Ma quale accoglienza…


Abusi, violenze e rimpatri

testo e foto di Sonia Giardina

“We need a lawer – S.O.S” (“Abbiamo bisogno di un avvocato – S.O.S.”) si legge su una maglietta che un bambino siriano tiene tesa davanti a sé.

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Assieme a lui, altri due bambini più piccoli, nel cortile della scuola “Doria”, si avvicinano alla recinzione e raccontano.

“Ci avevano detto che avremmo incontrato un avvocato. Ci hanno presi con l’inganno!” – dice uno.

“C’è uno col braccio rotto e devono chiamare l’ambulanza, ma ancora è qui!” – aggiunge una bambina.

Poi riprende il primo ragazzino: “Hanno preso le impronte con la forza a mia madre… C’è anche una persona a cui hanno rotto il braccio. E ce n’è un’altra a cui hanno rotto il piede!”

Una donna grida: “Hanno picchiato me e mio figlio e mi hanno costretta a farmi prendere le impronte”.

Gli abusi e le violenze sono stati il triste epilogo della vicenda dei siriani e degli egiziani sbarcati lo scorso 10 agosto a Catania che, dopo quattro giorni di permanenza nella palestra della scuola “Doria” di via Case Sante, con la violenza sono stati identificati il 14 agosto e spediti di gran fretta al C.A.R.A. di Mineo. Tutti loro rifiutavano, infatti, l’identificazione in Italia perché volevano ricongiungersi ai loro parenti che da anni vivono in Svezia e Norvegia, accedendo quindi alle procedure di richiesta d’asilo nei paesi europei dove attualmente risiedono i familiari, come previsto dal regolamento Dublino III che entrerà in vigore dal 2014. Inoltre tutti i migranti erano a conoscenza dei lunghissimi tempi burocratici delle procedure d’asilo (nel C.A.R.A. di Mineo si possono aspettare anche due anni) che obbligano migliaia di persone a restare nel limbo, senza un accoglienza degna e senza nessun percorso di integrazione reale.

Alla determinazione dei migranti reclusi nella scuola, le istituzioni hanno però risposto con la violenza, picchiandoli e minacciandoli per costringerli all’identificazione. Come già accaduto in passato, anche questo sbarco è stato gestito come un problema di ordine pubblico, in netta antitesi a percorsi e pratiche per un’accoglienza reale. Tant’è che nella vicenda “Doria” sono mancati mediatori linguistici, culturali e legali che fornissero informazioni e assistenza ed è stato negato, dopo il primo giorno, l’accesso a legali e associazioni, come per esempio l’ARCI, che vigilassero sul rispetto dei diritti.

Con questa scandalosa non-accoglienza, sono stati calpestati diritti fondamentali e non è stata garantita la tutela di persone che fuggono da paesi martoriati da guerre, persecuzioni e caos.

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Quest’estate le identificazioni violente non sono state a Catania una pratica isolata e la gestione di stampo meramente emergenziale dell’afflusso di migranti è continuata negli sbarchi successivi.

Circa una settimana dopo il primo sbarco, e precisamente il 19 agosto, dei cento siriani ed egiziani arrivati al porto di Catania, circa quaranta di loro sono stati identificati con la forza e dieci egiziani sono stati rimpatriati con un volo Egytair.

Lo stesso potrebbe essere accaduto con il terzo e ultimo sbarco di circa 100 egiziani approdati sulle nostre coste il 31 agosto scorso e ospitati al Palacannizzaro. Infatti, mentre i minorenni sono stati affidati (come stabilito per legge) a strutture di accoglienza, non si sa dove sia finito il pullman con a bordo circa 40 egiziani maggiorenni. Nessuna struttura di accoglienza in Sicilia sembra ospitarli e il pullman, secondo alcuni, avrebbe preso l’1 settembre l’autostrada per Palermo, si presume per un immediato rimpatrio.

I rimpatri, fatti senza un attento esame dei singoli casi, rappresentano una gravissima violazione dei diritti umani, e delle leggi e delle convenzioni internazionali che li tutelano. Ogni migrante ha “il diritto di essere informato – spiega Fulvio Vassallo Paleologo -sulla possibilità di chiedere asilo politico o la protezione umanitaria e sarà la competenze commissione territoriale a valutare se la domanda è fondata o meno. Non le autorità di pubblica sicurezza”. L’art. 19 del Testo Unico sull’immigrazione prevede infatti che “in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”. Con i recenti rimpatri, avvenuti purtroppo non solo a Catania, decine di egiziani sono stati invece rispediti all’inferno o alla morte, quell’inferno o quella morte che arrivando in Italia speravano di dimenticare.