fa un po’ paura (sono pigro ormai, ed è molto più divertente scrivere che organizzare), ma credo di aver rimosso già abbastanza l’anno scorso.

Perciò, cominciamo a discuterne, ma professionalmente. Io non ho ancora molte risposte, ma ho delle ottime domande. Ho le idee chiarissime solo su quel che non dobbiamo fare: non dobbiamo fare un altro Manifesto/Liberazione/Carta (ce n’è già abbastanza), non dobbiamo fare un giornale “di sinistra”, dobbiamo essere profondamente giornalistici, non dobbiamo essere giornalisti.

Dobbiamo pensare a un prodotto che tecnicamente non esiste ancora, eppure quando apparirà sarà l’uovo di Colombo. Una delle chiavi è rinunciare al “giornale” come oggetto fisico circoscritto; il “giornale” di domani sarà un flusso fatto di diversi oggetti, alcuni virtuali e altri no, con un ritmo strano (per noi oggi) ma naturale.

Stavolta, probabilmente, discuterne in pochi e al chiuso non sarà sufficiente. Perciò mi sembra utile gettare una palla qui. Non mandatemi articoli, curriculum e poesie. Mandateci idee. Per gli” iniziati”, stiamo cercando di riprendere lo studio sul doppio binario professionale/civile (Siciliani/SiciGi, Avvenimenti/Alba), sul prodotto modulare (progetto Zeta), sulla pagina-storiadivita (“Lavori in corso”) e su altre cose che ci stanno succedendo tutto attorno. Selliamo Ronzinante, perché quest’anno si fa un altro tentativo.

Agli amici di Reporter Associati, di Punto Informatico, di Peacelink, di Megachip, di Macchianera: state facendo un ottimo lavoro in settori determinati e precisi, ognuno dei quali è fondante. Non si può fare un “giornale” (ma le state notando, le virgolette?) senza nessuno di voi. Però la sintesi non viene dall’allargamento di un singolo settore, per vitale che sia. L’idea-base di Repubblica era: “hanno inventato la fotocomposizione”. Tecnica? No, profondamente politica. Chi è la fotocomposizione ora?

(Continua, continua…)

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Giovanni Roboni (Corriere, 16 nov.) wrote:

Canzone del danno e della beffa

< Stillicidio di delitti, terribile:
si distruggono vite,
si distruggono posti di lavoro,
si distrugge la giustizia, il decoro
della convivenza civile.
E intanto l’imprenditore del nulla,
il venditore d’aria fritta,
forte coi miserabili
delle sue inindagabili ricchezze,
sorride a tutto schermo
negando ogni evidenza, promettendo
il già vano promesso e l’impossibile,
spacciando per paterno
il suo osceno frasario da piazzista.
Mai così in basso, così simile
(non solo dirlo, ma anche pensarlo duole)
alle odiose caricature
che da sempre ci infangano e sfigurano …
Anche altrove, lo so,
si santifica il crimine, anche altrove
si celebrano i riti
del privilegio e dell’impunità
trasformati in dottrina dello Stato.
Ma solo a noi, già fradici
di antiche colpe e remissioni,
a noi prima untori e poi vittime
della peste del secolo
è toccata, con il danno, la beffa,
una farsa in aggiunta alla sventura >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)