San Libero – 175

21 aprile 2003 n. 175

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Scusate: stavo scrivendo seduto a un tavolino di bar, vicino a piazza Vittorio dove – come sapete – ci sono molti cinesi: botteghe, ristoranti, quasi un angolo di Pechino. Mentre dunque me ne sto a scrivere, con accanto Repubblica e la tazzina di caffé davanti, all’improvviso mi sento, come dire, osservato. Alzo lo sguardo e ti vedo un cinese, un tipo autorevole sulla cinquantina. Resta in silenzio un attimo e poi fa: “Senti un po’, muso bianco, non l’hai visto il cartello?”. “Ehi! Che cazzo dici?”. Quello fa un cenno e spuntano due marcantoni grandi e grossi che mi afferrano per le ascelle e mi tirano via dal tavolino. Nel bar tutti sorridono; i camerieri sono italiani, ma non osano intervenire. Mentre mi buttano a calci fuori dal locale, faccio in tempo a sbirciare (c’è effettivamente) il cartello: “VIETATO L’INGRESSO ai cani e agli italiani”. “Ehi! – penso rabbiosamente – ma siamo a Roma! Davanti a Santa Maria Maggiore! A un passo dal Quirinale e dal Colosseo!”. Ma sono già per terra sul marciapiede, con qualcuno che mi scaraventa addosso la mia tazzina di caffé semivuota. La gente, nella bella primavera romana, tira via indifferente, a loro non importa mica quel che può capitare a un italiano qualunque a Roma. In questo quartiere, del resto, i vigili urbani sono tutti cinesi: il sindaco Veltroni, a quanto si dice, ha venduto la concessione dei vigili per centomila euri, o forse l’hanno costretto, non si sa, fatto sta che ogni venti passi c’e’ una coppia di musi gialli in divisa e armati.
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Bene, questa storia naturalmente è inventata. Inventata per me, si capisce, per noi italiani; ma non per i cinesi. Da loro, i cartelli ce li hanno messi davvero. Nella loro Roma, che da loro si chiama (chissà perché) Shangai o Nanchino, un sacco di tizi sono stati buttati a calci fuori dai ritrovi. Città antichissime, piene di monumenti, esattamente come le nostre: eppure a un certo punto c’è arrivata gente, di colore diverso e proveniente da chissà dove, che s’è messa a decidere e a comandare. “Vietato l’ingresso ai cinesi e ai cani”. Per prima cosa hanno obbligato il governo a togliere tutte le leggi antidroga (erano loro i principali spacciatori); appena il governo ha obiettato, si sono dati da fare a suon di bombe, finché hanno ottenuto il libero spaccio e l’abolizione dell’antidroga. Questo è successo nel 1846 e nei libri di storia si chiama “prima guerra dell’oppio”.
Cose così ne son successe tante da allora, una peggio dell’altra, e non c’è da meravigliarsi che alla fine i cinesi si siano incazzati: e nemmeno – anche se ciò è molto ingiusto – che adesso non si fidino più di chiunque non abbia due begli occhi a mandorla, un nasino all’insù e un ottimo accento cantonese.
Loro, poi, ancora hanno avuto culo: gli africani, altro che buttarli fuori dal bar: li prendevano, li ammanettavano e li portavano a fare gli operai agricoli a nerbate. Durante la Belle Epoque, nel Congo, gli operai della gomma (neri) che si rifiutavano di lavorare venivano la prima volta amputati, e la seconda fatti fuori senz’altro. Il Congo era proprietà personale di un re, re Leopoldo del Belgio, che nella storia europea è citato più che altro per essere riuscito a conquistare una famosa ballerina, la Bella Otero.
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La parola Occidente, che per me vuol dire jazz, Mozart, il giornale e il caffè la mattina, per la maggior parte del mondo vuol dire tutt’altra cosa. Vuol dire “Vietato entrare” nei bar di casa tua, vuol dire deportazioni e nerbate, e questo non per un giorno o due ma per una ventina di generazioni. Non è strano che ogni tanto qualcuno ci faccia saltare per aria qualcosa. E’ strano che non lo facciano più spesso.
Fra questo feroce Occidente e tutto il resto del mondo una volta c’era un ponte, costituito dal “comunismo”. All’inizio doveva servire a far tutti felici e roba del genere. Poi diventò semplicemente un mezzo per trasmettere alcune idee occidentali nel Terzo mondo, con una credibilità non grandissima (non scherzava neanche lui quanto a mezzi persuasivi) ma almeno un po’ meno sputtanata rispetto agli eredi di re Leopoldo. Infine non è rimasto più niente e l’Occidente e il pianeta sono rimasti faccia a faccia: finalmente soli.
Attualmente, non c’è un’istituzione o un centro di potere sulla faccia della terra che non sia rigorosamente occidentale. Fanno eccezione la Cina, che però dell’occidente (communista e capitalista) sembra decisa a prendere tutto il peggio che trova, l’India che è un grandissimo paese libero ma non ha i soldi per campare, alcuni paesi emergenti come il Sudafrica e il Brasile (ma chissà se ce la fanno) e poi buio pesto. Due istituzioni soltanto sono rimaste aperte al Terzo mondo, le uniche due in cui il numero conta più del denaro: una è la Chiesa cattolica, e l’altra è l’Onu.
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La prima è una grande e antica fondazione multinazionale; possiede un management altamente professionale, ma il suo peso in definitiva dipende dal numero degli iscritti. Questi ora come ora vengono prevalentemente dall’Africa, dalle Filippine, dall’America Latina; molto meno dall’Europa o dall’America, dove il mercato esige religioni di plastica e non tradizionali. Tutti i papi, da un po’ di tempo in qua, son dunque costretti a basarsi sempre di più sui bisogni del loro target, il principale dei quali è: non essere presi a nerbate dall’Occidente.
L’Onu era nata, per iniziativa del Partito democratico americano, come club di manager bianchi allo scopo di 1) non litigarsi fra loro 2) chiacchierare ogni tanto anche con qualche poveraccio, per tener su il morale. Il partito concorrente, tuttavia (il Partito repubblicano, sempre americano) è riuscito due volte a mandare a monte l’iniziativa, una volta negli anni Venti e una volta ora. Stavolta però, ridendo e scherzando, ci si è accorti che la maggior parte dei soci del club sono neri: non è detto che siano d’accordo con lo scioglimento e potrebbero anzi deciderlo di mantenerlo, magari con una parte degli azionisti originari.
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Tutto questo per dire che io personalmente non ho alcuna vittoria da festeggiare. Ad essere sinceri, più che altro mi sento imbarazzato. Io volevo solo prendermi il mio caffè in santa pace.

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La creazione della normalità. Far diventare normale ciò che normale non era affatto. È possibile fare questa operazione a freddo.

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La new, le dot, le bolle, le speranze e la recessione. Bene: e adesso: è ritornato tutto come prima?
“Le macchine vanno ancora a petrolio – ha sentenziato qualcuno – E il mondo va avanti grazie alle macchine. Non grazie all’internet”. Può darsi. I prossimi anni, ovviamente, non saranno anni facili per la nuova economia: sul piano culturale, prima ancora che su quello strutturale. Come accade per tutte le tecnologie di svolta (nell’Ottocento la locomotiva la mettevano dentro le poesie, altro che gli editoriali del 24Ore…), l’economia del web, nonchè mitizzata, è stata caricata di pressocchè tutte le speranze umane concepibili. Ovvio che, alla prima crisi seria, segua altrettanto globale la reazione. Niente paradiso cibernetico, niente nuovi giocattoli, niente mondo nuovo…
Un momento. La novità principale è rimasta, e non sembra per niente erosa dalla crisi. La novità era questa: che il mondo occidentale, che fino a tutti gli anni Settanta produceva essenzialmente beni materiali, da un certo momento in poi ha cominciato a produrre principalmente informazioni. Non tutte immediatamente percepibili come tali: un film è un’informazione, un business plan è un’informazione, un format tv è un’informazione, un sistema urbanistico complesso è una serie di flussi d’informazioni; una qualsiasi “moda” che produca effetti industriali può essere considerato come un sistema interattivo d’informazioni. Carnaby Street, in senso lato, è un prodromo della new economy, tanto significativo nella sua fase quanto, in fasi ulteriori, Intel o Cnn. In questo, probabilmente, l’Europa è stata – almeno culturalmente – all’avanguardia rispetto agli altri due poli del mondo occidentale.
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Siamo andati sulla Luna con appena una manciata di bytes nella Ram di “base Terra”. Abbiamo costruito gli Anni Ottanta a colpi di Intel 286: seicento Kb, nel caso migliore. Adesso, ragioniamo in termine di mega e di giga e di terabytes, ma il meccanismo è sempre quello inaugurato allora. Ci giochiamo tutto sull’informazione. Lasciamo che i coreani costruiscano le navi e i cinesi i grattacieli. Noi, produciamo il software – letteratura è software, entertainment è software, finanza è software, formazione è software – per farli funzionare.
In Europa, buona parte del reddito (e in Inghilterra già la maggior parte) proviene ormai da questo settore. Ancor più dell’America, che teoricamente potrebbe sempre ritornare indietro, noi europei siamo obbligati ad andare avanti per questa strada. Produrre informazione, vendere informazione. E dunque continuare a sedimentare un società basata, molto più che sullo scambio di beni, sullo scambio d’informazioni.
In effetti, non abbiamo ancora un’idea esatta di dove tutto questo ci porti sul piano sociale (ma siamo sicuri che anche il termine “sociale” non possa essere ormai sostituito da qualcosa che anch’esso attenga alla condivisione d’informazioni?). Percepiamo tuttavia che nella maggioranza dei grandi dibattiti non sono le soluzioni “di sinistra” ad essere superate da quelle “di destra”, ma entrambe a dover fare i conti con nuovi background prepotenti. Hanno ragione i fittavoli oppure i lord terrieri? Nella Birmingham del primo Ottocento questa domanda (che ammette una risposta “di destra” ed una “di sinistra”) è già tecnologicamente obsoleta.

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Sicilia. Ancora lettere sul caso Cocilovo, il discusso candidato palermitano del centro-sinistra e dei “movimenti”.
< Qui molti sono strabiliati di come il popolo dei girotondi abbia a suo tempo rimosso il piccolo neo del Prof. Centorrino che li rappresentava a Palermo. Posso avere un commento? Grazie. Nadia >
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Cara Nadia, sotto il profilo politico, la risposta purtroppo è semplice: la società siciliana si è ormai tanto provincializzata che è pronta a prender per buono qualsiasi bidone, lasciandosi condurre nel suo solito pendolo fra torpide apatie e momentanei entusiasmi. Unica eccezione il movimento antimafia e la Rete (quella dei primi mesi): l’uno e l’altra penalizzati dall’inadeguatezza (o, in alcuni casi, dal vero e proprio tradimento) del gruppo dirigente.
Questo per la “politica”; che però, come sai, è solo l’aspetto più immediatamente evidente di condizioni umane più profonde. Da questo punto di vista, il fatto che io debba scrivere di un Centorrino è un momento esemplare. Di due intellettuali di sinistra siciliani uno – Centorrino – ha fatto il gattopardo, l’altro – io – ha fatto il garibaldino. Il primo ha accumulato un potere baronale, e l’ha difeso insieme a tutti gli altri baroni. Il secondo è dovuto emigrare. Il primo, ospitato sui giornali collusi come La Sicilia e dunque letto da migliaia di lettori; il secondo, disoccupato e in lista nera, costretto a inventarsi strumenti sempre diversi per esercitare il suo mestiere di giornalista. Il primo, applaudito dalla sinistra ufficiale; il secondo, appoggiato dai ragazzi senzapotere, ma per il resto solo. Ecco. Per anni, la sinistra siciliana – senza eccezioni: compresi, tanto per capirci, anche i rinnovatori – ha messo la propria firma su questa situazione. Alla fine, quando questo modo di fare ha portato alla catastrofe, s’è messa a gridare: “Accidenti! Tutta colpa di Orioles! Dovevamo sostenere ancora di più Centorrino e Cocilovo!”.
Tutto ciò ha a che vedere con la divisione delle società in classi sociali, divisione che in Sicilia è ancora ottocentesca e caricaturale. Liberali e borbonici, di sinistra e di destra – ma, prima di tutti, o “galantuomini” o “viddani”. Io mi sono schierato coi “viddani”, e dunque – quando i galantuomini si “rinnovano” – non ho diritto di parola. Vedremo cosa saranno capaci di fare, sbolliti i primi entusiasmi, lor signori. Io penso che continueranno a collezionare sconfitte. Saremo noi garibaldini e “viddani”, alla fine – se riusciremo a restar vitali fino allora – a salvare la sinistra e a riportarla vincente, come siamo riusciti a fare ogni volta nei brevissimi momenti in cui abbiamo avuto una minima possibilità d’azione.

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Agricola <corn@unirm.hist.it> wrote:
< Avidi se il nemico è ricco, arroganti se è povero, nè l’occidente nè l’oriente gli sono ancora bastati, vogliono godersi tutto da soli. Rubano, saccheggiano, fanno massacri e questo lo chiamano impero; fanno il deserto, e la chiamano pace >

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Viviana wrote:
< Pieta’ l’è morta, ma anche la ragione non se la passa proprio bene >

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enzapanebianco@inventati.org wrote:
< Sono una volontaria di indymedia italia; stiamo lavorando con il Genova Legal Forum, la famiglia di Carlo Giuliani e ricercatori indipendenti nel “gruppo inchiesta-g8”. Cerchiamo di mettere insieme pezzi di verita’, ricostruire quel che e’ successo e raccogliere testimonianze e segnalazioni che possano aiutare i legali nella difesa dei manifestanti.
Ci sono ancora testimonianze, video e fotografie rimaste inedite, e che potrebbero essere invece importanti per le inchieste. Mandateceli! Ecco i link del Legal Forum, dell’aggiornamento sull’inchiesta e del banner di solidarietà che, se volete, potere linkare al vostro sito:
http://italy.indymedia.org/news/2003/02/176261.php
http://italy.indymedia.org/news/2003/03/233699.php
http://italy.indymedia.org/images/appelloG8_ban.gif
Grazie! >

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Libro di lettura (ad uso dei piccoli siciliani, e anche marrocchini, africani, brasiliani e rumeni e di tutti gli altri Paesi). La strega cattiva non esiste. Esistono però quelli che vogliono bruciare le streghe. Lo stesso con altre cose.

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Joseph Pulitzer wrote:
< Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione non è forse sufficiente, ma è l’unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri >

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1944

Armando wrote:
< Io sono sempre vicino a voi. Dopo tante vitacce, in montagna, dover morir cosí… Ma in Paradiso sarò vicino a mio fratello, con la nonna, e pregherò per tutti voi. Viva l’Italia! Viva gli Alpini! >

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Aldo wrote
< Grazie a quanti hanno gentilmente alleviato, con preghiere e con altro la mia prigionia e la mia morte. Il povero Don Aldo Mei, indegno Parroco di Fiano >

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Bruno wrote:
< Quando finirà questa maledetta guerra che tanti lutti ha portato in tutto il mondo… >

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Roberto wrote:
< Parenti cari consolatevi, muoio per una grande idea di giustizia… Il Comunismo!! >

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Vito wrote:
< E per lutto porta un garofano rosso >

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Renzo wrote:
< Perdonate se ho anteposto la Patria a voi. Ricordatevi sempre di un figlio che vi chiede perdono per tutte le stupidaggini che può aver compiuto, ma che vi ha sempre voluto bene >

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Mirko wrote:
< Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?” (Giuseppe Fava)