San Libero – 123

Grande Berlusconi. È lui il vero rifondatore della sinistra italiana. Un anno fa di questi tempi avevamo D’Alema che aveva appena finito di giocarsi a bingo il ds, Bertinotti tutto giulivo perchè “avevo ragione io”, Rutelli che rutellava e Fassino che fassineggiava, entrambi nell’indifferenza generale. E i compagni Rondolino e Velardi (vedi Catena del 21 maggio) che scrivevano rispettosamente a Berlusconi per consigliargli l’elenco dei giornalisti rossi ma perdonabili e da non epurare. C’erano soprattutto gli operai di Torino e Milano, delle cinture storiche in cui era nata la democrazia italiana, che almeno al trenta per cento avevano votato per Berlusconi.
Perchè così tanti operai hanno votato per Berlusconi? È questa la grande domanda che la sinistra italiana, nella sua dalemaggine e nel suo vippismo, aveva accuratamente rimosso. Rispondere a questa domanda, o anche semplicemente porsela, avrebbe infatti implicato mandare a fondo lo yacht di D’Alema, cacciare le contessine e i fighetti dalle feste di Rutelli, e anche riportare al negozio almeno metà delle cravatte inglesi di Bertinotti (che infatti vedo in tivvù sempre più spesso in giubbotto).
Adesso – “Uniti, uniti!” – D’Alema e Bertinotti sono obbligati a sfilare insieme, sotto lo sguardo vigile degli operai, in testa al corteo sindacale; Fassino e Rutelli vengono umilmente a imparare qualcosa alle riunioni di base; Rondolino non si sente più (ma Velardi conta ancora moltissimo, a quanto mi dicono, nel settore Ds dell’informazione: che aspettano a cacciarlo via?) e i militanti di base son tutti indaffaratissimi, con facce allegre e decise e senza più piagnistei a vincere le prossime elezioni e a tornare infallibilmente (e senza rondolini) al governo.
Grande Berlusconi. E grande Bossi.

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A proposito di Bossi, è arrivato il momento – evvia, ormai il suo lavoro l’ha fatto – di rendere finalmente pubblica la verità. Me la sono tenuta sul gozzo per tutti questi anni, ma adesso è il momento di parlare..
Nel 1975, Umberto Palmiro Bossi (il secondo nome, da un certo punto in poi, smise di usarlo per motivi che capirete) fu convocato dal Responsabile Agit-Prop della Sezione del Pci di Varese, a cui allora era iscritto. Il Bossi, a quell’epoca, era un semplice onesto militante come tanti altri. Dava i volantini contro i padroni, come tutti, e una volta tenne un piccolo comizio davanti al Bar Sport di Colgate per difendere un un amico (tale Alfio La Barbera) a cui uno stronzo fassista aveva dato del terun. Solo quella volta, perchè in realtà Umberto Palmiro era un ragazzo timido e per fargli dire due parole in pubblico dovevano proprio tirargliele con le pinze. Però i suoi superiori erano gente sveglia, e si accorsero lo stesso delle potenzialità rivoluzionarie del ragazzo.
A quell’epoca ogni sezione del Pci aveva fra i suoi dirigenti, per regolamento, un agente del Kgb o di qualche altro servizio segreto communista. Costui non parlava mai tranne che in riunioni clandestine e ristrette, non veniva mai mostrato in giro e di notte veniva messo a dormire nel ripostiglio della sezione, fra le bandiere rosse e i secchi di colla. Era lui, in ciascuna delle ottomila sezioni communiste d’Italia, che in realtà dava gli ordini, che riceveva ogni quindici giorni, per via piccione viaggiatore, dalla Sezione Agitazione e Propaganda del Kgb.
Il responsabile della sezione di Varese si chiamava Ivanov e era un communista ferocissimo ed astuto. Il compagno Ivanov convocò il compagno Bossi..
“Cuompagno Buossi!”. “Agli ordini, compagno!”. “Ascuolta, tuovarisc Buossi. Debbo dirti un segrueto!”. “Si?”. “Fra trent’anni non ci sarà più partito communista!”. “Nooo!”. “Si cuompagno, sarà così, fra trent’anni niet kuommunismo e niet gloriuosa Unione Suovietika!”. “Non ci credo!”. “È cuosì, cuompagno. Nuostri infallibili scienziati suovietici hanno inventato makkina per predire futuro! Kuommunismo suovietikuo fatte truoppe kazzate, finito!”. Il Bossi si mise a piangere disperatamente. “Aspuetta, cuompagno Buossi! Non è tutto puerduto! Un uomo salverà il kuommunismo, perluomeno in Italia. E tu sai ki kuell’uomo noi abbiamo deciso ke può essere?”. “Chi?”. “Tu, cuompagno!”. “Io?”.
Da quel momento la conversazione proseguì a bassa voce, talmente bassa che non sono riuscito più a sentire niente. Vedevo soltanto il compagno Ivanov che spiegava qualcosa e il compagno Bossi che assentiva con grande cenni della testa. “Alluora, cuompagno Buossi, hai kapito tutto? Più gruosse sono e meglio è. Kuando kazzate saranno sufficientiemente grosse e numerose e gente sarà dunkue sufficientiemente incazzata, alluora kuommunismo in Italia tuornerà infallibilmente!”.
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La mattina dopo il Bossi andò al Bar Sport senza fazzoletto rosso al collo e senza l’Unità regolamentare. Dentro c’erano già il Gaita, il Rodeulf, il Padula e naturalmente l’Alfio, tutti già attorno al biliardo con le stecche in mano. “Ecco l’Umberto! – fece Alfio – Possiamo cominciare!”. “Io non gioco!”. “E perchè non giochi?”. “Mi non gioco a billliard con i terun!”. “Ma Umberto,.che cazzo ti ha preso stamattina?”. “Zitto tu che sei venuto da Agrigento a portar via il lavoro a noi pasquani! Colpa dei communisti che ti hanno lasciato entrare in Pasquania!”. “Pasquania? E che cazzo è?”.
Umberto, perplesso, si frugò nelle tasche e tirò fuori il taccuino su cui a ogni buon conto aveva segnato i passaggi salienti delle istruzioni del compagno Ivanov. “Padania, volevo dire. Tu sei un terrone e i communisti ti usano per invadere la Padania”.
“Ma Umberto – fece il Gaita a questo punto – ma non siamo noi, i communisti?”.
“Non più! Basta con queste cazzate – occhiata al taccuino – veterostaliniste e giacobbine. I communisti sono la rovina della Padania, ecco che cosa sono! Basta coi communisti e i terroni, Pasquania… Padania indipendente”.
“Ma va a dà el cuu – fece il Rodeulf, che fino a quel momento non aveva detto una parola – Io non ci capisco una sega di tutte queste cazzate ma mi sa che sei diventato un politico e che fra poco vieni a cercarci il voto come gli altri. Sai che ti dico? Ce la facciamo noi quattro, sta partita, e tu intanto ti fai tutte la Pasquania che vuoi”.
“Padania!” sbraitò l’Umberto e uscì dal locale.
Purtroppo il compagno Ivanov aveva progettato bene, e già un paio di mesi dopo sulla casa di ringhera dell’Alfio qualcuno già aveva scritto col gesso il primo “via i terroni”. I voti, l’Umberto ex Palmiro, se li cominciò a cercare davvero. E qualcuno, al Bar Sport, lo cominciò pure a votare.
E passarono gli anni. Questa fu la fase uno. Nella fase due (diligentemente prevista dal Progetto Ivanov) l’Umberto, ormai capo-partito e senatore, battè diligentemente tutti i bar sport della regione annunciando che i politici erano tutti ladri e che ormai era il momento di rimandarli tutti a Roma, dove avevano imparato a rubare. E siccome di politici ladri, specialmente in quei tempi, non c’era affatto carestia la gente cominciò a dargli un certo credito. “Tutti ladri! Roma ladrona! Abbasso Berluskaiser! Viva Di Pietro!”.
La fase tre scattò, come previsto, al momento opportuno. I politici, spiegò Bossi (consultando ogni tanto il taccuino del compagno Ivanov) non erano tutti ladri; erano bensì i magistrati communisti che volevano farli passare per ladri, ma loro in realtà erano tutte persone onestissime e perbene, col solo difetto di non volersi calare le braghe davanti all’odiosa dittatura communista che dominava spietatamente il paese. “Tutti santi! Abbasso i maggistrati communisti! Viva Berlusconi! A morte Di Pietro!”.
Adesso l’Umberto non comiziava più al bar sport di Colgate, ma in piazza Duomo a Milano e nelle televisioni; non girava più in centoventisette ma, come tutti i politici, in mercedes di lusso con l’autista (un autista nuovo, tutto azzimato, fornito da Berlusconi; quello della centoventisette se n’era andato, deluso, da molto tempo).
La gente non è mai cretina del tutto per tutto il tempo, nemmeno in Pasquania, e i voti per la Pasquania Libera, che prima erano moltissimi, adesso diminuivano continuamente. La cosa però aveva poca importanza perchè, essendo ormai al governo, l’Umberto poteva ormai fregarsene di quel che pensava la gente. E a questo punto, del resto, stava ormai per partire la Fase Quattro.
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Come il compagno Ivanov (da tempo riciclatosi in Manager della Caspian Petroleum SpA) aveva lucidamente previsto alla fine la gente, rimbambita dalle cazzate dei communisti e soprattutto dai lussi megagalattici che gli apparatniki del partito si concedevano sempre più frequentemente (ce ne fu uno a un certo punto che camminava solo con scarpe da un milione l’una), cominciò a schifare il communismo e ogni cosa che anche vagamente gli si apparentasse. Democrazia, senso civile, politica: tutta roba da communisti. Ci siamo stufati di tutto questo: vogliamo un governo non politico, che non ci rompa le scatole e che ci lasci dormire. Un governo che ci faccia almeno qualche bella promessa il sabato; lo sappiamo già che il lunedì ci tocca rimetterci alla carretta; ma almeno, la domenica, passiamola con un po’ di speranza. Un governo-Sisal, insomma.
E questo governo fu fatto, e andò avanti. Altoparlanti, televisioni, scritte sui muri, giornali – tutto ripeteva in continuazione che domenica prossima, sicurissimamente, sarebbe uscito il numero fortunato; e la gente, senza crederci, ci credeva.
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La cosa sarebbe potuta andare avanti molto a lungo. Ma i compagni sovietici, forti di un’esperienza secolare, non a caso avevano mandato il compagno Ivanov a reclutare l’uomo opportuno. “Perchè sappiate, cuompagni, che l’arte del rivuoluziuonario tiene cuonto di tutto e sa sfruttare per la causa ognunque e qualsiunque elemento” (Susl., Dottr. del Comm., IV, 16, 240). E ancora: “In verità, cuompagni, deve ancuora nascere il pork kapitalist che ce la metterà in kwel post” (Brezn., Man. Agit., VI, 13, 190, tomo secondo).
Ed ecco: appena il capo del porco governo capitalista diceva (purtroppo i governi capitalisti devono far contente le confindustrie, ogni tanto): “Lavoratori, lunedì sera purtroppo dovrete prenderla un momentino in quel posto lì”, immediatamente l’Umberto – che s’era abilmente intrufolato nel governo – afferrava il mocrofono e sbraitava: “E senza vaselina! Avete capito, stronzi? Vaselina, niente!”.
Ora voi capite che, di fronte a una cosa di queste, i lavoratori ci restavano anche un po’ male. E certo la popolarità del governo non ci guadagnava. Il che era esattamente ciò che aveva callidamente previsto, a suo tempo, il compagno Ivanov.
“Bisognerebbe annegare qualche extracomunitario, ogni tanto”. “No! Bisogna affogare TUTTI gli extracommunitari! Cannonate in pancia, altro che cazzi!”. E un altro punto in meno per il governo. “I magistrati ce l’hanno col governo perchè sono communisti”. “Brigatisti, sono! Aboliamo i magistrati e mettiamoci gli sceriffi!”. “Licenziamo Santoro!”. “Nein! Fuciliamolo senz’altro!”. E vai.
Insomma, a ogni cazzata che il governo diceva il Bossi vedeva, raddoppiava, rinterzava e ci aggiungeva il carico a denari. Ora, una cazzata va bene, due si sopportano, tre pure, ma insomma quando il governo privatizzò l’aria atmosferica e Bossi, pronto, dichiarò che bisognava anche metterci una tassa, andò a finire come tutti sapete, e come del resto era logico che finisse.
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Berlusconi, come sapete, fu salvato da Prodi e Cofferati quando la folla invase Palazzo Venezia e adesso fa il presidente dello Stato Libero di Paranà. Dicono che se la passi bene, a parte Garzon che, ostinato, dopo tanti anni si aggira ancora travestito da alligatore da quelle parti nella speranza – finora delusa – di beccarlo. Ferrara è ministro nel governo di centrosinistra, Mentana dirige il Tg1, Lerner Canale 5, io sono disoccupato come al solito e papa Massimo Primo (il primo papa coi baffi nella storia del vaticano: chissà come ha fatto) ha appena nominato cardinale Rondolino. Tutti sono felici e nessuno s’è fatto male: come sempre in Italia, salvo qualche eccezione.
L’unico che manca è Bossi. Fu visto l’ultima volta il giorno della Gloriosa Rivoluzione mentre, in piedi su un carrarmato, incitava la folla a fare giustizia del “mafioso capitalista Berlusconi”. Poi non s’è visto più. Maroni (che ora è ministro dello Spettacolo) e Castelli (a capo dell’Ente Ponte di Messina) sono convinti che sia caduto combattendo. Qualcuno dice che è semplicemente sparito ma tornerà quando la Pasquania avrà bisogno di essere liberata dalla tirannia di un altro Berluskaiser. Il popolo ha bisogno di miti.
Ma nella sala sotterranea del Cremlino, dove il Kgb (l’Unione Sovietica adesso è clandestina: per motivi di opportunità si fanno chiamare Russia e molte cose le fanno di nascosto, ma è sempre uno del Kgb quello che comanda) tiene le sue riunioni segrete, adesso c’è una lapide in più, a destra di quella di Stalin e pochi metri avanti a quella di Suslov. C’è il busto di un uomo dai marcati tratti celtici (capelli ricciuti neri e zigomi sporgenti), con sguardo da visionario e bocca da profeta; sul suo petto brillano l’Ordine di Lenin, la Bandiera Rossa, la Stella di Eroe dell’Unione Sovietica e, più commovente di tutto, un semplice nastrino rosso. “Tovarisc Bossi”, c’è scritto sotto. E poche righe in cirillico, che non abbiamo tradotto.

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Antisemitismo 1. Sul quotidiano saudita Al-Riyadh è uscito un editoriale che accusa i rabbini di usare sangue umano per confezionare dolci rituali: “Lo spargimento di sangue da parte degli ebrei per preparare pasticcini per le loro feste è un fatto storicamente e legalmente accertato in tutti i tempi”. In Egitto intanto va in onda “Cavaliere senza cavallo”, interpretata dal famoso attore Muhammad Subhi, protagonista di una campagna antisemita basata sui “Protocolli dei savi di Sion” (un falso di epoca zarista, in cui gli ebrei si accusano di ogni nefandezza). “Come ha scritto il politologo Al-‘Aqqad – dichiara Subhi – per analizzare se i Protocolli dei savi di Sion sono un’invenzione tutto quel che dobbiamo fare è verificare l’attuazione dei 24 protocolli. Io nello sceneggiato rivelo tutti i protocolli che hanno trovato attuazione fino ad oggi”.
Ancora in Egitto, sul settimanale governativo Akher Sàa, è stato ripreso un falso tedesco degli anni Trenta sul presunto antisemitismo di Ben Franklin, un dei “padri fondatori” degli Stati Uniti: “Se non escludiamo gli ebrei nel giro di 200 anni – recita il falso – i nostri figli lavoreranno nei campi per nutrirli mentre essi siederanno oziosi nelle case fregandosi le mani”.
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Antisemitismo 2. Sul principale quotidiano italiano, il Corriere della Sera, sono usciti finora due lunghi articoli della scrittrice Oriana Fallaci che accusano i musulmani in genere di avere attitudini barbare e incivili e di avere organizzato un complotto al fine di invadere i paesi europei e l’Italia in particolare. Il complotto, di cui l’autrice fornisce numerose prove, avrebbe le sue radici nelle deplorevoli concezioni della religione musulmana e, da un punto di vista biologico, nelle caratteristiche razziali degli arabi in generale. I due articoli, successivamente tradotti in opuscoli e diffusi nelle librerie, hanno avuto un discreto successo presso il pubblico italiano.
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Antisemitismo 3, 4, 5, scc. Continuate voi perchè a me fa un po’ schifo.

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Colours. Secondo Human Rights Watch (HRW) il sessantatrè per cento dei carcerati Usa sono o neri o ispanici. Queste etnie costituiscono però solo il venticinque per cento della popolazione globale del paese. La popolazione carceraria negli Stati Uniti ammontava, a febbraio, a 1.976.019 persone.
Circa un decimo di tutti i giovani di colore, in una ventina di stati, si trova in stato di detenzione; in altri dieci stati questa percentuale oscilla fra il cinque e il dieci per cento. Per ogni minorenne bianco incarcerato se ne trovano da venti a venticinque neri e da sette a diciassette ispanici.
Info: Fabio Quattrocchi, fabiocchi@inwind.it

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Lea wrote:
< Vedo che hai studiato la Chassidut, Riccardo. Ti sarai messo su una seggiola, e con le dita delle mani perennemente imbrattate di inchiostro, fra un tiro e l’altro di tabacco da pipa, avrai letto e riletto i testi della Chassidut come un tempo leggevi in mia presenza i discorsi di Pericle da attagliare alla storia attuale. Ma un po’ ti sbagli, Riccardo. Un po’ ti sbagli nell’interpretare, questa volta.
Hai ragione nel vedere nelle azioni di Sharon niente che abbia a che vedere con la tradizione ebraica, quella che vieta di sradicare gli alberi del nemico, che condanna ciò come un delitto, per esempio. E se i trecento riservisti israeliani rientrano invece pienamente in quella tradizione che tu un tempo definisti “Il cuore pulsante d’Europa”, essi però non sono quei Trentasei zaddeqim di cui hai appreso leggendo la Chassidut.
I trentasei zadeqim sono invisibili, reggono le sorti del mondo soffrendone le pene, sopportando il dolore della persecuzione antiebraica che la gente come Casarini – il quale pure ci informa che no, che egli ha ben tenuto a freno il suo istinto antiebraico – trova ogni volta il pretesto di trarre dalle proprie viscere.
I trentasei zadeqim, poi, non hanno niente a che vedere con i cosiddetti pacifisti che si avvicendono nei territori, fra i quali c’è senz’altro tantissima gente che si sta battendo con coraggio e senza violenza per assistere la popolazione palestinese, per donare il sangue ai feriti, per chiedere la fine dell’occupazione e una giusta pace per entrambi i popoli, ma fra cui c’è anche gente che in questi mesi ha provveduto a fare quello che per anni non è ben riuscito ai più meticolosi negazionisti della Shoah: negare, appunto la Shoah. Quella Shoah per la quale Andrè Schwartz scrisse “L’ultimo dei giusti”.
Già, poichè tu dovresti sapere che la Shoah non si nega solamente negandola, ma comparandola continuamente a quello che avviene nei territori, che, tu dovresti saperlo, non è neanche lontanamente paragonabile all’inenarrabile buio di Auschwitz. Tu dovresti saperlo, che nessuno ha detto niente alla figlia dell’ambasciatore Olp in Italia neanche quando questa, per anni, si è onorata di pubblicare nel suo sito le più abiette e criminali pagine antiebraiche firmate dai nazifascisti di Radio Islam. E neanche tu hai scritto una parola, su ciò. O, se l’hai scritta, l’hai scritta sempre con questo tono che i palestinesi e gli israeliani stanno facendo gli stessi tragici errori.
Siamo stanchi, Riccardo. Stanchi dei carri armati di Sharon che fu già definito da Golda Mayer e dallo stesso Begin un pericolo pubblico numero uno per la sopravvivenza di Israele e della sua identità ebraica. Ma siamo stanchi di Agnoletto, che alla vigila dell’anniversario della Notte dei Cristalli, lo scorso novembre, non aveva neanche idea di che cosa si trattasse, per questo può permettersi di improvvisarsi ambasciatore dei pacifisti palestinesi presso coloro che egli definisce i “pochi pacifisti israeliani”.
I pochi pacifisti israeliani, Riccardo, erano trecentomila quando sfilarono un mese fa a Tel Aviv contro il governo Sharon e l’occupazione. Essi, come dice il professor Gordon dell’università Ben Gurion, non sono poi pacifisti, una cosa che non significa più niente per come l’hanno svilita quelli come Casarini. Essi sono uomini e donne che rientrano appunto, pienamente, nella tradizione ebraica di giustizia.
E voi li avete lasciati soli. Li avete assordati con le menzogne dell’assassinio di civili israeliani provocato solo dalla disperazione, quando era Marwan Barghuti, il capo di Fatah insieme ad Arafat, ad aver capito che la strategia kamikaze era un’arma vera e propria di guerra contro l’esistenza di Israele. Altro che Masada.
Siamo stanchi, Riccardo. Stanchi di ripetere che Arafat, se fosse stato un Mandela, quando aveva un piede a Gerusalemme, avrebbe dovuto trattare con la magnanimità di un Mandela, non con la sua solita doppiezza, quella con cui, negli anni passati, ordinava l’assassinio di un ebreo paralitico da buttare a mare da una nave, e poi si faceva passare per il mediatore della liberazione degli altri ostaggi; quella con cui diede l’imprimatur all’assassinio del piccolo ebreo fuori dalla sinagoga di Roma, quella con la quale ancora oggi dichiara a Ahron Lerner, giornalista di Hàaretz: “Manderemo all’inferno gli infedeli; mille martiri sono pronti a marciare su Gerusalemme.
Ma siccome credo che tu sappia quant’ancora anch’io appartenga a quella tradizione ebraica da te evocata, in nome di quella tradizione io stessa sottrarrrei all’assedio di Sharon quell’Arafat che io, al contrario di te, considero l’artefice di questa tragedia. Poichè è scritto in ebraico: “Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare, se il tuo nemico ha sete dagli da bere, se il tuo nemico è in difficoltà aiutalo”.
Ma basta con le menzogne, basta con questa storia che “i palestinesi non hanno mai fatto pogrom”, quando i palestinesi bruciavano sinagoghe a Gerusalemme negli anni Trenta esattamente come i tedeschi, quando i palestinesi mandavano Ss palestinesi in Europa ad aiutare il camerata Hitler, mentre la Terra d’Israele mandò la brigata ebraica ad aiutarvi a cacciare i nazisti. Basta Riccardo. Poichè si può morire anche di stanchezza. Ed è invece la vita, come è scritto, che bisogna scegliere.
Il popolo israeliano ha subito per anni la vostra pretesa di essere antisionisti e non antisemiti, quando il sionismo è nato fra quei compagni del Bund che tu non puoi non conoscere. Il popolo israeliano ha subito per anni, e anche oggi, questa vostra scusa dell’appoggio americano, quando tutti sanno che al tempo della Shoah anche gli americani sapevano e non intervenivano, quando tutti sanno che il petrolio lo possiedono le satrapie saudite che odiano Israele, non Israele.
E perciò compiangiamolo quel popolo israelo ebraico, per essersi ora perduto nel progetto di Arik Sharon. Ma in silenzio, per favore.
Lasciamo parlare i Casarini, i vari Stefano Palmisano del Brindisi Social Forum e le loro ignobili accuse tipiche del repertorio antigiudaico. Verrà il tempo di raccontare la verità. La dolorosa verità dell’occupazione e di questi terribili ultimi giorni di eccidi nei Territori la conosciamo, purtroppo. Ma quella della lunga onda di fango per aver potuto tirar fuori la quale gli antigiudei di sinistra devono ringraziare Sharon alberga ancora in una sofferenza che, come avrebbe detto Bianca, la nostra compagna di scrivania di un tempo, dovrà far “impallidire le maree” quando sarà raccontata. >

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25 aprile.

Santoro, e molti altri, wrote:
< Una mattina
mi son svegliato… >