San Libero – 220

1 marzo 2004 n. 220

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Giornale radio. Il governatore della Banca d’Italia si è dimesso e ha deciso di dedicarsi alla contemplazione religiosa in un convento del viterbese. “All’improvviso mi sono reso conto che il denaro non è tutto nella vita. Specialmente quando ho cercato di rivendere i bond Parmalat che un signore dall’aria simpatica mi aveva venduto al mercatino a Forcella”. Il ministro della Morale Pubblica Fini ha invitato i colleghi di governo a passare dalla cocaina alla canapa indiana: “Così almeno non diamo troppo cattivo esempio ai giovani, e fra l’altro s’incrementa l’agricoltura”. Il capo dell’Opposizione di S.M. Fassino s’è sforzato per quasi due ore di dire qualcosa di sinistra: non c’è, con suo rammarico, riuscito, “Ma per lo meno – ha dichiarato orgoglioso – ci ho provato”. Il presidente del Consiglio Berlusconi ha deciso di abbandonare temporaneamente la carica per partecipare invece al festival di Sanremo con la sua “Amami amore mio amami tanto”. In Consiglio lo sostituirà provvisoriamente il collega Mariano Apicella. Calano i prezzi di arance, assicurazioni auto, Cd, barbabietole, affitti, biglietti ferroviari e pomodori: da un sondaggio Ue Milano risulta adesso la città meno cara d’Europa. Arrestato dall’Fbi l’ex presidente degli Stati Uniti George Bush, per complicità nei bombardamenti chimici (su curdi e Iran) effettuati da Saddam Hussein negli anni Ottanta. Arrestato dall’Fbi, nei ritagli di tempo, anche il presidente attuale, George Bush, per una serie di intrallazzi finanziari compiuti in connection fra la sua “Arbusto Inc” e alcuni banchieri sauditi vicini alla famiglia Laden. I due si trovano adesso nella base di Guantanamo in attesa di essere trasferiti rispettivamente ad Alcatraz e Sing-Sing. Appello ai giovani di Karol Woytila: “Fate l’amore, non fate la guerra”, con distribuzione gratuita di contraccettivi in piazza san Pietro. Un aumento del quarantacinque per cento, su sollecitazione dalla Confindustria, è stato approvato dal governo per pensionati, metalmeccanici e tranvieri. Hanno finalmente saldato i loro debiti, dopo anni di attese e di inutili trattative, tutti i (non pochi) editori che debbono dei denari al vostro signor O. Abbiamo trasmesso: oggi trenta febbraio, le notizie. Previsioni del tempo: nebbia in Val Padana. Il santo del giorno: San Giammai.

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Cococò e Cococà. Il lavoro interinale è una cosa bellissima, se fai il cococò sei un ragazzo felice, piantiamola di cercare il pelo nell’uovo e basta con queste accuse assurde di “precarietà”. Non è Tremonti a dirlo e neppure D’Alema: è proprio quel che penso io e credo che nel giro d’un paio d’anni lo penserai anche tu. Qua nella vecchia Europa ancora facciamo ancora gli schizzinosi: in America invece hanno superato da un pezzo lo stadio del lavoro temporaneo e stanno già applicando su larga scala i “nuovi” contratti a tempo lungo: minimo tre anni, ma puoi arrivare anche a venti.
L’unico particolare è che, per ottenere un contratto del genere, devi stare in galera. Già, perché il lavoro dei carcerati (“jail job”) è il nuovo trend negli Stati Uniti: è stato già adottato da dieci Stati su cinquanta e, dove lo è stato, va dando ottimi risultati. Il che è logico, tenuto conto che la popolazione carceraria globale in quel Paese è vicina ai due milioni d’individui e che, tolti i vecchi, le donne, i white collars, i militari e i bambini, non si capisce dove le aziende dovrebbero andare a cercare i lavoratori di cui hanno bisogno, se non nei penitenziari. I quali ultimi, in buona parte già privatizzati, costituiscono già di per sè un bel giro d’affari.
Qualche anno fa destò sensazione (s’era all’inizio della new economy) l’outsourcing spinto di parecchie multinazionali che cominciarono a spostare non solo gli stabilimenti industriali ma anche gli uffici amministrativi, i call-center ecc. in paesi in cui la manodopera anche impiegatizia costava meno. La prima a spostare gli uffici prenotazione a Delhi fu la Swissair (poi fallita); quanto ai call-center, a un certo punto diventò uso abbastanza comune quello di trasferirli aumma aumma in India, non senza però aver sottoposto le ragazze ad accurati corsi di dizione (dovevano parlare non solo in inglese, ma anche con uno specifico accento West Coast o New England, secondo i casi) e ordinar loro di presentarsi ai tele-clienti con nomi anglosassoni e false località di chiamata.
Adesso cominciano a spuntare i primi call-center fisicamente ubicati non a Bangalore o a Delhi ma nel cuore dell’Oregon, dentro un penitenziario statale. I clienti, naturalmente, non lo sanno (come non sapevano che Nancy o Paulette in realtà chiamavano da Bangalore): risponde una cortese voce da funzionario, dà le informazione richieste, rimane educatamente in attesa, e quando non hai più niente da chiedergli, prima di riattaccare, ti saluta. Rispetto ai call-center normali (che già costano un quarto dei lavoratori di prima) il cococò carcerario costa un niente: Insides Oregon, società di lavoro “da dentro”, ai suoi dipendenti fattura a partire da 0,15 dollari l’ora; e non c’è sindacato.
Non c’è il minimo dubbio che questa bellissima riforma prima o poi sbarcherà, come le rimanenti, anche in Italia. Verranno istituiti i Cococà (Contratti di Collaborazione Carceraria) rispetto ai quali i vecchi Cococò sembreranno dei privilegiati, con la fortuna di poter essere in qualunque momento rispediti con un calcio nel sedere in mezzo alla strada. Mentre i poveri Cococà, per riveder la strada, dovranno aspettare il fine-contratto, cioè il fine-pena.

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Chi controlla la Coca-Cola. La Pepsi avanza. Perciò salta il megamanager della Coca-Cola, l’ormai non più vincente Douglas Daft. Tanti anni fa – una ventina mi sembra, ma forse più – ci fu un problema analogo fra Coca e Pepsi: allora la Coca-Cola era un’azienda estremamente conservatrice, manager tutti wasp, che solo da poco aveva cautamente unificato le proprie campagne pubblicitarie (prima erano due, una per i bianchi e una per i neri). A un certo punto, al vertice della società arrivò un giovane – e ovviamente spietato – manager quarantenne, senza cravatta, coi baffetti e addirittura di vaghe origini latine. Costui, come insediato, prese in pugno la situazione e affrontò subito la crisi. Formò un comitato tecnico con i migliori chimici americani per analizzare scientificamente fino all’ultima bollicina della PepsiCola. Chiamò gli psicoanalisti più rinomati – anch’essi organizzati in un’apposita task-force – per farsi spiegare con precisione che cosa quei bastardi di giovani credessero di trovare nella Pepsi. Assoldò esperti di pubblicità subliminale, pubblicitari incalliti, superguru del marketing e quant’altro. Infine tutti questi esperti – pagati un quintiliardo l’ora, dotati di tutte le tecnologie più evolute – presentarono il rapporto finale: la concorrenza vinceva per questo, questo e quest’altro. Per batterla bisognava fare un prodotto che avesse queste, queste altre e queste altre ancora caratteristiche.
Detto, fatto. Il nostro supermegamanager immediatamente spedì una serie di ordini, e nel massimo segreto i tecnici della Coca-Cola elaborarono una nuova formula efficientissima, con cui la Coca-Cola acquisiva il numero di bollicine della Pepsi e una in più, l’esatto contenuto di zucchero ma ancor più calibrato, le esatte percentuali di caramello, di glucosio, di anidride carbonica e di tutti quegli altri ingredienti che non conosciamo (e che, tutto somamto, è meglio per noi non conoscere) e che danno il caratteristico gusto alle bevande del tipo Cola. Alla fine, la nuova Coca fu pronta: naturalmente, non la misero in vendita subito ma prima commissionarono un’apposito studio di marketing con modelli psico-matematici dell’intera popolazione americana, armarono una faraonica campagna di lancio – i cui testimonial erano i Beatles, Napoleone, il Presidente Lincoln e, nella fase finale, Dio in persona – e finalmente la gettarono sul mercato: la Coca-Cola Dei Giovani, la Nuova Coca-Cola, la Coca-Cola Del Domani. Tiè!
In un paesino del Tennessee, nell’unico bar locale, un tizio che non si sa chi sia – lo chiameremo Jim Redneck, tanto per dargli un nome – stappò una bottiglietta di (new) CocaCona, rifiutò – come faceva da trent’anni – il bicchiere, se la portò alla bocca e come da trent’anni faceva se la mandò giù a garganella. Dopo un minuto ruttò (anche questo lo faceva da trent’anni) ma stavolta, dopo aver ruttato, invece della consueta espressione di beatitudine che sempre lo pervadeva in questi casi gli si disegnò sulla faccia un’espressione nuova e strana: un’espressione sorpresa. Dopo un altro minuto Jim Redneck del Mainstreet Bar di Bugsville Tenn. aprì disgustato la bocca e pronunciò: “Bleah!”.
Da quel momento in poi le sorti del nuovo prodotto, e quindi della Coca-Cola e dunque (“Ciò che è bene per la GM è bene per gli Stati Uniti”, Robert McNamara, 1965) dell’intera Nazione, cambiarono rapidamente. Su istigazione del vecchio Jim, i frequentatori del bar fondarono un Good Old Coca Committee, un comitato per il ritorno alla vecchia cocacola. Il comitato aprì la sede nel retrobottega del bar, sotto i ritratti di Jeff Davis e Linda Lovelace; si estese al villaggio vicino, e poi all’intera contea. Nel giro di un mese il Committee copriva già l’intero Tennesse e cominciava a estendersi in Georgia e in Alabama. La sede di Chicago fu aperta due mesi dopo. A ottobre era su tutti i giornali. A dicembre il supermegamanager innovatore (di cui, non a caso, non è sopravvissuto il nome) riunì il consiglio d’amministrazione e, circondato su ogni parete da grafici delle vendite puntanti al pavimento, guardato da dodici paia accusatorie di occhi manageriali, davanti al sorriso viscido del manager candidato a succedergli (che poi era il suo vicino di ranch e amico di barbecue), tossicchiò un paio di volte, cercò invano un minimo segno di pietà sui visi, attorno al tavolo, degli altri lupi e infine farfugliò umilmente: “Signori… ehm… visto com’è andata la campagna… uhm… io… ahem… mi dimetto”.
Così nacque e morì la Nuova Coca-Cola, la Coca-Cola Rinata, quella che avrebbe dovuto distruggere il Grande Nemico Pepsi e unificare il pianeta sotto un solo Impero. Oggi sopravvive, per un mercato di nicchia, col nome – se non andiamo errati – di DietCola o qualcosa del genere. Al Mainstreet Bar di Bugsville l’ormai vecchio Jim Redneck in questo momento sta stappando la terza lattina della giornata e fra un minuto esatto – se tutto va bene – rutterà soddisfatto. Altrimenti, saranno cazzi amari per il nuovo supermegamanager, per la Coca-Cola, per il Governo degli Stati Uniti e, per come si sono ormai messe le cose, per l’intero pianeta noi compresi. Perché quella è una democrazia, amici miei.

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Beati i pacifici. Fassino: “Io sono pacifista ma voto per tenere i soldati in guerra”. Caruso: “Io sono pacifista ma prendo a ceffoni chi non è pacifista”.

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Esprit militaire. “Armatevi e partite. Se viene il nemico mandatemi un sms. Io sono a farmi il lifting o dal commercialista”.

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Nuove tasse. Due – forse – rientreranno per l’opposizione suscitata subito fra la gente. La prima, sui libri in prestito nelle biblioteche; la seconda, sul raccordo anulare di Roma. Delle due, la tassa sui libri è la più bella e significativa: il libro è un lusso, leggere è un optional e se siete ignoranti tutto sommato è meglio: per votare i miei slogan non serve una gran cultura. La seconda è semplicemente la riproposizione del vecchio balzello feudale su ponti, piste carrabili, strade (quelle che c’erano) e mulattiere. Vuoi passare di qua? E’ un privilegio, un soldo e il signore benignamente te lo concede. Nell’uno e nell’altro caso, miracolosamente, qualcuno ha sgamato quel che bolliva in pentola, i giornali si son riempiti di lettere di protesta (più lettere che inchieste: i lettori ormai cominciano a essere più attenti dei giornalisti), e per stavolta gli è andata buca. Occhio alle prossime, che non mancheranno.

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Il Dibbattito. Salvo Andò, l’ex braccio destro di Craxi per la Sicilia (e i servizi segreti, e un po’ di altre cose), è rientrato alla grande nel giro Vip della sinistra perbene, che ormai fa a gara per averlo nei suoi convegni. Gli ultimi: a Catania con Emanuele Macaluso (tema: la storia del Pci); a Giarre con Antonio Pioletti (tema: il, come lo chiamano fra di loro, “riformismo”.

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Sanremo, Nevada. “I cantanti italiani? Cagasotto” secondo Tony Renis, il simpatico cantante italo-americano scelto giustamente – in quanto assolutamente rappresentativo del momento attuale – a presentare il festival di Sanremo. Un giornale titola pericolosamente: “Renis spara sui cantanti che boicottano Sanremo”. Sparare? Ehi, amico, non fargli venire certe idee, al Tony: quello è amico di Joe Adonis e della Famiglia Gambino.

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Capitalismo. La foto del Che col basco è bellissima soprattutto perché il fotografo, che avrebbe potuto farci i miliardi, preferì restar povero e non ne chiese niente. Bravo il fotografo – Korda – bravo il Che e brava Cuba. Adesso però quella stessa foto rischia di far chiudere nientemeno che Reporters sans frontieres, uno dei pochissimi soggetti onesti, e di sinistra, dell’informazione internazionale. Perché? Rsf aveva messo la famosa foto su un manifesto che denunciava, stavolta, la repressione dei giornalisti proprio a Cuba. Gli eredi del fotografo (che non c’entrano niente nè col Che nè con la foto, ma che capitalisticamente ne detengono i diritti) hanno fatto causa a Reporters sans frontieres e vogliono un miliardo di euri da loro. Se vincono la causa, addio Rsf e addio denunce dei bavagli ai giornalisti in più di cento paesi. La causa, probabilmente, è stata sollecitata dall’ormai rimbambito Fidel Castro. Fortunato il Che, ad essere morto per i compagni quand’era ancora un compagno.

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Nuovi poveri. Non è che Bush si sia poi fatto tutti ‘sti gran soldi, con ‘sto mestiere. Nella classifica dei politici più ricchi del mondo, quella fatta ogni anno da Forbes, il povero George W. figura a stento, con appena quindici milioni di dollari. Il nostro signor B. lo surclassa, con dieci miliardi di dollari tondi tondi: da mangiarsi una Parmalat tutta intera, e ancora gli avanzerebbero gli spiccioli per la mancia. Sarebbe più giusto che lo mettessero a governare gli Stati Uniti (“Forza America”) mentre Bush sì e no potrebbe governare la regione Abruzzo. Per giustizia, tuttavia, dobbiamo ammettere che il politico più ricco del mondo non è il Nostro ma lo sceicco Zayed Bin Sultan Al Nahyan, che di miliardi di dollari ne ha venti. Per fortuna lo sceicco non ha mai sentito parlare dell’Italia, sennò per lui sarebbe un gioco da ragazzi comprarsi Roma, fondarci un Forza-Qualcosa e diventare dunque Presidente del Consiglio, Capo delle Tv, Presidente del Milan e un sacco di altre cose. Fra gli altri politici se la passano benino Jacques Chirac, Tony Blair, la regina Elisabetta, un certo signor Mohammed Bin Rashid che non ho il piacere di conoscere, un tale Junichiro Koizumi che non so chi sia ma dev’essere l’inventore del Tamagochi e, con i suoi centocinquanta milioncini di dollari, un certo Fidel Castro. Assenti tutti gli altri politici italiani, per la maggior parte assistiti dalla Caritas. Assente pure Saddam Hussein, che l’anno scorso in classifica c’era ma poi ha avuto certi problemi con alcuni suoi soci in affari.

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Cina. Altri quaranta minatori intrappolati o uccisi da un’esplosione in miniera, verificatasi nel distretto dello Heilongjiang e causata anche stavolta da insufficienti misure di sicurezza. Circa ottomila minatori sono morti l’anno scorso in incidenti (o meglio omicidi) simili in Cina.

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Verginità. “I preservativi non sono sempre sicuri e le persone sposate hanno più denaro, una vita più lunga e rapporti sessuali migliori”. La frase compare sul verso del tesserino plastificato distribuito da Abstinence Clearinghouse, un movimento che riunisce vari gruppi integralisti (finanziati anche dal governo: l’anno scorso il contributo stanziato era di 135 milioni di dollari) in America con lo scopo di diffondere fra i giovani l’idea dell’astinenza sessuale prematrimoniale. Sul recto compaiono invece foto, firma e nome della ragazza (o del ragazzo) titolare del tesserino, che s’impegna a osservare fino alla data del matrimonio i principi del movimento. Un certificato di verginità, insomma. L’idea dovrebbe piacere molto dalle parti dei talebani, e forse se al posto delle bombe avessero buttato giù pacchi di questa roba oggi gli Stati Uniti in Afganistan sarebbero molto più popolari.

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Cuore. Ieri intanto è venuto a trovarmi a casa S., quello basso e magro, col viso sorridente e gli occhi piccoli e furbi, che par che frughino per tutto. E’ un bell’originale. Egli conta sempre i soldi che ha in tasca, conta sulle dita lesto lesto, e fa qualunque moltiplicazione senza tavola pitagorica. E rammucchia, ha già un libretto della cassa di risparmio. In iscuola traffica sempre, fa ogni giorno vendite d’oggetti, lotterie, baratti; gioca ai pennini e non perde mai; ha un quadernino dove nota i suoi affari, tutto pieno di somme e di sottrazioni. A me piace, mi diverte. Dice che appena finite le scuole metterà su un commercio nuovo che ha inventato lui e si chiama “televisione”. Mio padre, fingendo di legger la gazzetta, lo stava a sentire, e si divertiva. Egli ha sempre le tasche gonfie delle sue piccole mercanzie, e par continuamente sopra pensiero e affaccendato, come un negoziante. I compagni gli danno dell’avaraccio, dell’usuraio. Io non so. Coretti, il figliuolo del rivenditore di legna, dice ch’egli non darebbe i suoi soldi neanche per salvar la vita a sua madre. Mio padre non lo crede. – Aspetta ancora a giudicarlo, – m’ha detto; – egli ha quella passione; ma ha cuore.

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In treno. L’odioso ragazzino con l’odioso cappelluccio da baseball gli odiosi capelli rapati e il telefonino chè però – guarda, guarda – sta leggendo il Visconte dimezzato. Uhm.

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Offerta di lavoro. “Agenzia di comunicazione a livello nazionale cerca talentuoso account jr”.

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Parole. Malinconia (sonata au-clair-de-lune, Guidogozzano, Ennio Flaiano, Leopardi), spleen (Baudelaire, Lord Byron che va a morire in Grecia), cafard (ah! quel bistrot!), saudade (complicatissimo: un mal d’Africa che alla fine produce rivoluzioni a Lisbona). Tutto questo, tecnicamente, oggi è diventato “depressione”, con relative pillole.

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Parole perdute. “Ragionevole”.

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Incipit – di non so che cosa. Adriano Sofri, che era il mio comandante quando ero in Lotta Continua insieme a Peppino Impastato e a Mauro Rostagno…

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Cronaca. Parma. Multata per eccesso di velocità una donna che dopo aver caricato sull’auto un cane ferito lo stava portando a tutta velocità al pronto soccorso. Il ricorso della donna (che ha perso due punti sulla patente) è stato respinto perché “non si può applicare lo stato di necessità per un animale”.

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Spot. Compie tre anni Redattore Sociale, l’unica agenzia giornalistica italiana che si occupa degli italiani non-Vip e della vita che fanno. Completamente rinnovato, per l’occasione, il sito.
Bookmark: www.redattoresociale.

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Spot. E’ nata RadioQanat: trasmette da Palermo ma la prendi sull’internet (streaming). Prova un po’.
Info: killerina@inventati.org
Bookmark:

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Spot. Catania, 1 marzo ore 19 presso Città Insieme (via Siena 1), convegno su “Emergenza Giustizia e attese dei cittadini”. Intervengono: Enzo Guarnera, Nello Neri, Giambattista Scidà. Organizza: Siciliani per la Legalità.

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Stefano wrote:
< Consigli per ecologisti non disposti a fare troppi sacrifici, ovvero: sette buoni motivi egoistici per dare una mano al pianeta.
1. Mangiare meno carne, giusto di domenica. Oltre a far male consuma un sacco di energia per essere prodotta.
2. Andare a piedi, o parcheggiare lontano da casa. Sembra una stupidata, ma poi ci si prende l’abitudine (ci si abitua a tutto, diceva Falcone) e diventa bello. E poi c’è la bicicletta..
3. Comprare roba che dura molto o roba usata ai mercatini. Effetto molto ecologico sul conto in banca.
4. Comprare auto usate. Con un’auto nuova appena l’ammaccate un pò avete già perso buona parte dei vostri soldi. “Ma così è sempre dal meccanico”… Beh, meglio dare i soldi a un buon meccanico.
5. Auto a metano. Consuma un quarto dei soldi ed emette meno CO2 di ogni altro combustibile. E il motore dura molto molto di più.
6. Usare il treno. Si arriva più riposati ed è più sicuro.
7. Iscriversi al partito dei verdi in massa, e buttare fuori gli attuali dirigenti. Costa poco e dà soddisfazione >

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Fabio wrote:
< Sono di sinistra proprio come tutti quei liceali francesi che sono stati pronti a scendere in piazza contro l’estrema destra. Io non mi riscontro nel pds e neanche in rifondazione comunista, però purtroppo oggi abbiamo solo questi di sinistra e per cercare di combattere il cavaliere berlusconi eletto dai siciliani a piena maggioranza (e questo dovrebbe far pensare molto), bisogna votare coloro che si oppongono anche se solo di facciata vedi d’alema, fassino rutelli e bertinotti. Vorrei anche ricordare a tutti i lombardi berlusconiani e bossiani e antimeridionali che il berlusca governa grazie al meridione e alla sicilia che l’ha votato in maggioranza assoluta. Il sottoscritto è stufo di guardare telegionali tutti uguali, di posti liberi come la Catena ve ne sono pochi e quei pochi per far leggere o esprimere il proprio pensiero, sì anche di parte ma forte libero e democratico, vengono messi a tacere perché scomodi. Chi scrive è un siciliano antiberlusconiano convinto, sono tra i pochi che nella mia amata sicilia non lo ha votato. >

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marcochiletti@libero.it wrote:
< Perché l’informazione, indispensabile cibo per la mia mente, dovrebbe sfuggire alla medesima legge del mercato cui sono sottoposti gli alimenti che io produco ed il cui nome è stato usurpato da ignobili surrogati industriali? >

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Paolo wrote:
< Gentile signor O., dal mio punto di osservazione un po’ defilato – vivo e lavoro in Francia da anni – mi sembra che essenzialmente l’attuale situazione italiana si possa ricondurre a due fatti fondamentali:
1) per una serie di ragioni (soprattutto di ordine storico, a mio parere), l’Italia presenta una percentuale insolitamente alta di “cittadini amorali”; un sondaggio di Repubblica ne forniva una percentuale compresa, se ben ricordo, tra il 20 e il 30 per cento;
2) il sistema democratico – in tutti i paesi: vedi Usa – diventa instabile, deviante e pericoloso quando la percentuale di cittadini amorali sale sopra una certa soglia: nel medio termine questa condizione (scuole scadenti, media in mano a giornalisti privi di deontologia, politici che danno esempi negativi) si traduce in governanti la cui soglia di amoralità è a sua volta molto alta. In questo senso Berlusconi è davvero un rappresentante legittimo degli italiani: uno specchio, del tutto fedele, della loro amoralità.
Io vedo per il nostro paese un futuro essenzialmente marginale, in cui le nostre province saranno ormai deindustrializzate come il resto dell’Europa ma, a differenza di esso, completamente spoglie di ogni presidio nel dominio fondamentale della ricerca scientifica e tecnologica. Un campo di villeggiatura per i grandi paesi europei del nord, dove verranno prese le decisioni. Anche la mia evoluzione personale mi spinge al pessimismo: avendo avuto per fortuna ottimi insegnanti ho sempre amato molto il nostro Stato, la nostra Costituzione e le idee che rappresenta; quando sono partito dall’Italia davo per scontato il fatto che dopo qualche tempo ci sarei tornato; ora invece comincio ad apprezzare il fatto di vivere qui in Francia, in un paese dove c’è ancora qualcuno capace di indignarsi per i valori fondamentali della buona educazione, della buona politica e della buona democrazia. Insomma, Lei che ne dice? La ringrazio se mi risponderà, tenga duro >
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Condivido in generale la Sua analisi. Io però non parlerei senz’altro di comportamento amorale; direi piuttosto che, per ragioni storiche, gli italiani hanno radici etiche molto più familiari che cittadine. Questo rende molto difficile imporre comportamenti collettivi in circostanze normali. In circostanze eccezionali, in cui la stessa sopravvivenza del nucleo familiare è minacciata, gli italiani riescono invece a sviluppare dei valori collettivi insolitamente alti. Penso alla Resistenza o, in forma più parziale, all’antimafia in alcune città della Sicilia. In più, in Italia è arrivata tardi, ed è rimasta esile molto a lungo, la borghesia, in particolare quella fondata sulle professioni e sul servizio di Stato. In Francia il pubblico funzionario esiste da trecento anni. In Italia, da meno di cento. Il servizio pubblico distinto dal notabilato da noi è un’aquisizione culturale molto recente. “Arrangiarsi”, in questo quadro, significa cercar di ridurre le conseguenze negative per il proprio nucleo familiare della riconosciuta instabilità del sistema. Non è necessariamente un comportamento ostile alla comunità: semplicemente, non riconosce l’esistenza della comunità oltre un certo livello. È dunque un’ideologia prepolitica: io tendo a considerare Berlusconi – in questo, concordando pienamente con Lei – non come un esponente di destra, ma come un prodotto di quella fuga dalla politica e dal collettivo che è profondamente radicata nella cultura italiana. Il guaio non è tanto Berlusconi – penso spesso – quanto il berluschino che sta dentro ciascuno di noi.
Naturalmente questo fenomeno, come ogni altro altro, non durerà in eterno. Ogni male ha un decorso, e anche l'”amoralismo” italiano è destinato prima o poi a scomparire. Purtroppo, non credo che ciò avverrà nel corso della mia vita: Le auguro che avvenga nel corso della Sua. Sotto altri aspetti, la mentalità italiana è bella e umana, e forse per le stesse radici. Non so: mi piacerebbe un’Italia ordinata, non mi piacerebbe un’Italia svizzera; l’ideale sarebbe un’Italia che riuscisse finalmente a diventare civile restando umana. Ma temo che la tendenza non sia questa.

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Umberto B. <arian@padan.de> wrote (nel ’95):
< Questo partito è messo in piedi da una banda di persone che lo controllano nascosti dietro paraventi, non rispettano le regole della Costituzione, chiamano golpista il Presidente della Repubblica, svuotano di potere il Parlamento e vogliono fare un esecutivo senza nessun controllo superiore. Inoltre usano le televisioni, che sono strumenti politici messi insieme da Berlusconi quando era nella P2, secondo il progetto di Gelli >.

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Hermann Goering <bigpig@demon.inf> wrote:
< …Perché naturalmente la gente non vuole la guerra. Ma d’altronde sono i capi del paese che decidono la politica e c’è un modo semplice di trascinare la nazione, sia che si tratti di una democrazia, o di una dittatura fascista o parlamentare o di una dittatura comunista… La gente può essere sempre portata sotto il comando dei capi. Ed è facile. Tutto quello che devi fare è dirgli che siamo stati attaccati e denunciare i pacifisti di mancanza di patriottismo e di esporre il paese al pericolo >

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C.B. <spleen@ideal.fr> wrote:

< Spesso, così per noia, la gente d’equipaggio
fa prigioniero un albatro, grande uccello dei mari
che va dietro, indolente compagno di viaggio,
alla nave che scivola sopra i vortici amari.

Ma appena l’hanno preso e posto a terra, anche
questo re dell’azzurro, adesso lento e stanco,
lascia penosamente quelle grandi ali bianche
come dei remi inutili penzolargli dal fianco.

Quel viaggiatore alato, com’è laido qua a riva!
Lui, prima così bello, com’è goffo e banale!
Uno gli forza il becco e c’infila una pipa,
Un altro sghignazzando fa il verso al suo ansimare.

All’albatro somiglia che sfreccia fra gli spazi
chi sfida la tempesta creando poesia.
Esiliato giù in terra fra le beffe e gli strazi
le ali troppo grandi gl’impacciano la via. >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)