San Libero – 147

Stefani. Nel corso di un incontro fra S.E. il Segretario del Partito, Capo del Forzismo, Ministro degli Esteri e Capo del Governo cav. Silvio Berlusconi e il Comandante in Capo del Governo Americano George Bush, il Capo ha espresso all’alleato il vivo desiderio del Popolo italiano e suo personale di partecipare direttamente alla crociata internazionale contro il terrorismo islamico validamente condotta dall’alleato. I due Capi di Stato hanno perciò deciso l’invio di un contingente italiano che si affiancherà alle truppe Americane che già combattono sul posto.
Nell’esprimere il suo compiacimento al nostro Capo per la ferrea decisione “degna in tutto della nuova Italia forzista”, il Comandante Bush ha espresso il convincimento che la campagna contro le orde islamiche sarà comunque breve e terminerà in pochi mesi. “Ma anche se dovesse durare anni – ha voluto precisare il Capo – l’Italia non abbandonerà mai il proprio posto di combattimento e marcerà indefettibilmente al fianco dell’Alleato!”
In serata, il Comando Supremo del Regio Esercito ha comunicato la formazione del Corpo di Spedizione Italiano in Afganistan, composto prevalentemente da truppe alpine.

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Stefani. L’ambasciatore americano presso le Nazioni Unite gen. Schwartzkopf ha rimesso ieri nelle mani del Presidente dell’Onu Kofi Annan un formale ultimatum sulla crisi in atto. “Se le richieste americane non verranno integralmente accolte entro quarantott’ore – sarebbe il contenuto dell’ultimatum – l’esercito americano invaderà le Nazioni Unite”. Nessuna dichiarazione ufficiale è giunta dalle due parti fino a questo momento.

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(“Sul ponte di Perati/ bandiera nera/ l’è il lutto della Julia che va alla guera…”).

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Soldati. Esattamente un anno fa è stato definitivamente archiviato il caso di Emanuele Scieri, il giovane paracadutista siciliano morto fa in circostanze misteriose in caserma, forse per nonnismo. Il giudice ha espresso il suo rammarico per non aver potuto scoprire la verità: “Non credo che la morte di Scieri sia accidentale”. L’inchiesta, ha aggiunto il magistrato, è stata fermata da “oggettive carenze investigative che non ci consentono di pronunciarci in un modo o nell’altro”. Fra i commilitoni di Scieri l’omertà è stata praticamente totale. E’ una “piccola” storia, che i giornali hanno dimenticato da tempo. Noi invece abbiamo il dovere di ricordare.
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E’ auspicabile che le operazioni cui dovranno partecipare le forze armate italiane abbiano sempre un carattere di polizia coloniale e non di vera e propria guerra fra eserciti pari, e che le nostre forze armate debbano affrontare limitate resistenze locali e non offensive e controffensive su vasta scala. E’ auspicabile anche (e soprattutto) che tutte queste operazioni si svolgano sempre in paesi lontani, con l’integrità del Paese non direttamente correlata al successo delle operazioni militari.
Tutto ciò auspicato, c’è da dire che si tratta di auspici molto fragili. Non è affatto da escludere che prima o poi una guerra convenzionale possa scoppiare anche nella nostra parte di mondo. E in questo caso alle nostre forze armate verrebbe richieste non l’azione brillante e “professionale” a cui sono orientate oggi ma la guerra di fango e logoramento contro un nemico più o meno pari. La guerra vera, insomma.
Sono le nostre forze armate preparate oggi ad affrontare una situazione del genere? Sull’aspetto tecnico non mi pronuncio. Su quello psicologico ho i miei dubbi. Gli episodi di indisciplina, spesso ai danni di civili, fra le truppe italiane all’estero non sono stati pochi in questi anni. Somalia, Mozambico, Macedonia – tanti piccoli casi limitati e “individuali”, spesso legati al tempo libero dei militari, che nel compresso dimostrano però una cosa precisa: nell’esercito italiano, in un certo numero di situazioni, c’è uno scarso controllo della truppa da parte degli ufficiali. Nelle “operazioni di polizia” ciò non ha importanza. In una guerra vera metterebbe in pericolo il Paese.
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L’esercito italiano non ha mai brillato per la qualità dei generali (vedi l’otto settembre), ma può vantare episodi di tenuta saldissima da parte della truppa. Gli alpini nella ritirata di Russia, i fanti di Cefalonia, i granatieri a Porta San Paolo, sono tutti esempi di questa tenuta: in condizioni disperate, malissimo armati, con le comunicazioni e la catena di comando in pezzi, i nostri militari sono rimasti aggregati, hanno costituito centri di resistenza e hanno tenuto duro. Questo spirito di resistenza individuale è stato tipico (insieme al ribrezzo per le atrocità) del soldato italiano; e possiamo esserne orgogliosi, almeno per il passato.
Quanto alla Folgore, che adesso è un corpo – come si dice – d’elite e molto propagandato, non era affatto d’elite quand’era la Folgore vera. La Folgore, nel Quarantadue, era un reparto arruolato in fretta (mio padre, sorridendo: “Qualcuno veniva dai riformatori”), addestrato alla meglio e spedito nel deserto senza armi pesanti, teoricamente come paracadutisti ma in pratica come fanteria.
Laggiù, questi ragazzi non fecero molti alzabandiera, grida di “Folgore!” e scenografia truculenta (quella si fa in tempo di pace, al sicuro). Fecero quel che ha sempre fatto tutta la buona fanteria di questo mondo, e cioè si schierarono sulle posizioni assegnate e si prepararono a difenderla con i mezzi che avevano. In particolare, mancando quasi del tutto i cannoni anticarro, usarono bottiglie molotov per contenere gli attacchi dei corazzati nemici. Ad Alamein si sacrificarono fin quasi all’ultimo, senza tante parole e senza eroiche canzoni. Furono comandati di tenere una posizione espostissima, mandati consapevolmente come carne da cannone (il comando tedesco di solito affidava questo ruolo alla fanteria italiana) ad assorbire per qualche tempo l’attacco dell’avversario; essi non solo lo contennero ma addirittura, nel loro settore, lo respinsero del tutto anche se alla fine solo un velo di uomini vivi difendeva ancora la linea italiana. Churchill, alla Camera dei Comuni, rese omaggio al loro valore.
La Folgore di oggi è un’altra cosa. Si è parlato di scioglierla, in passato, a seguito di vari episodi. Io non vorrei affatto che fosse sciolta. Vorrei semplicemente che le fosse cambiato il nome, per rispetto alla Folgore vera. Non per le torture in Somalia o quell’imbecille libretto del colonnello: quelle sono cose cui si poteva ovviare con una buona pulizia (che non è stata fatta). Ma proprio per la storia di Scieri. In guerra, il primo comandamento di un soldato è di non lasciar mai abbandonato un compagno ferito. Ma in quella caserma, Emanuele Scieri ha agonizzato da solo.

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Soldatesse. In tutt’Europa, ancor prima dell’undici settembre, crollo verticale degli arruolamenti di donne nelle varie forze armate. Rispetto a tre anni fa si calcola mediamente un ottanta per cento di soldatesse in meno.

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Lo sceicco bianco. La settimana scorsa Paolo Mieli, sul Corriere, ha dedicato un bel corsivo alla “trasmissione ereditaria del potere” nei Paesi arabi. Un ottimo pezzo, ben documentato: Gheddafi e il figlio Saadi, Mubarak e il figlio Gamal, Assad e il figlio Bashar e naturalmente Saddam e il figlio Qusay; per non parlare delle monarchie assolute vere e proprie, in Arabia, in Kuwait, in Marocco e negli altri paesi “moderati”. Conclusione: i Paesi arabi masticano poco di democrazia: il potere ormai là si trasmette (come nel nostro medioevo) per dinastie. Giusto. Ma il presidente Bush, di chi è figlio? E che parentela ha col governatore della Florida, che di fatto l’ha eletto?
Agli sceicchi arabi ormai ci siamo (razzisticamente) abituati. Il guaio è che qui si cominciano a vedere sceicchi anche in occidente: dove la via dinastica comincia pericolosamente a prendere piede, e non solo (come prima) alla testa delle grandi multinazionali ma direttamente al governo degli stati. Strano che di una faccenda del genere, che attiene al nucleo intimo della democrazia liberale, si debba occupare un communista come me, mentre un liberale doc come Mieli o non se ne accorge o fa finta di niente.
(Riflessione: tenuto conto che la vecchia repubblica aristocratica è già un guscio vuoto da un pezzo, siamo ancora ai Giulio-Claudi siamo già a Caracalla? Non è un particolare ininfluente).

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Sei italiani su dieci, secondo l’Istat, usano ancora prevalentemente il dialetto nelle relazioni familiari. Nei rapporti con gli estranei viene invece prevalentemente usato (75 per cento) l’italiano.
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Secondo l’Istituto di ricerca sull’alimentazione di Washington, nel 2020 circa centotrenta milioni di bambini non avranno accesso all’alimentazione minima per la sopravvivenza. Secondo l’Unicef sono circa undici milioni i bambini sotto i cinque anni che ogni anno muoiono per malattie facilmente curabili (polmoniti, diarrea, rosolia, malaria). La maggior parte di loro muore in casa, senza ricevere alcuna cura per mancanza o inaccessibilità dei servizi sanitari.

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Obelix. Ogni tanto riparte la campagna per non restituire all’Etiopia l’obelisco di Axum, che gli portammo via a mano armata con Mussolini e c’eravamo impegnati, ormai cinquant’anni fa, a restituirgli. Sgarbi (che è Sgarbi), “er Pecora” Bontempo (che è molto carino ritrovare in una discussione “artistica”) e il professor Zincone ogni settimana tirano fuori un cavillo nuovo per tenersi l’obelisco rubato. Ma insomma, perché noi italiani dobbiamo sempre farci la nomea di ladri a tutti i costi? Per fare contenti Sgarbi e er Pecora Bontempo?

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Mon pais. Questo piccolo popolo, che fu così gentile.

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Mimmo Lombezzi wrote:
< Il castoro dovrebbe essere venerato come mascotte, come animale protettore dei giornalisti. Pare infatti che in alcune regioni del Canada il simpatico animaletto, sapendo che i cacciatori lo cercano anche per l’interesse afrodisiaco dei suoi testicoli, se li stacchi sa sè medesimo con i lunghi denti e lascitili sulla pista dei cacciatori riprenda “alleggerito” la fuga. >

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Franco Mistretta wrote:
< Massimo Cacciari ha molti meriti presso il popolo di sinistra. Tuttavia non abbiamo apprezzato la nonchalance con cui è andato a discutere su Socrate, a Bruxelles, col peggior simbolo degli affari compromettenti di Forza Italia, quel Dell’Utri che ha fatto assumere il mafioso Mangano come guardiano nella villa di Arcore, e che è sotto processo a Palermo per associazione mafiosa. Cacciari avrà voluto così dimostrare il suo anticonformismo, la sua aristocratica superiorità rispetto alle petulanti pretese di moralità dei nuovi movimenti, forse ha perfidamente pensato che parlare con Dell’Utri del filosofo che bevve la cicuta per rispettare fino in fondo l’autorità della magistratura fosse il modo più sarcastico per criticare Forza Italia >

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Dacia Valent wrote:
< E’ stata scoperta un’organizzazione mafiosa che sfruttava la disperazione e il bisogno di migliaia di ragazze dell’Est Europa vendendole come schiave. Questa indagine, che ha avuto successo grazie al coraggio di Magistratura e carabinieri, è la più grande finora portata a termine in Italia. Ne emergono due punti su cui bisognerebbe riflettere tutti.
1) I “buoni padri di famiglia” italiani che da qualche anno in qua si rivolgono in numero sempre maggiore al mercato delle prostitute in realtà non vanno con delle prostitute. Vanno con schiave che vengono torturate – e a volte uccise – a ogni minimo segno di ribellione. Questo era facile da capire anche prima. Ma ora nessuno può più dire di non saperlo. Eppure fra questi “buoni padri di famiglia” nessuno ha avuto il coraggio di accorgersi dell’evidente stato di schiavitù di queste ragazze e di agire di conseguenza. Forse c’è qualcosa che non va nel modo cinico e sbrigativo con cui tanti italiani oggi si accostano – soldi in mano – alle faccende del sesso.
2) Al vertice dell’organizzazione non c’erano solo boss mafiosi ma anche “insospettabili” italiani: professori d’università e roba del genere. Che cosa sarebbe successo se, quando si parlava di prendere le impronte “alle mani e ai piedi” agli immigrati, qualcuno avesse proposto di prenderle anche a qualche “insospettabile” dell’Italia perbene?. Eppure i capi della delinquenza sono là, non fra i poveri lavoratori che vengono in Italia per guadagnarsi faticosamente un pezzo di pane.

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Danilo wrote:
< Luigi è uno sulla trentina sposato con figli, ha le mani grosse e callose e un accento inconfondibilmente siciliano.”Luigi carica dà mecci”, “potta di cavi”,”accumpagna u ‘ngigneri”, “lavici a machina o pattruni”, “Luigi à vutari a chistu”, “marraccumannu tu.. .nà vistu nenti”, di lui tutti si fidano soprattutto il padrone. “Bravo Luigi, uora dammi na sigaretta e stà attentu non m’alluddari i causi… docu ci su m’pezzu di uottucento milaliri”. La sua schiena si curva leggermente il collo si allunga impercettibilmente ed il suo sguardo è sinceramente ossequioso. Quasi gli brillano gli occhi quando dice che lavora lì da otto anni, otto anni di lavoro, che in sicilia non ce n’è tanto, che si può mangiare tutti i giorni, che si possono comprare le scarpe colorate per i bambini, che qui ci sono “tante brave persone con le scuole alte”. Luigi non riesce ad immaginare un altro modo, senza qualcuno che gli dica cosa fare e cosa pensare, senza il padrone ed i suoi “amici”. Dopo averlo incontrato io non ho smesso di essere rivoluzionario ed antimafioso, né di gridare a gran voce le mie idee per un mondo diverso, perché la mia gente sia libera, ma i Luigi restano e sono tanti. >

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Teognide<stigma@eleutheros.el> wrote:

< Sembra la stessa la Città, ma sai:
ciò che c’è dentro ormai tutto è cambiato.
Gente che non sapeva ordine né legge,
accampata all’aperto coi suoi stracci
come un gregge di pecore: e ora
comandano, e chi prima comandava
a malapena è sopportato. Vedi?
S’imbrogliano, si sfottono fra loro.
Il bene, il male? Manco ne hanno idea.
Ragazzo, tu con questi “cittadini”
non averci a che fare in nessun caso.
A chiacchiere, magari, fà l’amico;
ma nelle cose serie stà da solo.
Mascalzoni! Ti danno la parola
ma appena gli conviene sei fregato.
Rubare, intrallazzare, fare imbrogli:
il loro pane quotidiano. E vuoi
che questa gente possa mai cambiare? >