In viaggio con la poetessa Ida Giulia La Rosa

La forza di una donna nero su bianco, in dialetto siciliano

testo e foto Miriana Squillaci

“Certe persone spendono molti soldi per fare un viaggio. Io ho deciso di spendere dei soldi per pubblicare i miei libri. Sono viaggi nel mondo Fantasia che raccontano la mia vita, le mie esperienze personali. Libri che regalo affinché il lettore possa viaggiare insieme a me”.

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Ho conosciuto la poetessa Ida Giulia La Rosa casualmente, durante una conferenza organizzata al centro “Alberto Sordi”, in occasione della giornata Internazionale della donna. A colpirmi è stata l’intensità con cui recitava le sue poesie, delle quali ricordo con particolare piacere “Lu pani di na vota” perché capace di rievocare in me profumi e colori dell’infanzia e “Canta picciotta”, un inno all’autodeterminazione femminile. La sua energia vulcanica, la passione con cui raccontava le sue esperienze personali, peraltro non facili, le sue poesie, mi hanno spinto a chiederle un’intervista.

Così tra quattro chiacchiere e qualche poesia, Nonna Giulia (come mi ha chiesto di chiamarla), mi ha raccontato la sua storia che, con piacere, condivido con voi…

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“Scrivo poesie da sempre, ricordo di aver scritto la prima per mia madre quando avevo 12 anni. Le mie sorelle (ne ho ben 10) le avevano regalato delle calze di nylon, un’altra le aveva regalato un rossetto, ed io, non potendole regalare niente, ho scritto una poesia che ho nascosto sotto il piatto. Quando finalmente la vide, mia madre disse “Vediamo che ha scritto la scema”, e dopo averla letta non l’apprezzò. Quindi, sentendomi rimproverata, non ho più scritto per molti anni; ma poi con le delusioni della vita, non potendo parlare con nessuno, mi scoppiavano le emozioni ed i sentimenti nel cuore e così, ho iniziato a raccontarle ad un foglio bianco. Ho scritto di più dopo i 30 anni, quando ho divorziato da mio marito.

Adesso divorziare è più facile, ma dietro quei divorzi ci siamo noi anziani che abbiamo lottato per averlo. Anche io scendevo in piazza a protestare, con gli striscioni, con le parolacce, gli uomini ci guardavano male, ma alla fine, ci siamo riuscite!

All’epoca nostra non eravamo donne, dovevamo chiedere il permesso al padre e poi al marito, anche quando non eravamo d’accordo. Ma io capì ca mi puteva mettiri a me maritu na sacchetta ed allora decisi che sarei andata a lavorare per garantire una vita migliore ai miei figli, anche se mio marito non lo approvava perché sulu i fimmini buttani travagghiunu. Non potevo sopportare il fallimento nella mia famiglia d’origine, dove il mio padrino ci prendeva a bastonate e mia madre faceva da madre solo al figlio maschio, e neanche quello del mio matrimonio, visto che mio marito non era capace di lavorare ed i miei figli avevano le scarpe rotte. Per questo motivo decisi di avvelenarmi, ricevetti perfino l’estrema unzione.

Quando però mi svegliai dal coma, vidi le infermiere che pulivano e cantavano, che erano rosse in viso e rigogliose, ed io iniziai a desiderare di essere come loro. Quindi uscii dall’ospedale mi dissi: sarò infermiera! Iniziai ad andare dalla suora superiore e le confidai il mio desiderio, spiegandole anche la mia situazione famigliare, più volte andai da lei con i bambini. Tutte le volte mi diceva “Prega, prega!” ed io pregavo. Fino a quando un giorno passai un concorso come infermiera ausiliaria. Dopo poco tempo frequentai un corso per infermiere professionali a cui era possibile accedere con il diploma e finalmente anche io divenni infermiera.

Dopo di che dissi a mio marito che poteva andare via, adesso guadagnavo abbastanza, per poter comprare le scarpe ai miei figli e poter garantire loro un futuro.

Lavorai sodo! Facevo tutti gli straordinari, lavoravo sempre nei festivi e mettevo soldi da parte.

Il divorzio venne giudicato male dagli estranei, a quei tempi separarsi era come dire “vado a fare la prostituta”, ma io lavoravo moltissimo, andavo dalla suora a fare il rosario, e la mia vita era rifiorita.

Con i soldi messi da parte negli anni, ho comprato la casa per me e per i miei figli e vivo tranquillamente.

piero angela e ida

La poesia mi è sempre stata accanto, sul foglio bianco ho scritto le mie emozioni belle e brutte e mi ha dato molte soddisfazioni. Infatti, tutte le volte che ho partecipato ad un concorso ho sempre vinto qualcosa, che fosse il 1°, 2° o il 3° posto. Sono stata premiata anche da Piero Angela, ho avuto la soddisfazione di tagliare nastri ed una volta perfino di firmare autografi. Recito le mie poesie tutte le volte che me lo chiedono, ed anche se faccio sempre una scaletta alla fine recito sempre quelle che mi chiedono gli ascoltatori perché non mi piace lasciare il loro desiderio insoddisfatto.

Scrivo in dialetto siciliano perché mi fa sentire profumo d’infanzia, mi ricorda quando parlavo con mia madre, con mia nonna… non voglio che la nostra lingua si perda. È giusto parlare italiano ma non dobbiamo dimenticare il siciliano! Mi piace moltissimo leggere, in questo momento ho iniziato 4 o 5 libri, ma mi mantengo attiva anche manualmente, incido su rame, ricamo e faccio l’uncinetto. Ho vissuto la fame e le mancanze della guerra quindi non butto niente, neanche un filo piccolo, riciclo tutto! Mi piace creare dal niente, sono come una formichina “muddica muddica si fa a pagnotta”.

Spero di essere stata capace di trasmettere almeno po’ dell’entusiasmo che Nonna Giulia, poetessa siciliana di 83 anni dall’energia vulcanica, è stata capace di trasmettere a me, con le sue parole, con le sue poesie.

Non ho raccontato tutta la sua storia, preferisco che a farlo sia lei, perché ci sono fatti, sentimenti ed emozioni che nessuno può raccontare se non chi le ha vissute.

Mi auguro di rincontrarla presto, mi auguro che anche voi abbiate l’opportunità di ascoltarla, di leggere le sue poesie, di essere travolti dal suo entusiasmo. L’entusiasmo di chi, anche se nello stesso posto, è stato capace di fare della propria vita un eterno viaggio.

Grazie Nonna Giulia!

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Canta picciotta!

CAM00337Canta, picciotta Siciliana!
Jù ti misi l’ali:
ti libbirai di lu sciallu nìuru
pp’ammustrari a tutti
st’ostia di suli
chi teni ‘nta lu pettu.
La ‘mpronta di li me’ pedi
scavu na fossa funna,
e aspetta chi tu la simìni.
Abbudda li manu, picciotta!
Lu saccu è chinu,
li superchiarii addivintaru
simenza nova,
ammùstricci comu si cria la primavera!
Occhiu vivu, picciotta!
Rriòrditi, chi sutta ogni petra chi movi,
c’è un tràntulu di omu chi mori,
abbituatu ad arrivari primu
‘nta la ‘ntinna di la cuccagna.
Sempri svigghia picciotta!
Téniti stritti li chiavi
di st’ébbica nova,
e scrivi la nostra storia!